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lunedì 3 settembre 2018

K.MARX A COLORI:IL CAPITALE LIBRO 1^ Cap. 13^ a 200 anni dalla pubblicazione



 

CAPITOLO 13

MACCHINE E GRANDE INDUSTRIA: SVILUPPO DEL MACCHINARIO. DUPLICE ORIGINE DELLA MANIFATTURA. 


(da pag. 144 RIASSUNTO  4. LA FABBRICA.
All’inizio di questo capitolo
abbiamo considerato il corpo della fabbrica, l’articolazione del sistema meccanico
abbiamo visto poi
come il macchinario aumenti il materiale umano sottoposto allo sfruttamento del capitale mediante l’appropriazione del lavoro delle donne e dei fanciulli,
come esso confischi la vita dell’operaio mediante una estensione smisurata della giornata lavorativa,

 
e come il suo progresso, che consente di fornire in un tempo più breve un prodotto in enorme aumento,
serva da mezzo sistematico per rendere liquida una maggiore quantità di lavoro in ogni momento,
ossia per sfruttare sempre più intensamente la forza-lavoro)
                                                                   
 INIZIO CAPITOLO 13

John Stuart Mill dice nei suoi Principi d’economia politica:

 
«È dubbio se tutte le invenzioni meccaniche abbiano alleviato la fatica quotidiana d’un qualsiasi essere umano».
Ma questo non è neppure lo scopo del macchinario quando è usato capitalisticamente.

Il macchinario
-ha il compito di ridurre le merci più a buon mercato
-abbreviare
parte della giornata lavorativa che l’operaio usa per se stesso,
prolungare l’altra parte della giornata lavorativa che l’operaio dà gratuitamente al capitalista e un mezzo per la produzione di plusvalore.

Nella manifattura la rivoluzione del modo di produzione prende come punto di partenza la forza-lavoro;
nella grande industria, il mezzo di lavoro:
in primo luogo occorre indagare
-in che modo il mezzo di lavoro viene trasformato da strumento in macchina,
-o in che modo la macchina si distingue dallo strumento del lavoro artigiano;

si tratta di grandi tratti caratteristici generali:
matematici, meccanici e qualche economista inglese dichiarano che
lo strumento di lavoro è una macchina semplice
la macchina è uno strumento composto:
in ciò non vedono nessuna differenza sostanziale
di fatto tutte le macchine consistono di quelle potenze elementari, qual ne sia il travestimento e la combinazione:
dal punto di vista economico la spiegazione non vale niente, perchè vi manca l’elemento storico

-la distinzione fra strumento e macchina viene cercata nel fatto che
nello strumento la forza motrice è l’uomo,
nella macchina una forza naturale differente dall’uomo es. animali, acqua, vento

da questo punto di vista,
-l’aratro tirato dai buoi, che appartiene alle più differenti epoche della produzione, sarebbe una macchina,
-il telaio circolare che, mosso dalla mano di un solo operaio sarebbe un semplice strumento:
strumento se mosso a mano,
macchina, se mosso a vapore.
Poichè l’uso della forza animale è una delle più antiche invenzioni dell’umanità,
la produzione a macchina precederebbe di fatto quella artigianale.
Quando Wyatt nel 1735 annunciò la sua macchina per filare, e con essa la rivoluzione industriale del secolo XVIII, non accennò che la macchina non fosse mossa da un uomo ma da un asino però questa parte toccò all’asino: il programma del Wyatt suonava: una macchina «per filare senza dita».


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Ogni macchinario sviluppato consiste di tre parti differenti
macchina motrice
meccanismo di trasmissione
macchina utensile o macchina operatrice,

la macchina motrice
opera come forza motrice di tutto il meccanismo
o genera la propria forza motrice, come la macchina a vapore,
o riceve l’impulso da una forza naturale esterna, già esistente, come la ruota ad acqua dalla caduta d’acqua.

Il meccanismo di trasmissione composto di congegni e apparecchi di ogni genere,
regola il movimento, lo distribuisce, lo trasmette alle macchine utensili,
queste due parti del meccanismo esistono per comunicare alla macchina utensile il moto per il quale essa afferra e trasforma l’oggetto del lavoro;   

dalla macchina utensile,
-prende le mosse la rivoluzione industriale del secolo XVIII
-essa costituisce ancora il punto di partenza ogni volta che
una industria artigianale o manifatturiera trapassa in industria meccanica.

consideriamo da vicino

la macchina utensile o macchina operatrice, vediamo ripresentarsi, in forma modificata,
apparecchi e strumenti coi quali lavorano l’artigiano e l’operaio manifatturiero;
-ora però non più come strumenti dell’uomo,
-ma come strumenti d’un meccanismo o strumenti meccanici.

la macchina si riduce a una edizione meccanica, modificata, del vecchio strumento del mestiere artigiano
-come nel telaio meccanico  
-gli organi operanti applicati allo scheletro della macchina operatrice
sono come i fusi nella filatrice meccanica:
la differenza fra questi strumenti e il corpo della macchina operatrice risale alla loro nascita
-infatti vengono ancora prodotti da lavoro di tipo artigiano o manifatturiero
-solo in seguito vengono fissati al corpo della macchina operatrice, che è prodotto a macchina.

Dunque la macchina utensile è un meccanismo che, dopo che gli sia stato comunicato il moto corrispondente,
compie le stesse operazioni che prima erano eseguite con analoghi strumenti dall’operaio:

la sostanza della cosa non cambia,
-sia che la forza motrice provenga dall’uomo,
-sia che provenga anch’essa da una macchina
allo strumento subentra una macchina
anche se l’uomo rimane primo motore, la differenza balza agli occhi.

Il numero di strumenti di lavoro coi quali l’uomo può operare è limitato dal numero dei suoi organi corporei:
s’era provato
prima a far muovere due filatrici a ruota da un solo filatore, cioè di farlo lavorare con mani e piedi:erafaticoso
poi s’inventò una filatrice a pedale con due fusi, ma il lavoro era non praticabile
invece la jenny ha filato fin da principio con dodici fino a diciotto fusi.




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La distinzione fra l’uomo
-come pura e semplice forza motrice
-e come operaio che manovra il vero e proprio operatore,
possiede un’esistenza particolare in molti strumenti artigiani:
es. nel filatoio a mulinello
il piede opera solo come forza motrice
mentre la mano che lavora al fuso compie l’operazione della filatura:
la rivoluzione industriale s’impadronisce di quest’ultima parte dello strumento artigiano
lasciando all’uomo
-il lavoro di sorveglianza della macchina  
-la funzione puramente meccanica di forza motrice;

gli strumenti per i quali l’uomo agisce solo come semplice forza motrice
es. nel girare il manubrio d’una macina, nell’alzare ed abbassare le braccia d’un mantice,
provocano l’uso di animali, acqua e vento come forze che danno movimento:
entro il periodo manifatturiero
e prima di esso,
questi strumenti si stirano fino a diventare macchine,
ma non rivoluzionano il modo di produzione;

nel periodo della grande industria si vede che anche nella loro forma di tipo artigianale essi sono già macchine.
es. le pompe comuni invece di braccia umane, erano ciclopiche macchine a vapore a muovere i pistoni,

la stessa macchina a vapore, inventata alla fine del secolo XVII durante il periodo della manifattura e fino al principio del decennio 1780-1790
non ha provocato nessuna rivoluzione industriale,

È stato il fenomeno inverso: la creazione delle macchine utensili
che ha reso necessario rivoluzionare la macchina a vapore,

oggi tutte le macchine - come le macchine per cucire, per impastare il pane-
vengono costruite contemporaneamente per forza motrice umana e forza motrice meccanica

La macchina, dalla quale prende le mosse la rivoluzione industriale
sostituisce l’operaio che maneggia un singolo strumento
con un meccanismo
-che opera in un sol tratto con una massa degli stessi strumenti o di strumenti analoghi,
-e che viene mosso da una forza motrice unica:
ecco la macchina: ma solo come elemento semplice della produzione di tipo meccanico.

L’ampliamento del volume della macchina operatrice e del numero dei suoi strumenti che operano contemporaneamente,
richiede una macchina motrice più massiccia
e questa richiede a sua volta, una forza motrice più potente di quella umana.



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Presupponendo
che l’uomo agisca ormai come semplice forza motrice
che al posto del suo strumento sia subentrata una macchina utensile,
che forze naturali possono sostituirlo come forza motrice:

la forza motrice peggiore era quella del cavallo
in parte perchè il cavallo ha la testa a modo suo
in parte perchè è caro e può essere usato solo in misura limitata:
tuttavia il cavallo è stato usato durante l’infanzia della grande industria, come ci attesta l’uso di esprimere la forza meccanica in cavalli;
il vento era troppo incostante e incontrollabile,
la forza idraulica predominava già durante la manifattura in Inghilterra, paese di nascita della grande industria,
così pure la forza motrice nei mulini che ha condotto all’applicazione del volano che avrà una funzione così importante nella grande industria:
a questo modo il periodo della manifattura ha sviluppato i primi elementi scientifici e tecnici della grande industria.

Solo con la seconda macchina a vapore del Watt, quella a doppio effetto,
un primo motore generava da sè la propria forza motrice alimentandosi di acqua e carbone,
la cui potenzialità
era completamente sotto controllo umano,
era insieme mobile e mezzo di locomozione,
era urbano e non rurale come la ruota ad acqua,
permetteva di concentrare la produzione nelle città
universale nella sua applicazione tecnologica
e poco vincolato da circostanze locali nella scelta della sede.

Il gran genio del Watt si rivela nella patente che prese nel 1784,
dove la sua macchina a vapore non viene descritta come una invenzione a scopi particolari
ma come agente generale della grande industria:
accenna a varie applicazioni che furono introdotte mezzo secolo dopo.

dunque,
appena gli strumenti furono trasformati, da strumenti dell’organismo umano,
in strumenti di un congegno meccanico, cioè della macchina utensile,
la macchina motrice ricevette una forma indipendente e emancipata dai limiti della forza umana.

la macchina utensile, finora presa in considerazione, s’abbassa a semplice elemento della produzione meccanica:

ora una sola macchina motrice può muovere molte macchine operatrici:
con l’aumento delle macchine operatrici mosse contemporaneamente da essa,
cresce anche la macchina motrice e il meccanismo di trasmissione s’estende diventando un vasto apparecchio.



