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martedì 2 febbraio 2021

EDOARDO CAMURRI NEL CORRIERE DELLA SERA e M.DOMINA su GIACINTO PLESCIA

 

SELFPUBLISHING


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I filosofi da self-publishing vendono i loro libri, almeno nelle versioni ebook, a cifre abbastanza modiche. Quasi nulle, rispetto alle ore di stupore che dispensano. L’importante è non farsi troppe domande. Per esempio: come mai Gianni Ferracuti dell’Università di Trieste autopubblica un volume intitolato Parmenide e la capra e l’unica fotografia che il suo libro riporta è quella di un cane boxer? Quale sarà invece la tesi sostenuta da Giacinto Plescia nel suo libro Ontologia del sublime quando, in circa diciassettemila pagine (ripetiamo: 17 mila pagine), scrive frasi del tipo: «Essere sublime che ci incontra e si eventui, si getta nell’Essere così come nell’Esserci, per abitarvi con la transplendenza del sublime o dell’Essere sublatione sublime, o per abitare poeticamente le insenature sublimi di Kalypso»?
Non è il caso di fare i moralisti. L’incomprensibilità di un testo filosofico non è mai stato un problema per il suo successo. E se Heidegger divenne un gigante scrivendo che «il mondo mondeggia», allora un Pigc qualunque può benissimo far ballare la lambada all’universo meritandosi così gli applausi riconoscenti di tutti i devoti di Gustave Flaubert.

Gustave Flaubert! Per degnamente pagare il debito di riconoscenza che abbiamo verso questo autore, vorremmo anche noi incontrare sulla strada qualche degno erede dei suoi immortali Bouvard e Pécuchet, gli amici che mollarono tutto per dedicarsi, con sconsiderata felicità, alla ricerca del sapere. Abbiamo così deciso di esplorare un fenomeno che terrorizza molti: il self-publishing online; sono siti che offrono a chiunque, senza la mediazione di un editore, la possibilità di pubblicare liberamente i propri libri e di venderli a chi è curioso di sapere cosa si agita nella mente di questi irregolari. Esploreremo, essendo il materiale vastissimo, una delle sezioni più promettenti, quella filosofica, nella speranza di trovare pensieri all’altezza delle aspettative.
Subito la nostra attenzione viene indirizzata verso il Trattatello filosofico scientifico sulla sessualità umana e animale di Pietro Italo Giovanni Calabrese (d’ora in poi Pigc). Pigc è autore di altri volumi, tutti auto-pubblicati su lulu.com, come Dio l’essere e il tempo e Il quarto wormhole, e l’interesse filosofico verso la sessualità sembra percorrere tutta la sua opera. I filosofi da self-publishing, in genere, sono pronti a tutto, forse anche a finire arrosto come Giordano Bruno, pur di proclamare le loro scoperte. Leggiamo all’inizio del saggio di Pigc: «Vi confesso che quest’impresa mi fa paura; i filosofi scomodi, che toccano argomenti che infrangono tabù secolari, se non millenari, sono da sempre stati perseguitati e, per l’amore delle loro idee e della verità, hanno fatto una vita grama. Per fare il nome di un filosofo conosciuto ai più, che ha subìto questa sorte, basti pensare a Spinoza! So che la pagherò cara, quindi; i miei detrattori chissà cosa si inventeranno sul mio conto».
Non saremo noi di certo a inventarci nulla sul conto di Pigc, in primo luogo perché non vogliamo essere suoi detrattori e poi perché è lui stesso a rivelare qualcosa di sé dopo aver spiegato, tramite l’immagine di un asse lungo il quale si dipana tutta la sessualità umana (A e B sono gli estremi, A eterosessualità B omosessualità in mezzo il punto zero), la geometria del suo filosofare: «Ebbene all’estremità A troviamo l’eterosessualità, che da ora in poi chiamerò l’amore per l’infinitamente grande, ossia la macrofilia. Essa consiste nell’amore per l’obesità, per la vecchiezza, per tutto ciò che nel corpo manifesta il passare degli anni. Quindi avremo attrazione per seni grossi e cadenti, con grandi areole; per fianchi pieni di rotoli, per sederi cascanti ecc…? A me piacciono anche le rughe, le smagliature, la cellulite e le varici, purché solo accennate (però dipende da caso a caso). Comunque, nell’eterosessualità il seno è la stella ed il sedere è il pianeta».
Anche se può avere qualche interesse il fatto che Pigc veda l’universo sotto forma di lambada o di hula hoop (si provi infatti a far orbitare il sedere-pianeta attorno al seno- stella per simulare la scena), ciò che colpisce nei filosofi da self-publishing è una certa maniacalità classificatoria. Esistono precedenti sorprendenti: viene in mente Amintore Fanfani che nel 1934, pubblicando (però con l’editore Vita e Pensiero) un libro intitolato Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo, arrivò a sostenere la tesi secondo la quale nei periodi di crisi economica vanno al potere uomini politici longilinei (alti) mentre in periodi di benessere comandano politici brevilinei (bassi). Oppure il biologo austriaco Paul Kammerer (morto suicida nel 1926) che era solito riempire le pagine del suo diario con le coincidenze che più lo colpivano: seduto su una panchina annotava quante persone gironzolavano raggruppandole secondo il sesso, l’età, l’abbigliamento, eccetera per poi trovare, immaginiamo, una legge del tipo: nei giorni di pioggia la gente porta gli ombrelli.
Tutto questo, ricordava giustamente J. Rodolfo Wilcock, «è molto viennese e asburgico», ma i filosofi da self-publishing, per quanto classificatori maniacali, non si fanno catalogare con docilità. Il loro punto di vista tende all’universale.
Fabio Volpe vende su lulu.com un suo saggio intitolato La mattanza. Fenomenologia dell’incidente stradale nelle democrazie occidentali (il titolo ci ha fatto venire in mente certi scritti di Cesare Lombroso come Delitti ciclistici e benefici del ciclismo) mentre Michele Proclamato, su ilmiolibro.com, introduce il suo volume Le vibrazioni dell’angelo (un saggio esoterico sulla musica), confessando: «Sinceramente, comunque, mi aspettavo di più dalla parziale comprensione dei meccanismi creativi divini, immaginavo, che so, la nascita dentro di me di un potere creativo capace di trasformare questa mia endemica povertà in ricchezza, o la possibilità, con la pura forza del pensiero, di trasformare la mia caratteristica pancetta in una parete addominale degna dei bronzei ritrovamenti di Riace» (più in avanti, Proclamato rivelerà che Dio l’avrebbe ricompensato, come si è già capito, donandogli la capacità di trovare il marchio divino nel creato).
I filosofi da self-publishing vendono i loro libri, almeno nelle versioni ebook, a cifre abbastanza modiche. Quasi nulle, rispetto alle ore di stupore che dispensano. L’importante è non farsi troppe domande. Per esempio: come mai Gianni Ferracuti dell’Università di Trieste autopubblica un volume intitolato Parmenide e la capra e l’unica fotografia che il suo libro riporta è quella di un cane boxer? Quale sarà invece la tesi sostenuta da Giacinto Plescia nel suo libro Ontologia del sublime quando, in circa diciassettemila pagine (ripetiamo: 17 mila pagine), scrive frasi del tipo: «Essere sublime che ci incontra e si eventui, si getta nell’Essere così come nell’Esserci, per abitarvi con la transplendenza del sublime o dell’Essere sublatione sublime, o per abitare poeticamente le insenature sublimi di Kalypso»?
Non è il caso di fare i moralisti. L’incomprensibilità di un testo filosofico non è mai stato un problema per il suo successo. E se Heidegger divenne un gigante scrivendo che «il mondo mondeggia», allora un Pigc qualunque può benissimo far ballare la lambada all’universo meritandosi così gli applausi riconoscenti di tutti i devoti di Gustave Flaubert.
Edoardo Camurri
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GIACINTO PLESCIA: 
visto da LA BOTTE DI DIOGENE di M. DOMINA