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Occorre far distinzione fra due cose:
-la cooperazione di molte macchine omogenee,
e
-il sistema di macchine:

nel primo caso il manufatto è eseguito dalla stessa macchina operatrice
che compie le differenti operazioni che una volta erano dell’artigiano o vari artigiani con differenti strumenti
sia in maniera indipendente sia come parti di una manifattura;
es. nella manifattura moderna delle buste da lettera,
il processo complessivo che nella manifattura era diviso ed eseguito da una serie di operazioni successive,
qui viene compiuto da una sola macchina operatrice, che agisce mediante la combinazione di strumenti differenti.
un operaio piegava la carta un altro dava la gomma, un altro spiegava il risvolto
e ad ogni operazioni la busta doveva cambiar di mano;
una sola macchina da buste esegue d’un colpo solo tutte queste operazioni

che queste macchine operatrici
-siano   la rinascita meccanica di uno strumento artigiano  
-o siano combinazione di strumenti semplici che hanno acquistato con la manifattura un carattere particolare

si ripresenta ogni volta la cooperazione semplice,
prima come agglomeramento di macchine operatrici omogenee e operanti insieme in un solo luogo:
es.
una fabbrica di tessuti è costituita dalla giustapposizione di molti telai meccanici,
una fabbrica di cuciti dalla giustapposizione di molte macchine per cucire nello stesso edificio;

ma qui esiste una unità tecnica in quanto le molte macchine operatrici omogenee
ricevono il moto, contemporaneamente dal motore a tutte comune, trasmesso loro dal meccanismo di trasmissione che è anch’esso comune a tutte poichè da esso si distaccano diramazioni particolari per ciascuna singola macchina utensile:
-come molti strumenti costituiscono gli organi di una sola macchina operatrice,
-ormai molte macchine operatrici costituiscono solo organi omogenei dello stesso meccanismo motore;

un vero sistema di macchine subentra alla singola macchina indipendente
solo dove l’oggetto del lavoro percorre una serie continua di processi graduali differenti,
eseguiti da una catena di macchine utensili eterogenee che si integrano reciprocamente:

qui si ripresenta la cooperazione mediante divisione del lavoro, peculiare della manifattura;
ma ora si presenta come combinazione di macchine operatrici parziali:
gli strumenti specifici dei differenti operai parziali
es. nella manifattura della lana
si trasformano in strumenti di macchine operatrici ognuna delle quali costituisce un organo d’una funzione particolare nel sistema del macchinario utensile combinato:

è la manifattura a fornire al sistema delle macchine
il fondamento della divisione e quindi della organizzazione del processo di produzione
in quelle branche che vedono l’introduzione del sistema delle macchine,



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ma subentra una differenza sostanziale:

nella manifattura
operai devono eseguire, col loro strumento, ogni particolare processo parziale
l’operaio viene appropriato al processo
ma prima il processo era stato adattato all’operaio:
questo principio soggettivo della divisione del lavoro scompare nella produzione meccanica:
qui il processo complessivo,

-viene considerato oggettivamente in sè e per sè,
-viene analizzato nelle sue fasi costitutive
-e il problema di eseguire ogni processo parziale e di collegare i diversi processi parziali
viene risolto tramite l’applicazione tecnica della meccanica, della chimica, ecc.

Ogni macchina parziale fornisce la materia prima alla macchina che segue nella serie,
poichè operano tutte contemporaneamente

il prodotto  
-si trova sempre nei diversi gradi del suo processo di formazione
-si trova sempre in transizione da una fase all’altra della produzione,

come nella manifattura
-la cooperazione immediata degli operai parziali crea
determinate proporzioni numeriche fra i gruppi di operai,

-cosi nel sistema organico delle macchine,
il fatto che le macchine parziali si tengono sempre occupate e reciprocamente
crea una determinata proporzione fra il loro numero, il loro volume e la loro velocità.

La macchina operatrice combinata ora è un sistema articolato di singole macchine operatrici eterogenee
è tanto più perfetta
quanto più è continuativo il suo processo complessivo cioè quanto meno interruzioni si hanno
e dunque
quanto più è il meccanismo, invece della mano dell’uomo, ad operare da una fase all’altra della produzione.

Nella manifattura
l’isolamento dei processi particolari è un principio dato dalla stessa divisione del lavoro,
invece nella fabbrica sviluppata domina la continuità dei processi particolari.

Un sistema di macchine,
sia che poggi sulla semplice cooperazione di macchine operatrici omogenee, come nella tessitura,
sia che poggi su una combinazione di macchine eterogenee, come nella filatura
costituisce un solo grande automa, appena venga mosso da un primo motore semovente.
Appena la macchina operatrice senza assistenza umana
-compie i movimenti necessari per la lavorazione della materia prima
-ed ha bisogno solo dell’uomo a cose fatte,
abbiamo un sistema automatico di macchine.
l’apparecchio che ferma da solo la fìlatrice meccanica appena si spezza un solo filo,
e il self-acting stop che ferma il telaio a vapore perfezionato appena al rocchetto della spola manca il filo della trama.
La fabbrica moderna di carta può valere come esempio
tanto per la continuità della produzione
quanto per l’attuazione del principio della automaticità.
nella produzione della carta si può studiare vantaggiosamente la distinzione fra i differenti modi di produzione che si hanno in base ai differenti mezzi di produzione, come pure il nesso fra i rapporti sociali di produzione e quei modi di produzione:
l’antica arte cartaria tedesca ci fornisce i campioni della produzione di tipo artigianale in questa branca;
l’Olanda del secolo XVII e la Francia del XVIII, ci danno i campioni della manifattura,
e l’Inghilterra moderna ci dà campioni della fabbricazione automatica.



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Un sistema articolato di macchine operatrici
che ricevono il movimento da un meccanismo automatico centrale solo mediante il macchinario di trasmissione,
costituisce la forma più sviluppata della produzione a macchina.
Qui alla singola macchina subentra un mostro meccanico, che riempie del suo corpo interi edifici di fabbriche,
e la cui forza demoniaca esplode poi nella folle e febbrile danza turbinosa dei suoi innumerevoli organi di lai in senso proprio.
Le mules, le macchine a vapore,
ci sono state prima che ci fossero operai la cui occupazione esclusiva fosse quella di fare macchine a vapore, mules, ecc., 


Le invenzioni del Vaucanson, del Watt, poterono essere effettuate
perchè trovarono notevole quantità di abili operai fornita dal periodo manifatturiero:
essi
-in parte erano artigiani indipendenti di professioni differenti,
-in parte erano riuniti in manifatture dove imperava una rigorosa divisione del lavoro

Con l’aumentare delle invenzioni e con la crescente richiesta di macchine di nuova invenzione,
s’è sviluppata
da una parte,    la suddivisione della fabbricazione delle macchine in molteplici branche indipendenti,
dall’altra,         la divisione del lavoro all’interno delle manifatture di macchine.
Dunque qui nella manifattura vediamo il fondamento tecnico della grande industria.

La manifattura ha prodotto il macchinario
col quale la grande industria ha eliminato la conduzione di tipo artigianale e manifatturiero
nelle produzioni delle quali s’è impadronita,

così l’industria meccanica
-è sorta su una base materiale inadeguata.
-ha dovuto rovesciare questa sua base ad un certo grado di sviluppo
- s’è dovuta creare una nuova base, corrispondente al proprio modo di produzione;

il sistema delle macchine non si è sviluppato
prima che la macchina a vapore subentrasse alle forze motrici naturali, animali, vento, acqua
così la grande industria non si è sviluppata
finché la macchina dipendeva dal virtuosismo del lavoratore parziale nella manifattura e dell’artigiano nel manovrare il loro strumento:

l’espansione dell’industria e la diffusione delle macchine erano ostacolate
dal sostrato artigianale e manifatturiero cui appartenevano gli operai
ed a un certo grado del suo sviluppo la grande industria entrò, anche tecnicamente, in conflitto con esso:

a causa
-della necessità di risolvere problemi legati all’uso di materiale di difficile lavorazione
la maggior complessità, varietà e regolarità delle parti costitutive della produzione
urtava contro i limiti delle persone,
come la macchina utensile
-si emancipava dal modello artigianale che la dominava  
-e riceveva una forma determinata dal suo compito meccanico
es. macchine come la pressa tipografica moderna, il telaio moderno a vapore, la cardatrice meccanica moderna, non potevano essere fornite dalla manifattura.



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La rivoluzione del modo di produzione in una sfera dell’industria
porta con sè la rivoluzione del modo di produzione nelle altre sfere.

In primo luogo
questo vale per branche dell’industria isolate a causa della divisione sociale del lavoro,
cosicchè
ognuna di esse produce una merce indipendente che s’intrecciano tra loro come fasi d’un processo complessivo:

così
-la filatura meccanica rese necessaria la tessitura meccanica
e insieme resero necessaria la rivoluzione chimico-meccanica della tintura e della stampatura dei tessuti.
-la rivoluzione nella filatura del cotone rese necessaria l’invenzione del gin (sgranatrice del cotone) per la separazione delle fibre del cotone dal seme e con questo divenne possibile la produzione su larga scala;

la rivoluzione nel modo di produzione dell’industria e dell’agricoltura rese necessaria
una rivoluzione nelle condizioni generali del processo sociale di produzione,
cioè nei mezzi di comunicazione e di trasporto:

come i mezzi di comunicazione e di trasporto di una società
il cui pivot la piccola agricoltura con la sua industria domestica e l’artigianato urbano
non potevano più soddisfare le necessità produttive del periodo manifatturiero
-con la sua divisione allargata del lavoro sociale
-la sua concentrazione di mezzi di lavoro e operai
-i suoi mercati coloniali,
e quindi vennero di fatto rovesciati;

così i mezzi di comunicazione e di trasporto tramandati dal periodo della manifattura
si trasformarono in impacci per la grande industria

-con la velocità di produzione e su vastissima scala
-con il lancio di grandi masse di capitale e di operai da una sfera all’altra della produzione
-coi nuovi nessi da essa creati sul mercato mondiale:
le masse di ferro da modellare esigevano macchine ciclopiche
che la fabbricazione manifatturiera delle macchine non era in grado di creare,

quindi
la grande industria dovette impadronirsi del suo caratteristico mezzo di produzione:
la macchina stessa e produrre macchine mediante macchine:
a questo modo creò il proprio sostrato tecnico adeguato e cominciò a muoversi da sola.

Col crescere della industria meccanica nei primi decenni del secolo XIX,
le macchine s’impadronirono della fabbricazione delle macchine utensili:
e poi
le enormi costruzioni di ferrovie e la navigazione transoceanica hanno generato le enormi macchine
adoperate per la costruzione dei primi motori.

In quella parte del macchinario adoperata nella costruzione delle macchine
che costituisce la vera e propria macchina utensile,
vediamo riapparire lo strumento artigiano, ma di volume ciclopico:
es. il tornio meccanico è la rinascita ciclopica del comune tornio a pedale.

La condizione di produzione più importante per la fabbricazione di macchine mediante macchine
era una macchina motrice capace di ogni potenzialità di forza completamente controllabile:
ed esisteva già:era la macchina a vapore.



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Come macchinario,
il mezzo di lavoro viene ad avere un modo di esistenza materiale
che porta con sè la sostituzione della forza dell’uomo
con forze naturali e con la applicazione consapevole delle scienze della natura.

Nella manifattura
l’articolazione del processo lavorativo sociale è soggettiva, è una combinazione di operai parziali;
nel sistema delle macchine
la grande industria possiede un organismo di produzione del tutto oggettivo
che l’operaio trova come condizione materiale di produzione già pronta.

Nella cooperazione semplice e anche in quella specificata mediante la divisione del lavoro,
la soppressione dell’operaio isolato da parte dell’operaio socializzato appare casuale.
Il macchinario funziona solo in mano al lavoro immediatamente socializzato, ossia al lavoro in comune.
dunque ora il carattere cooperativo del processo lavorativo
diviene necessità tecnica imposta dalla natura del mezzo di lavoro stesso.




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2. TRASMISSIONE DI VALORE DALLE MACCHINE AL PRODOTTO.

S’è visto che
-le forze produttive derivanti da cooperazione e divisione del lavoro
-e le forze naturali, come il vapore, l’acqua, che vengono appropriate ai processi produttivi
non costano nulla al capitale
ma l’uomo per consumare produttivamente le forze naturali, ha bisogno di una strumentazione
per sfruttare il vapore è necessaria una macchina a vapore
cosi avviene per la scienza:
la legge della magnetizzazione del ferro non costa un quattrino,
per sfruttare tali leggi per la telegrafia occorre un apparecchio costosissimo.

Come abbiamo visto
lo strumento non viene soppiantato dalla macchina
esso si estende, in volume e in numero, a strumento d’un meccanismo creato dall’uomo,

ora il capitale fa lavorare l’operaio non più con uno strumento artigiano,
ma con una macchina che maneggia essa stessa i suoi strumenti;

è evidente che
la grande industria deve aumentare la produttività del lavoro
incorporando nel processo produttivo enormi forze naturali e le scienze fisiche,
non è evidente che
la produttività così accresciuta non viene acquistata con un aumentato dispendio di lavoro.

le macchine

-non creano valore
-cedono il loro valore al prodotto, alla produzione del quale esse servono;
in quanto
hanno valore
e quindi
trasferiscono valore nel prodotto

le macchine
formano una parte costitutiva del valore del prodotto stesso:
è tangibile che
la macchina e il macchinario sistematicamente sviluppato della grande industria,
si gonfiano sproporzionatamente di valore
in confronto ai mezzi di lavoro dell’industria artigiana e manifatturiera;

le macchine entrano
-interamente nel processo di lavoro  
-solo parzialmente nel processo di valorizzazione:
-non aggiungono più valore di quanto non perdano per il loro logorio,

quindi
si verifica una grande differenza
fra valore della macchina e il valore da essa trasferita nel prodotto,
fra la macchina come elemento costitutivo del valore e la macchina come elemento costitutivo del prodotto.




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Abbiamo visto che
ciascun mezzo di lavoro ossia strumento di produzione trapassa
-interamente nel processo lavorativo,
-parzialmente nel processo di valorizzazione, in proporzione al suo logorio giornaliero medio:

tale differenza fra uso e logoramento è molto maggiore nelle macchine che nello strumento
perchè le macchine, costruite di materiale più durevole, vivono più a lungo
perché il loro uso, regolato da leggi scientifiche, rende possibile maggiore economia nello spendere le loro parti costitutive e i loro mezzi di consumo
infine perché il loro campo di produzione è maggiore di quello dello strumento.

Se deduciamo, dalle macchine e dallo strumento,
i loro costi medi ossia quella parte costitutiva del valore ch’essi aggiungono al prodotto
con l’usura media giornaliera e con il consumo di materie ausiliarie  

dobbiamo dire ch’esse operano gratuitamente proprio come forze naturali esistenti
senza intervento di lavoro umano:
quanto maggiore è il volume dell’effetto produttivo delle macchine di fronte a quello dello strumento,
tanto maggiore è il volume del loro servizio gratuito in confronto a quello dello strumento.

Solo nella grande industria
l’uomo impara a fare operare su larga scala, come una forza naturale, gratuitamente,
il prodotto del suo lavoro passato e già oggettivato.

Quando abbiamo esaminato la cooperazione e la manifattura è risultato che
determinate condizioni della produzione, come edifici, vengono economizzate per mezzo del consumo in comune,
in confronto con la dispersione delle condizioni della produzione di operai isolati
e che quindi rincarano meno il prodotto.

Nel caso delle macchine,
non è una sola macchina operatrice a esser usato dai suoi molti strumenti;
è anche la stessa macchina motrice assieme a parte del meccanismo di trasmissione
ad esser consumata in comune da molte macchine operatrici:

data la differenza
-fra il valore delle macchine
- e la parte di valore trasmessa nel loro prodotto giornaliero,
il grado del rincaro apportato al prodotto da questa parte di valore
dipende in primo luogo dal volume del prodotto.

Data la proporzione nella quale le macchine trasferiscono valore nel prodotto,
la grandezza di questa parte del valore dipende dalla grandezza di valore delle macchine stesse:
meno lavoro contengono, minor valore aggiungono al prodotto;
meno valore cedono, tanto più sono produttive e tanto più il servizio s’avvicina a quello delle forze naturali:
ma la produzione di macchine per mezzo di macchine
ne diminuisce il valore proporzionalmente alla loro estensione ed efficacia.

Una analisi comparativa
dei prezzi di alcune merci prodotte artigianalmente o con lavoro di tipo manifatturiero
coi prezzi delle stesse merci come prodotto delle macchine
dà il risultato che  
la sua grandezza assoluta diminuisce,
ma cresce la sua grandezza in rapporto al valore complessivo del prodotto per es. di una libbra di refe.



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È evidente che
quando la produzione di una macchina costa tanto lavoro, quanto il suo uso ne risparmia,
ha luogo uno spostamento del lavoro,
e che dunque
la somma complessiva del lavoro richiesto per la produzione d’una merce non è diminuita
ossia è evidente che la forza produttiva del lavoro non è aumentata.

Tuttavia la differenza
fra il lavoro che una macchina costa e il lavoro ch’essa fa risparmiare ossia il grado della sua produttività,
non dipende dalla differenza fra il valore della macchina e il valore dello strumento da essa sostituito:
la differenza permane
finché i costi di lavorazione della macchina e quindi la parte costitutiva del valore da essa aggiunta al prodotto
rimangono inferiori al valore che l’operaio aggiungerebbe col suo strumento all’oggetto del lavoro,
quindi
la produttività della macchina si misura con il grado nel quale la macchina sostituisce la forza- lavoro umana.

Se una macchina costa quanto il salario annuo di tot. operai da essa soppiantati, es.tremila sterline,
queste sono l’espressione di quella parte del loro lavoro annuale che si rappresenta in salario lavorativo per gli operai stessi.
invece,
il valore in denaro della macchina esprime il lavoro speso durante la sua produzione,
qualunque sia la proporzione in cui quel lavoro costituisca
-per l’operaio salario
-per il capitalista plusvalore,

se la macchina costa quanto la forza-lavoro da essa sostituita,
il lavoro oggettivato nella macchina è minore del lavoro vivente da essa sostituito;

considerata la macchina solo mezzo per ridurre a buon mercato il prodotto,
il limite dell’uso delle macchine
è dato dal fatto che la loro produzione costi meno lavoro di quanto il loro uso ne sostituisca:
ma per il capitale
questo limite trova un’espressione ancora più ristretta,
poichè il capitale non paga il lavoro adoperato, ma il valore della forza-lavoro usata,
per il capitale l’uso delle macchine è limitato dalla differenza fra
-il valore della macchina
-e il valore della forza-lavoro da essa sostituita.

Poichè la suddivisione della giornata lavorativa in lavoro necessario e in pluslavoro
-è differente a seconda dei paesi,
-è differente nello stesso paese in periodi differenti o durante lo stesso periodo in differenti rami d’industria,
poichè il salario reale dell’operaio
-ora scende al di sotto
-ora sale al di sopra
del valore della sua forza-lavoro:
la differenza fra il prezzo delle macchine e il prezzo della forza-lavoro che da esse deve essere sostituita
può variare molto, anche rimanendo identica la differenza
-fra la quantità di lavoro necessaria per la produzione della macchina
-e la quantità complessiva del lavoro da essa sostituito.
per il capitalista è la prima differenza
-che determina i costi di produzione della merce
-e che influisce su di lui mediante le leggi coercitive della concorrenza.