La transplendenza del sublime





Fortunatamente non rientro nella categoria analizzata da Edoardo Camurri – e cioè I filosofi che si autopubblicano – in un articolo comparso qualche settimana fa su La lettura, inserto domenicale del Corriere della sera, prima di tutto perché faccio fatica ad autodefinirmi “filosofo”, e poi perché vi si parla di self-publishing on-line, ovvero di e-book, e dunque di libri in formato digitale. 

Insomma, per ora l’ho scampata bella. Certo che se un giorno sul mio blog dovessi scrivere frasi come la seguente: “Essere sublime che ci incontra e si eventui, si getta nell’Essere così come nell’Esserci, per abitarvi con la transplendenza del sublime o dell’Essere sublatione sublime, o per abitare poeticamente le insenature sublimi di Kalipso“; o se dovessi solo accennare a cose come la “macrofilia”, le capre parmenidee e i culi planetari – vi prego fin d’ora di smettere di leggermi, di avvertirmi, di lanciarmi almeno un pietoso segnale.

Camurri conclude con elegante ironia, ricordandoci come l’incomprensibilità di un testo filosofico – pubblicato anche seguendo i canoni tradizionali – non sia mai stato un problema per il suo eventuale successo, visto che Heidegger diventò celebre scrivendo cose come “il mondo mondeggia”. Ciò non toglie – aggiungo io – che tali sublimi forme di scrittura o linguaggi starebbero più a loro agio nel limbo della gettità…




Quale sarà invece la tesi sostenuta da Giacinto Plescia nel suo libro Ontologia del sublime quando, in circa diciassettemila pagine (ripetiamo: 17 mila pagine),
scrive frasi del tipo:

«Essere sublime che ci incontra e si eventui, si getta nell’Essere così come nell’Esserci, per abitarvi con la transplendenza del sublime o dell’Essere sublatione sublime, o per abitare poeticamente le insenature sublimi di Kalypso»?  











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