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3. EFFETTI IMMEDIATI DELL’INDUSTRIA MECCANICA SULL’OPERAIO.

come si è visto
la rivoluzione del mezzo di lavoro
-costituisce il punto dal quale prende le mosse la grande industria;
-e il mezzo di lavoro rivoluzionato ha la sua figura più sviluppata nel sistema organizzato delle macchine nella fabbrica,

esaminiamo alcuni effetti coi quali la rivoluzione del mezzo di lavoro reagisce sull’operaio:

a) Appropriazione di forze-lavoro addizionali da parte del capitale. Lavoro delle donne e dei fanciulli.

Il valore della forza-lavoro era determinato dal tempo di lavoro necessario
-per mantenere l’operaio adulto individuale,
-per il mantenimento della famiglia dell’operaio.

Le macchine gettano sul mercato del lavoro tutti i membri della famiglia operaia:
donne e fanciulli, in quanto permettono di fare a meno della forza muscolare,

-aumentano così il numero di salariati inglobando tutti i membri della famiglia operaia,
senza differenza di sesso e di età
il lavoro coatto ha usurpato il posto dei giochi fanciulleschi e del lavoro nella cerchia domestica,

-distribuiscono su tutta la famiglia il valore della forza-lavoro dell’uomo,
-e quindi svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo.

L’acquisto della famiglia costa forse più dell’acquisto della forza-lavoro del capofamiglia,
ma in cambio si hanno

-quattro giornate lavorative invece di una,
- il loro prezzo diminuisce in proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul pluslavoro dell’uno;
-quattro persone devono fornire al capitale non solo lavoro, ma pluslavoro:
così le macchine allargano il grado di sfruttamento, assieme al materiale umano da sfruttamento.

Se nello scambio di merci,
il capitalista era possessore di denaro e di mezzi di produzione
e l’operaio possessore di forza-lavoro;
erano l’uno di fronte all’altro come persone libere, come possessori di merci, indipendenti:

ora
le macchine rivoluzionano dalle fondamenta il contratto fra operaio e capitalista,il rapporto capitalistico
prima l’operaio vendeva la propria forza-lavoro della quale disponeva come persona libera formalmente
ora vende moglie e figli, diventa mercante di schiavi.



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La richiesta di lavoro infantile rassomiglia anche nella forma alla richiesta di schiavi negri, come si era avvezzi a leggerla nelle inserzioni dei giornali americani
Un ispettore di fabbrica inglese racconta per esempio: « La mia attenzione fu richiamata su un annuncio del giornale locale d’una delle più importanti città industriali del mio di stretto; ed eccone la trascrizione: «“Abbisognasi di dodici-venti ragazzi, non più giovani di quel che può passare per tredici anni. Salario, quattro scellini alla settimana.
Secondo il Factory Act, fanciulli al di sotto dei tredici anni possono lavorare soltanto sei ore.
Un medico ufficialmente qualificato deve attestare l’età.
Dunque il fabbricante pretende dei ragazzi che abbiano l’aspetto di esser già tredicenni.
Quella diminuzione talvolta saltuaria del numero dei fanciulli al di sotto dei tredici anni impiegati dai fabbricanti, che sorprende nelle statistiche inglesi degli ultimi venti anni, è stata in gran parte,
a detta degli stessi ispettori di fabbrica, opera di medico i quali spostavano l’età dei fanciulli in conformità della brama di sfruttamento dei capitalisti e del bisogno di traffico dei genitori.
La rivoluzione operata dalle macchine nel rapporto giuridico fra compratore e venditore della forza-lavoro,
tale che l’intera transazione perde la parvenza di un contratto fra persone libere,
offrì al parlamento inglese il pretesto giuridico per l’intervento dello Stato nelle fabbriche.

Abbiamo già accennato al deterioramento fisico dei fanciulli, degli adolescenti, delle operaie, che le macchine assoggettano allo sfruttamento del capitale,
prima direttamente nelle fabbriche, che sulla base delle macchine spuntano rapidamente,
e poi indirettamente in tutte le altre branche dell’industria.

Qui ci fermeremo su un punto solo: la enorme mortalità tra i figli degli operai nei loro primi anni di vita.
Come ha dimostrato un’inchiesta medica ufficiale nel 1861, gli alti indici di mortalità si devono, all’occupazione extra domestica delle madri, donde deriva che i bambini sono trascurati, maltrattati, sono nutriti in modo inadatto,
in quei distretti agricoli «dove l’occupazione delle donne è minima, l’indice della mortalità è minimo»  .
Però la commissione d’inchiesta del 1861 dette l’inatteso risultato che in alcuni distretti puramente l’indice della mortalità per bambini al di sotto di un anno raggiungeva quasi i più famigerati distretti industriali.
Quindi il dott. Julian Hunter venne incaricato di indagare questo fenomeno direttamente sul luogo.
Fino ad allora si era supposto che fossero la malaria ed altre malattie peculiari dei distretti bassi e paludosi
a decimare i bambini.
L’inchiesta dette come risultato proprio il contrario, cioè che « la stessa causa che aveva cacciato la malaria, cioè la trasformazione del suolo in terreno fertile da frumento, aveva dato origine a quell’indice straordinario di mortalità dei lattanti».
I settanta medici che esercitavano la professione in quei distretti e che furono interrogati dal dott. Hunter, erano «mirabilmente unanimi» su questo punto.
Vale a dire, con la rivoluzione apportata nella coltivazione del terreno era stato introdotto il sistema industriale.

Ma la desolazione intellettuale, prodotta con la trasformazione di uomini in semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore, ha finito per costringere il parlamento inglese a fare dell’istruzione elementare condizione obbligatoria per legge di fanciulli al di sotto dei quattordici anni di età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche.
Lo spirito della produzione capitalistica traluce dalla sciatta formulazione delle clausole sull’istruzione delle leggi sulle fabbriche,
dalla mancanza di un meccanismo amministrativo, la quale rende illusoria questa istruzione obbligatoria,
dalla opposizione dei fabbricanti perfino contro quella legge sull’istruzione,
e dai loro sotterfugi per eluderla,
la legislazione perchè ha emanato una legge illusoria la quale, sotto l’apparenza di curare l’educazione dei fanciulli, non contiene una disposizione singola per garantire il raggiungimento di quello scopo che professa di avere.
Non dispone nient’altro che questo: i fanciulli debbono venir chiusi per un determinato numero di ore (tre ore) al giorno fra le quattro pareti di un luogo chiamato scuola, e colui che impiega il fanciullo deve ricevere ogni settimana un certificato attestante questo fatto.
Gli ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge dovevano accettare come validi.
Tuttavia non sono soltanto questi miserabili luoghi a fornire ai bambini certificati di frequenza ma non istruzione, poichè in molte scuole dove c’è un maestro competente, i suoi sforzi falliscono quasi del tutto di fronte all’accozzaglia di fanciulli di ogni età.
Le sue entrate, che sono misere, dipendono dai pence ricevuti dal maggior numero di fanciulli che è possibile pigiare dentro una stanza.
Si aggiunga la mancanza di libri e di altro materiale didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza scolastica, e questi bambini figurano come educati nella statistica ufficiale».
Secondo le disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore.  Anche durante il suo impiego nella stamperia deve frequentare la scuola, sempre per un periodo di trenta giorni e di centocinquanta ore per ogni periodo di sei mesi. Trascorsi i trenta giorni, quando è stata raggiunta la somma complessiva regolamentare di centocinquanta ore, quando i ragazzi hanno sbrigato il registro, ritornano alla stamperia, dove rimangono per altri sei mesi e così di nuovo. Hanno perduto di nuovo tutto quel che avevano guadagnato nel primo periodo di scuola.



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b) Prolungamemto della giornata lavorativa.

Le macchine
-aumentano la produttività del lavoro ossia accorciano il tempo di lavoro necessario alla produzione di una merce,
-sono il mezzo più potente per prolungare la giornata lavorativa
-creano condizioni nuove che permettono al capitale di accentuare questa sua tendenza costante,
-creano motivi nuovi per istigare la sua brama di lavoro altrui.

In un primo tempo nelle macchine
il movimento e l’attività del mezzo di lavoro si rendono indipendenti di fronte all’operaio
il mezzo di lavoro diventa un perpetuum mobile industriale che continuerebbe a produrre
se non si imbattesse in determinati limiti naturali degli umani: la loro debolezza fisica e la loro volontà a sè.

Come abbiamo visto
la produttività delle macchine, è inversamente proporzionale
alla grandezza dell’elemento costitutivo del valore da esse trasmesso al manufatto:
più è lungo il periodo durante il quale funzionano
-tanto maggiore è la massa di prodotti su cui si distribuisce il valore da esse aggiunto,
-tanto minore è la parte di valore che esse aggiungono alla merce singola.

Il periodo attivo di vita delle macchine è determinato
dalla durata della giornata lavorativa moltiplicata per il numero delle giornate in cui esso si ripete,

l’usura della macchina è di duplice natura:
-c’è una usura che nasce dall’uso della macchina: che è in proporzione diretta dell’uso della macchina,
-un’altra che deriva dal rimanere la macchina non adoperata:
che è l’usura da parte degli elementi e che è, fino a un certo punto, in proporzione inversa,

poi c’è un’usura morale: perde valore di scambio
-nella misura in cui la macchina può essere riprodotta a buon mercato
-o nella misura in cui arrivano, facendole concorrenza, macchine migliori:
in entrambi i casi il suo valore non è più determinato
-dal tempo di lavoro oggettivato in essa
-ma dal tempo di lavoro necessario alla sua riproduzione
quindi è svalutata;
più è breve il periodo entro il quale viene riprodotto il suo valore, tanto minore è il pericolo dell’usura morale,
più lunga è la giornata lavorativa tanto più breve è quel periodo.
Alla prima introduzione delle macchine
si susseguono metodi nuovi per la loro riproduzione a buon mercato e perfezionamenti che s’impadroniscono
della loro costruzione:
quindi
nel loro primo periodo di vita, prolungare la giornata lavorativa agisce in modo acutissimo,
in circostanze invariate e con una giornata lavorativa data
-lo sfruttamento di un numero raddoppiato di operai richiede
il raddoppiamento del capitale costante spesa in macchine, in edifici, in materie prime.




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Con il prolungamento della giornata lavorativa
-la scala della produzione si estende,
-la parte di capitale spesa in macchine e in edifici rimane invariata:
quindi
-aumenta il plusvalore
-diminuiscono le spese necessarie al suo sfruttamento:
questo avviene anche quando si prolunghi la giornata lavorativa,

infatti lo sviluppo dell’industria meccanica vincola una parte del capitale sempre maggiore in una forma in cui
-da un lato è sempre valorizzabile
-dall’altro perde valore d’uso e valore di scambio appena il suo contatto con il lavoro venga interrotto;

La macchina produce plusvalore relativo
-svalutando la forza-lavoro e riducendola più a buon mercato in quanto riduce più a buon mercato le merci che entrano nella sua riproduzione,
-trasformando il lavoro impiegato dal possessore della macchina in lavoro potenziato
aumentando il valore sociale del prodotto della macchina al di sopra del suo valore individuale
e mettendo il capitalista in grado di reintegrare il valore della forza-lavoro con una parte minore di valore del prodotto giornaliero.

Durante questo periodo di transizione in cui
-l’industria meccanica rimane una specie di monopolio
-i profitti sono straordinari
il capitalista cerca di sfruttare questo momento prolungando il più possibile la giornata lavorativa.

Con l’introduzione generale delle macchine in uno stesso ramo della produzione
-il valore sociale del prodotto delle macchine scende al suo valore individuale
-entra in azione la legge
per la quale il plusvalore non deriva dalle forze-lavoro - sostituite dal capitalista con le macchine,
bensì dalle forze-lavoro che egli impiega per il loro funzionamento.

Il plusvalore nasce solo dalla parte variabile del capitale
e abbiamo visto che

la massa del plusvalore è determinata da due fattori
-dal saggio del plusvalore
-e dal numero degli operai impiegati simultaneamente:

data la durata della giornata lavorativa,
-il saggio del plusvalore è determinato
dalla proporzione in cui la giornata lavorativa si scinde in lavoro necessario e in pluslavoro,
il numero degli operai impiegati simultaneamente dipende
dalla proporzione in cui si trovano la parte variabile del capitale e quella costante:

l’industria meccanica
qualunque sia la misura in cui essa estenda il pluslavoro a spese del lavoro necessario,
-raggiunge questo risultato solo diminuendo il numero degli operai impiegati
-trasforma una parte del capitale -che era variabile ossia si trasformava in forza-lavoro viva-
in macchinario vale a dire in capitale costante che non produce plusvalore;
per es. è impossibile spremere da due operai il plusvalore che si spreme da ventiquattro,



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quindi
nell’uso del macchinario per la produzione di plusvalore
vi è una contraddizione immanente giacchè
quest’uso ingrandisce uno dei due fattori del plusvalore
-che fornisce un capitale di una grandezza data ossia il saggio del plusvalore-
solo diminuendo l’altro fattore: il numero degli operai:

questa contraddizione immanente si manifesta quando
con l’introduzione del macchinario in un ramo dell’industria,
il valore della merce prodotta diventa il valore sociale normativo di tutte le merci dello stesso genere;
questa contraddizione spinge il capitale al più violento prolungamento della giornata lavorativa
per compensare la diminuzione del numero relativo degli operai sfruttati
con l’aumento del pluslavoro relativo ed anche assoluto.

Quindi se l’uso capitalistico del macchinario

da un lato
crea nuovi motivi di un prolungamento smisurato della giornata lavorativa
rivoluziona
-il modo stesso di lavorare
-e il carattere del corpo lavorativo sociale
in maniera tale da spezzare la resistenza a questa tendenza,

dall’altro lato produce
in parte con la assunzione al capitale di strati di lavoratori in passato inaccessibili,
in parte con il disimpegno degli operai soppiantati dalla macchina
una popolazione operaia sovrabbondante costretta a lasciarsi dettar legge dal capitale.

Da ciò
lo strano fenomeno della storia dell’industria moderna:
la macchina butta all’aria i limiti morali e naturali della giornata lavorativa,
da ciò il paradosso economico
il mezzo più potente per l’accorciamento del tempo di lavoro
si trasforma nel mezzo per trasformare tutto il tempo della vita dell’operaio e della sua famiglia
in tempo di lavoro disponibile per la valorizzazione del capitale.




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c) Intensificazione del lavoro.

come abbiamo visto,
il prolungamento smisurato della giornata lavorativa prodotto dal macchinario nelle mani del capitale,
porta con sè
una reazione della società e con ciò una giornata lavorativa normale limitata legalmente:
sulla base di quest’ultima giunge
il fenomeno importante della intensificazione del lavoro, già prima incontrato

Nell’analisi del plusvalore assoluto si è trattato, in un primo tempo
-della grandezza estensiva del lavoro,
-e il grado della sua intensità era presupposto come dato,

Ora dobbiamo considerare la trasformazione della grandezza estensiva in grandezza intensiva.

È ovvio che
col progresso del sistema meccanico e con l’esperienza accumulata da una classe particolare di operai
aumenti velocità e intensità del lavoro:
in tal modo procede di pari passo
-il prolungamento della giornata lavorativa
-la crescente intensità del lavoro di fabbrica.

in un lavoro si tratta di una uniformità regolare:
-si deve giungere a un punto in cui
l’estensione della giornata lavorativa e l’intensità del lavoro si escludano a vicenda
-cosicchè
il prolungamento della giornata lavorativa resta compatibile con un grado più debole d’intensità del lavoro
-e, viceversa,
un grado accresciuto di intensità resta compatibile solo con un accorciamento della giornata lavorativa.

Appena la ribellione della classe operaia ebbe costretto lo Stato
-ad abbreviare il tempo di lavoro  
-a imporre una giornata lavorativa normale alla fabbrica,

dunque da quel momento
fu precluso un aumento della produzione di plusvalore mediante il prolungamento della giornata lavorativa
il capitale si gettò sulla produzione di plusvalore relativo
mediante un accelerato sviluppo del sistema delle macchine
allo stesso tempo subentra un cambiamento nel carattere del plusvalore relativo:

il metodo di produzione del plusvalore relativo consiste
-nel mettere l’operaio in grado di produrre di più con lo stesso dispendio di lavoro
-e nel contempo mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro:
lo stesso tempo di lavoro aggiunge al prodotto complessivo lo stesso valore di prima,
benché quindi cali il valore della merce singola.
  

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diversamente stanno le cose quando,
con l’impulso che dà allo sviluppo della forza produttiva e all’economizzazione delle condizioni di produzione,

l’accorciamento forzato della giornata lavorativa, impone all’operaio
-maggiore dispendio di lavoro in un tempo invariato,
-una tensione più alta della forza-lavoro,
-un più fitto riempimento dei pori del tempo di lavoro cioè una condensazione del lavoro che raggiunge solo entro la giornata lavorativa accorciata;

adesso,
l’ora più intensa della giornata lavorativa di dieci ore contiene tanto lavoro ossia forza-lavoro spesa
quanto l’ora più porosa della giornata lavorativa di dodici ore

quindi
il suo prodotto ha lo stesso valore o un valore maggiore di quello dell’ora e un quinto più porosi;

adesso, per es.
tre ore e un terzo di pluslavoro su sei e due terzi di lavoro necessario
forniscono al capitalista
la stessa massa di valore che fornivano prima quattro ore di pluslavoro su otto di lavoro necessario.

In che modo il lavoro viene intensificato.

il primo effetto della giornata lavorativa accorciata poggia sulla legge ovvia
-che la capacità di azione della forza-lavoro è in proporzione inversa del tempo della sua azione,          
quindi
-nell’azione di quella forza si guadagna di grado quel che va perduto nella sua durata
-il capitale, mediante il metodo del pagamento, provvede che l’operaio renda liquida una maggiore forza-lavoro.

Nelle manifatture, es nella ceramica, in cui il macchinario ha una funzione minima,
l’introduzione della legge sulle fabbriche ha dimostrato che l’accorciamento della giornata lavorativa
aumenta la regolarità, l’uniformità, l’ordine, la continuità e l’energia del lavoro.

Appena l’accorciamento della giornata lavorativa,
-che crea la condizione soggettiva della condensazione del lavoro ossia la capacità dell’operaio di rendere liquida una quantità maggiore di forza-
diventa obbligatorio per legge
la macchina diventa, nelle mani del capitale:
il mezzo per estorcere una quantità maggiore di lavoro nel medesimo tempo;
questo avviene in duplice maniera:
-mediante l’aumento della velocità delle macchine
-mediante l’ampliamento del volume di macchinario da sorvegliare da uno stesso operaio,
il perfezionamento nella costruzione del macchinario
-in parte è necessario per esercitare una pressione maggiore sugli operai,
-in parte accompagna spontaneamente l’intensificazione del lavoro,
perchè il limite della giornata lavorativa costringe il capitalista all’economia più rigorosa nei costi di produzione.



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Il perfezionamento della macchina a vapore
aumenta il numero dei colpi di stantuffo al minuto
e consente insieme, mediante un maggiore risparmio di energia, di far funzionare con lo stesso motore un meccanismo più ampio,
restando invariato o diminuendo il consumo di carbone;

Il perfezionamento del meccanismo di trasmissione
diminuisce la frizione
e - questo distingue il macchinario moderno da quello più vecchio-
riduce il diametro e il peso degli alberi a un minimo sempre decrescente;

infine i perfezionamenti delle macchine operatrici 
diminuiscono - data la maggiore velocità e l’azione più ampia - il volume del macchinario come nel caso del telaio a vapore moderno
oppure ingrandiscono insieme col corpo del macchinario l’ampiezza e il numero degli strumenti azionati da esso es. nel caso della filatrice meccanica,
oppure aumentano la mobilità di questi strumenti mediante quasi impercettibili mutamenti come, nel caso della self-acting mule, la velocità dei fusi venne aumentata di un quinto.

James Nasmyth illustrò i perfezionamenti apportati alla macchina a vapore,
«un macchinario a vapore dello stesso peso, che le stesse identiche macchine munite però dei perfezionamenti moderni, compiono il cinquanta per cento di più dell’opera che compivano prima, e quelle stesse identiche macchine a vapore fornivano cinquanta cavalli vapore, forniscono oggi, con un consumo di carbone diminuito, più di cento cavalli vapore.
La macchina a vapore moderna dello stesso numero nominale di cavalli vapore viene azionata con maggiore forza di prima
a causa dei perfezionamenti apportati, del volume ridotto e della costruzione della caldaia.
Benché venga impiegato lo stesso numero di braccia di prima in rapporto ai cavalli vapore nominali, vengono impiegate meno braccia in rapporto alle macchine operatrici».

«I dati di fatto constatati dall’ultima statistica ufficiale che la macchina a vapore aziona macchine più pesanti in seguito a economia di energia e ad altri metodi, e che si ottiene un aumento nella quantità dei manufatti a causa dei perfezionamenti delle macchine:
a causa dei metodi modificati di fabbricazione, di un aumento della velocità del macchinario e di molti altri motivi».
«I grandi perfezionamenti apportati a macchine di ogni specie hanno aumentato la forza produttiva delle macchine stesse.
Indubbiamente l’incitamento a tali perfezionamenti è venuto dall’accorciamento della giornata lavorativa.

Tali perfezionamenti e lo sforzo più intenso dell’operaio
hanno fatto sì che nella giornata lavorativa accorciata» di due ore
«viene fornito prodotto nella medesima quantità fornita prima, durante la giornata lavorativa più lunga»:
l’arricchimento dei fabbricanti in virtù dello sfruttamento più intensivo della forza-lavoro
è dimostrato dal fatto che l’aumento medio delle fabbriche inglesi di cotone
ammontava nel periodo 1838-1850 al trentadue, nel periodo 1850-1856 invece all’ottantasei per cento all’anno:
quindi, malgrado il forte aumento del numero dei telai, il numero complessivo degli operai impiegati era diminuito e quello dei fanciulli sfruttati era aumentato.
Quindi, benché gli ispettori di fabbrica elogino i risultati favorevoli delle leggi sulle fabbriche del 1844 e 1850, ammettono che l’accorciamento della giornata lavorativa ha già provocato un’intensità del lavoro che distrugge la salute degli operai, ossia la forza-lavoro stessa. Il deputato Ferrand:      « Delegati operai mi hanno comunicato che a causa dei perfezionamenti del macchinario il lavoro è in continuo aumento nelle fabbriche.
Non v’è dubbio che la tendenza del capitale, (appena la legge gli preclude il prolungamento della giornata lavorativa)
-a ripagarsi con l’aumento del grado di intensità del lavoro
-e a stravolgere ogni perfezionamento del macchinario in un mezzo per sfruttare più forza-lavoro,
dovrà portare di nuovo a una svolta in cui si renderà inevitabile una nuova diminuzione delle ore lavorative;




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è dopo “aumenta la regolarità, l’uniformità, l’ordine, la continuità e l’energia del lavoro”
Questo effetto sembrava dubbio nella fabbrica vera e propria dove la dipendenza del l’operaio dal movimento continuato e uniforme della macchina aveva creato una disciplina rigorosissima.
Perciò, quando si discusse la riduzione della giornata lavorativa al di sotto delle 12 ore, i fabbricanti dichiararono che il grado di vigilanza e di attenzione degli operai era difficilmente suscettibile di aumento», e che «era quindi un’assurdità aspettarsi da un aumento dell’attenzione ecc. degli operai un qualsiasi risultato degno di nota». Questa affermazione fu confutata da esperimenti.
ll signor R. Gardner fece lavorare nelle sue due grandi fabbriche invece di dodici ore solo 11 al giorno. Dopo un anno circa si ebbe il risultato che la stessa quantità di prodotti era ottenuta agli stessi costi, e che tutti gli operai guadagnavano in 11 ore lo stesso salario guadagnato prima in 12»
Il risultato fu: «con una giornata lavorativa di dodici ore, salario settimanale medio di ogni operaio dieci scellini, un penny e mezzo, dal 20 aprile al 29 giugno 1844, con una giornata lavorativa di undici ore, salario settimanale medio dieci scellini e tre pence e mezzo».
In questo caso in undici ore si produceva più che prima in dodici ed esclusivamente per una maggiore applicazione uniforme degli operai e per l’economia del loro tempo. Mentre essi ricevevano lo stesso salario e guadagnavano un’ora di tempo libero, il capitalista riceveva la stessa massa di prodotti e risparmiava sulla spesa del carbone, gas, ecc. per la durata di un’ora.
La riduzione della giornata lavorativa a dodici ore risale in Inghilterra al 1832.
Fin dal 1836 un fabbricante inglese dichiarava: «A paragone di prima il lavoro da compiersi nelle fabbriche è cresciuto molto a causa della maggiore attenzione ed attività richieste all’operaio dal notevole aumento della velocità del macchinario»
Nel l’anno 1844 Lord Ashley, ora Conte Shaftesbury, fece alla Camera dei Comuni la seguente esposizione documentata:
«Il lavoro che le persone impiegate nei processi di fabbricazione devono compiere ora è tre volte maggiore di quello che era al momento dell’introduzione di tali operazioni.
Il macchinario ha compiuto un’opera che sostituisce i tendini e i muscoli di milioni di uomini, ma esso ha anche aumentato in maniera stupefacente il lavoro degli uomini dominati dal suo terribile movimento.
Un altro documento del 1842 dimostra che il lavoro aumenta progressivamente non soltanto perchè si deve percorrere una distanza maggiore, ma perchè aumenta la quantità delle merci prodotte, mentre il numero delle braccia diminuisce in proporzione; e inoltre, perchè spesso ora si fila del cotone peggiore che richiede più lavoro.
Nella stanza della cardatura è subentrato a sua volta un grande aumento di lavoro.
Una persona compie ora il lavoro suddiviso prima su due.
Nella tessitura in cui lavora un grande numero di persone, per lo più di sesso femminile,
il lavoro è aumentato negli ultimi anni di ben dieci per cento a causa dell’aumento della velocità del macchinario.
Dinanzi a questa notevole intensità raggiunta dal lavoro sotto il dominio della legge delle dodici ore,
sembrava giustificata la dichiarazione dei fabbricanti inglesi che ogni ulteriore progresso in quella direzione era impossibile e che quindi ogni ulteriore diminuzione del tempo di lavoro era sinonimo di diminuzione della produzione.
L’apparente esattezza del loro ragionamento viene comprovata dalla dichiarazione riportata del loro censore, l’ispettore di fabbrica Leonard Horner:
«Siccome la quantità prodotta viene regolata principalmente dalla velocità del macchinario,
dev’essere interesse del fabbricante di farlo funzionare con il maggior grado di velocità possibile,
compatibile con le seguenti condizioni: preservazione del macchinario da troppo rapido logoramento, conservazione della qualità dell’articolo fabbricato,
e capacità dell’operaio di seguire il movimento senza una fatica superiore a quella a cui egli possa sottostare in via continuativa: accade che il fabbricante nella sua fretta affannosa acceleri troppo il movimento;
allora le rotture e i manufatti cattivi compensano ad usura la velocità, ed è costretto a moderare l’andamento del macchinario.
Siccome un fabbricante attivo e avveduto riesce a trovare il massimo raggiungibile, ritenevo logicamente che fosse impossibile produrre in undici ore quanto si produceva in dodici.
Supponevo che l’operaio pagato a cottimo compisse uno sforzo estremo fino al limite in cui poteva sopportare continuativamente lo stesso grado di lavoro»  Horner ne deduceva quindi, malgrado gli esperimenti di Gardner che una riduzione ulteriore della giornata lavorativa al di sotto delle dodici ore dovesse diminuire la quantità del prodotto. Egli stesso cita, dieci anni dopo, i suoi dubbi del 1845 per dimostrare quanto poco egli allora avesse compreso l’elasticità del macchinario e della forza-lavoro umana, che vengono tese al massimo l’una e l’altra in egual misura dall’accorciamento coattivo della giornata lavorativa.
Esaminiamo ora il periodo successivo all’introduzione della legge delle dieci ore,
nelle fabbriche inglesi del cotone, della lana, della seta e del lino.
«La velocità dei fusi è aumentata sui throstles di cinquecento giri, sulle mules di mille giri al minuto, vale a dire la velocità dei fusi di throstle che ammontava a quattromilacinquecento giri al minuto, ammonta ora a cinquemila,
e quella dei fusi di mule che ammontava a cinquemila, ammonta ora a seimila al minuto,
il che comporta nel primo caso una velocità addizionale di un decimo, nel secondo di un sesto».



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4. LA FABBRICA.

(RIASSUNTO
All’inizio di questo capitolo
abbiamo considerato il corpo della fabbrica, l’articolazione del sistema meccanico
abbiamo visto poi
come il macchinario aumenti il materiale umano sottoposto allo sfruttamento del capitale mediante l’appropriazione del lavoro delle donne e dei fanciulli,
come esso confischi la vita dell’operaio mediante una estensione smisurata della giornata lavorativa,
e come il suo progresso, che consente di fornire in un tempo più breve un prodotto in enorme aumento,
serva da mezzo sistematico per rendere liquida una maggiore quantità di lavoro in ogni momento,
ossia per sfruttare sempre più intensamente la forza-lavoro.)

Passiamo ora a considerare l’insieme della fabbrica nel suo aspetto più perfezionato:

Il dott. Ure, che è il Pindaro della fabbrica automatica, la descrive
da un lato come «cooperazione di classi diverse di operai, adulti e non adulti, i quali sorvegliano un sistema di meccanismi produttivi, ininterrottamente mosso da una forza centrale» (il primo motore),
dall’altro come «un automa enorme, composto di innumerevoli organi meccanici e autocoscienti, i quali agiscono in accordo e senza interruzione per produrre uno stesso oggetto, cosicchè tutti questi organi sono subordinati a una sola forza motrice semovente».

Queste due espressioni non sono affatto identiche:
nell’una l’operaio complessivo combinato ossia il corpo lavorativo sociale appare come soggetto dominante
e l’automa meccanico appare come oggetto;
nell’altra l’automa stesso è il soggetto e gli operai sono soltanto coordinati ai suoi organi incoscienti quali organi coscienti e insieme a quelli sono subordinati alla forza motrice centrale:
la prima espressione vale per qualsiasi applicazione del macchinario su larga scala,
l’altra caratterizza la sua applicazione capitalistica e quindi il moderno sistema di fabbrica.

All’Ure piace anche rappresentare la macchina centrale da cui parte il movimento,
non solo come automa ma come autocrate:
«In queste grandi officine la benefica potenza del vapore raccoglie intorno a sè le miriadi dei suoi sudditi».

Insieme allo strumento da lavoro anche il virtuosismo nell’usarlo trapassa dall’operaio alla macchina:
la capacità d’azione dell’utensile è emancipata dai limiti personali della forza-lavoro umana,
con ciò è soppressa la base tecnica su cui si fonda la divisione del lavoro nella manifattura;
alla gerarchia di operai specializzati che caratterizza quest’ultima,
quindi subentra nella fabbrica automatica la tendenza dell’eguaglianza
ossia del livellamento dei lavori da compiersi dagli addetti al macchinario,
alle differenze prodotte ad arte fra gli operai addetti a singole parti
subentrano le differenze naturali dell’ètà e del sesso;
in quanto la divisione del lavoro nella fabbrica automatica riappare
essa è in primo luogo
distribuzione degli operai fra le macchine specializzate
e distribuzione di masse operaie
le quali tuttavia non costituiscono gruppi articolati, fra i vari reparti della fabbrica dove lavorano a macchine utensili omogenee giustapposte,
dove quindi si ha soltanto una cooperazione semplice fra gli operai.
Il gruppo articolato della manifattura è sostituito dal nesso fra operaio capo e alcuni pochi aiutanti.
La distinzione sostanziale è quella fra gli operai i quali occupati alle macchine utensili
Si ha un personale numericamente insignificante che si occupa del controllo del macchinario es. ingegneri, meccanici, falegnami:
si tratta di una classe operaia superiore, in parte scientificamente istruita, in parte di tipo artigiano, che è solo aggregata agli operai .
Questa divisione del lavoro è puramente tecnica.


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-Ogni lavoro alla macchina
richiede che l’operaio sia addestrato presto per imparare ad adattare il proprio movimento al movimento uniforme e continuativo di una macchina automatica:
-in quanto il macchinario complessivo costituisce un sistema di molteplici macchine che operano simultaneamente e combinate,
anche la cooperazione basata su di esso richiede una distribuzione di differenti gruppi operai fra le differenti macchine;

il funzionamento a macchina
-elimina la necessità di consolidare questa distribuzione come accadeva per la manifattura,
mediante la permanenza dello stesso operaio alla stessa funzione;
-siccome il movimento complessivo della fabbrica parte dalla macchina,
può aver luogo un cambiamento delle persone senza che ne derivi un’interruzione del processo lavorativo,
la prova più lampante di questo è data dal sistema a relais
-la velocità con la quale il lavoro alla macchina viene appreso nell’età giovanile,
elimina la necessità di preparare una classe di operai al lavoro delle macchine.

i servizi dei semplici manovali nella fabbrica sono
-in parte sostituibili con macchine
-in parte consentono, per la loro emplicità, un rapido e costante cambiamento delle persone

benché il macchinario butti tecnicamente per aria il vecchio sistema della divisione del lavoro,
in un primo tempo
-questo sistema persiste nella fabbrica come tradizione della manifattura
-poi  viene riprodotto e consolidato dal capitale quale mezzo di sfruttamento della forza-lavoro.

dalla specialità consistente nel maneggiare uno strumento parziale,
si genera
la specialità nel servire una macchina parziale:
del macchinario si abusa per trasformare l’operaio nella parte di una macchina parziale;
così
-si diminuiscono le spese necessarie alla riproduzione dell’operaio
-si completa la sua dipendenza dall’insieme della fabbrica, quindi dal capitalista;
si deve distinguere fra
-maggiore produttività      dovuta allo sviluppo del processo sociale di produzione
-e maggiore produttività   dovuta al suo sfruttamento capitalistico.

Nella manifattura e nell’artigianato
l’operaio si serve dello strumento: qui dall’operaio parte il movimento del mezzo di lavoro,
nella fabbrica
è l’operaio che serve la macchina: qui egli deve seguire il movimento;

nella manifattura gli operai costituiscono le articolazioni di un meccanismo vivente,
nella fabbrica gli operai gli sono incorporati come appendici umane ad un meccanismo indipendente da essi
«La malinconica svogliatezza di un tormento di lavoro senza fine, per cui si torna sempre a ripercorrere lo stesso processo meccanico, assomiglia al lavoro di Sisifo; la mole del lavoro, come la roccia, torna sempre a cadere sull’operaio spossato»;
il lavoro alla macchina
-intacca il sistema nervoso,
-sopprime l’azione molteplice dei muscoli
-confisca ogni libera attività fisica e mentale
-la facilitazione del lavoro diventa un mezzo di tortura giacché la macchina non libera dal lavoro l’operaio
ma toglie il contenuto al suo lavoro.


154



È fenomeno comune alla produzione capitalistica in quanto processo lavorativo e di valorizzazione del capitale
che:
-non è l’operaio ad adoperare la condizione del lavoro
-ma la condizione del lavoro ad adoperare l’operaio
questo capovolgimento viene ad avere soltanto con le macchine una realtà tecnicamente evidente.

Mediante la sua trasformazione in macchina automatica,
il mezzo di lavoro si contrappone all’operaio durante lo stesso processo lavorativo
-quale capitale
-quale lavoro che domina la forza-lavoro;

come accennato prima,
-la scissione fra le potenze mentali del processo di produzione e il lavoro manuale
-la trasformazione di quelle in poteri del capitale sul lavoro
si compie nella grande industria edificata sulla base delle macchine;

l’abilità parziale dell’operaio individuale svuotato scompare come accessorio dinanzi
-alla scienza,
-alle immani forze naturali
-al lavoro sociale di massa
incarnati nel sistema delle macchine

-La subordinazione tecnica dell’operaio all’andamento uniforme del mezzo di lavoro
-la composizione del corpo lavorativo, fatto di individui d’ambo i sessi e di diversissimi gradi d’età
creano una disciplina da caserma
-che diviene regime di fabbrica completo
-e che porta allo sviluppo pieno del lavoro di sorveglianza
quindi porta la divisione degli operai
-in operai manovali e sorveglianti del lavoro,
-in soldati semplici dell’industria e in sottufficiali dell’industria.

L’economizzazione dei mezzi sociali di produzione, giunto maturazione solo nel sistema di fabbrica,
diviene allo stesso tempo, nelle mani del capitale, depredazione sistematica
-delle condizioni di vita dell’operaio durante il lavoro,
-dello spazio,
-dell’aria,
-della luce
-dei mezzi personali di difesa contro le circostanze contro incidenti sul lavoro o le condizioni antigieniche.  


155



5. LOTTA FRA OPERAIO E MACCHINA.

La lotta fra capitalista e operaio salariato
-comincia                     con il rapporto capitalistico
-continua a infuriare durante tutto il periodo manifatturiero,
solo dopo l’introduzione delle macchine
l’operaio
-combatte il mezzo di lavoro stesso, ossia il modo materiale di esistenza del capitale,
-si rivolta contro questa forma determinata del mezzo di produzione fondamento materiale del modo capitalistico di produzione:
durante il secolo XVII l’Europa vide
rivolte operaie contro la Bandmühl una macchina per tessere nastri e galloni,
es. una segatrice meccanica a vento soccombette agli eccessi della plebaglia;
ancora agli inizi del secolo XVIII in Inghilterra
le segatrici meccaniche mosse ad acqua vinsero solo a fatica la resistenza popolare appoggiata dal parlamento,
la prima macchina ad acqua per cimare la lana dell’Everet fu incendiata
la distruzione in massa di macchine nei distretti manifatturieri inglesi offrì, sotto il nome di movimenti dei Luddisti, il pretesto per violenze ultrareazionarie;
ci vogliono tempo ed esperienza affinché l’operaio apprenda
-a distinguere le macchine dal loro uso capitalistico,
-a trasferire i suoi attacchi dal mezzo materiale di produzione alla forma sociale di sfruttamento.

Le lotte per il salario lavorativo entro la manifattura
sono i maestri delle corporazioni e delle città privilegiate
non i salariati a lottare contro la formazione delle manifatture
durante il periodo della manifattura,
la lavorazione di tipo artigianale era rimasta il fondamento della manifattura;
i nuovi mercati coloniali non potevano venir soddisfatti con gli operai urbani della tradizione medievale
le manifatture
aprivano nuovi campi di produzione alla popolazione rurale cacciata dalla terra con il dissolversi del feudalesimo;
perciò nella divisione del lavoro e nella cooperazione entro le officine risaltò il fatto che esse rendono più produttivi gli operai occupati.

La cooperazione e la combinazione dei mezzi di lavoro in mano di poche persone se applicate all’agricoltura,
provocano
rivoluzioni improvvise e violente
del modo di produzione
delle condizioni di vita
e dei mezzi di occupazione della popolazione rurale molto prima del periodo della grande industria;
originariamente
questa lotta si svolge
più fra proprietari rurali grandi e piccoli
che fra capitale e lavoro salariato,
dall’altra parte,
quando gli operai vengono soppiantati da mezzi di lavoro
gli atti di violenza diretta costituiscono il presupposto della rivoluzione industriale:
prima vengono scacciati dalla terra gli operai e poi arrivano le pecore,
solo il furto di terra su grande scala crea alla grande agricoltura il suo campo di attuazione.
quindi questo rivolgimento dell’agricoltura ha agli inizi più l’apparenza di una rivoluzione politica.



156




Come macchina, il mezzo di lavoro diviene concorrente dell’operaio:
la autovalorizzazione del capitale mediante la macchina
sta in rapporto diretto col numero degli operai dei quali la macchina distrugge le condizioni di esistenza,

Il sistema della produzione capitalistica poggia sul fatto che l’operaio vende la sua forza-lavoro come merce,
la divisione del lavoro rende unilaterale la forza-lavoro:
facendone una abilità particolare nell’uso di uno strumento parziale;

appena
il maneggio dello strumento è affidato alla macchina,
si estingue il valore d’uso e con esso il valore di scambio della forza-lavoro:
l’operaio diventa invendibile
così
parte della classe operaia che viene trasformata dalle macchine,
-in popolazione superflua
-non più necessaria per la autovalorizzazione del capitale,
una parte soccombe nella lotta della vecchia industria di tipo artigianale e manifatturiero contro l’industria meccanica
l’altra
-inonda i rami accessibili dell’industria,
-fa traboccare il mercato del lavoro
-fa scendere quindi il prezzo della forza-lavoro al di sotto del suo valore:

dove la macchina prende un campo di produzione produce la miseria negli strati operai in concorrenza con essa,
dove il trapasso è rapido, l’effetto è di massa e acuto:
estinzione dei tessitori artigiani di cotone inglesi causà per anni miserie ed estinzione di operai e famiglie.

L’effetto «temporaneo» delle macchine diventa permanente,
in quanto s’impadronisce di sempre nuovi campi di produzione:
con esse si ha per la prima volta la rivolta brutale dell’operaio contro il mezzo di lavoro
si genera un antagonismo completo, diretto e tangibile quando le macchine si trovano
in concorrenza con l’industria tradizionale artigiana o manifatturiera;

anche all’interno della grande industria
il perfezionamento delle macchine e lo sviluppo del sistema automatico hanno effetti analoghi:
«Nel sistema automatico il talento dell’operaio viene progressivamente soppiantato» 
«Il perfezionamento delle macchine
esige la diminuzione del numero degli operai adulti occupati
sostituisce a una classe d’individui un’altra classe,
una classe meno abile a una più abile,
bambini agli adulti,
donne agli uomini.
Tutti questi cambiamenti causano fluttuazioni costanti nel saggio del salario lavorativo».
Abbiamo visto come
l’avanzamento del sistema delle macchine sotto la pressione dell’abbreviamento della giornata lavorativa
ha mostrato la straordinaria elasticità del sistema delle macchine dovuta
-all’ esperienza pratica accumulata,
-al volume dei mezzi meccanici già a disposizione
-al costante progresso della tecnica.  


157  



Dalle dichiarazioni ufficiali degli ispettori di fabbrica inglesi, un paio di esempi:
Un fabbricante di Manchester dichiara: «Invece di settantacinque cardatrici meccaniche ora ne impieghiamo solo dodici che forniscono la stessa quantità di materiale, di qualità altrettanto buona se non migliore.
Il risparmio di salari ammonta a dieci sterline alla settimana, quello di cascame di cotone al dieci per cento».
In una filanda di filati fini di Manchester, «si è eliminato in un reparto un quarto, in un altro più della metà del personale operaio, mediante l’acceleramento del movimento e l’introduzione di diversi procedimenti self-acting, mentre la pettinatrice meccanica introdotta al posto della seconda cardatrice meccanica ha diminuito di molto il numero delle braccia prima occupate nella stanza della cardatura».
Un’altra filanda a macchina valuta al dieci per cento il suo risparmio generale di «braccia».
I signori Gilmore, proprietari di una filanda a Manchester, dichiarano: «Nel nostro reparto dei mantici valutiamo il risparmio di braccia e di salario fatto col nuovo macchinario a un terzo abbondante.
Ma questo non è tutto; adesso, quando il nostro filo va ai tessitori, è tanto migliorato per l’uso del nuovo macchinario, che essi producono tessuto più abbondante e migliore che col filo delle macchine vecchie»
L’ispettore di fabbrica A. Redgrave aggiunge:
«La diminuzione degli operai avanza rapidamente mentre aumenta la produzione; nelle fabbriche di lana è cominciata una nuova riduzione delle braccia, che ancora continua; pochi giorni fa un maestro di scuola che abita presso Rochdale mi ha detto che la gran diminuzione nelle scuole femminili non si deve soltanto alla pressione della crisi, ma anche ai cambia menti del macchinario dei lanifici, in seguito ai quali ha avuto luogo una riduzione media di settanta operai a mezzo orario.
Dunque dal 1861 al 1868 sono scomparse 338 fabbriche di cotone;
cioè un macchinario più produttivo e più grandioso si è concentrato nelle mani di un numero minore di capitalisti;
Il numero dei telai a vapore è diminuito di 20.663 unità,
ma il loro prodotto è aumentato, cosicchè un telaio perfezionato viene ora a fornire più lavoro di uno vecchio, nfine il numero dei fusi è cresciuto di 1.612.547, mentre il numero degli operai occupati è diminuito di 50.505 unità.
La miseria «temporanea» con la quale la crisi del cotone ha schiacciato gli operai,
è stata dunque aumentata e consolidata da un rapido e costante progresso della macchina
La macchina non agisce solo come concorrente pronto a rendere «superfluo» l’operaio salariato,
il capitale
-la proclama e la maneggia come potenza ostile all’operaio
-essa diventa l’arma più potente per reprimere gli scioperi degli operai contro il capitale,

secondo Gaskell
la macchina a vapore
-è stata un antagonista della «forza umana»
-ha messo il capitalista in grado di stroncare le rivendicazioni degli operai,
tra le invenzioni nate come armi del capitale contro le sommosse operaie,
es. la self-acting mule, perchè apre una nuova epoca del sistema automatico.
Nasmyth, l’inventore del maglio a vapore, riferisce come segue sui perfezionamenti del macchinario introdotti in seguito al grande sciopero del 1851:
«Il tratto caratteristico dei nostri perfezionamenti è la introduzione di macchine utensili automatiche.
-l’operaio non  lavora ma sorveglia il lavoro della macchina
-è eliminata quella classe di operai che dipendevano dalla propria abilità
grazie a queste nuove combinazioni meccaniche
-ho ridotto il numero dei maschi adulti
-la conseguenza è stata un aumento notevole del mio profitto».
L’ Ure dice,  sulla invenzione della self-acting mule:
«Questa invenzione conferma la dottrina da noi sviluppata che il capitale,
forzando la scienza a servirlo, costringe alla docilità la mano ribelle del lavoro».




158




6. La teoria della compensazione rispetto agli operai soppiantati dalle macchine.

Economisti borghesi, come James Mill, il MacCulloch, il Torrens, il Senior, J. St. Mill, affermano che
le macchine che soppiantano degli operai,
liberano necessariamente, un capitale adeguato a occupare gli stessi identici operai:

i dati di fatto reali sono questi:

gli operai soppiantati dal macchinario
-vengono gettati fuori dell’officina, sul mercato del lavoro,
-accrescono il numero delle forze-lavoro già disponibili per lo sfruttamento capitalistico,

gli operai scacciati possono cercare occupazione in un’altra branca d’industria:
e se la trovano è in poche branche di lavoro sottopagate
così
si riannoda il vincolo fra loro e i mezzi di sussistenza,
ciò avviene per mezzo di un capitale nuovo che preme per essere investito
mai per mezzo del capitale che funzionava già prima

ogni branca dell’industria attrae una nuova fiumana di uomini,
che le forniscono contingente per la reintegrazione e la crescita regolari,
appena
le macchine mettono in libertà una parte di operai occupati in una data branca
la truppa di riserva viene ridistribuita e assorbita in altre branche di lavoro,
mentre le prime vittime deperiscono durante il periodo del trapasso,

benché le macchine soppiantino gli operai nelle branche di lavoro dove vengono introdotte,
possono provocare un aumento di occupazione in altre branche:
questo effetto non ha niente a che fare con la teoria della compensazione,

poichè ogni prodotto delle macchine è più a buon mercato del prodotto a mano similare da esso soppiantato,
ne segue questa legge assoluta:
se la quantità complessiva dell’articolo prodotto a macchina
resta eguale alla quantità complessiva dell’articolo prodotto dalla manifattura o artigianalmente
allora
diminuisce la somma totale del lavoro che viene adoprato.
es.
l’aumento di lavoro richiesto per la produzione dei mezzi di lavoro stessi
dev’essere minore della diminuzione di lavoro effettuata dall’uso delle macchine,
altrimenti il prodotto fatto a macchina sarebbe caro o più caro del prodotto a mano;
invece di rimanere eguale,
la massa complessiva dell’articolo fatto a macchina da un numero inferiore di operai
supera di molto la massa complessiva dell’articolo artigiano da esso soppiantato.
dunque,
con l’estendersi dell’uso delle macchine in una branca dell’industria,
in primo luogo
cresce la produzione nelle altre branche che le forniscono i suoi mezzi di produzione.
Quanto cresca, per questo fatto, la massa degli operai occupati dipende,
date la lunghezza della giornata lavorativa e l’intensità del lavoro,
dalla composizione dei capitali impiegati cioè dalla proporzione fra le loro parti costitutive costante e variabile:
e questa proporzione varia molto, a seconda dell’ampiezza con cui le macchine si sono impadronite di quelle stesse industrie.




159



Con le macchine nasce d’un tratto un nuovo tipo di operaio, il produttore di macchine:
e l’industria meccanica si impadronisce anche di questa branca di produzione.

Se le macchine si impadroniscono dei gradi preliminari o intermedi che un oggetto di lavoro deve percorrere fino alla sua forma definitiva,
-aumenta il materiale del lavoro
-aumenta la domanda di lavoro nelle officine ancora su base artigianale o manifatturiera
cui affluisce il materiale fabbricato a macchina:

es. la filatura a macchina ha fornito refe a buon mercato e abbondante tanto che
i tessitori a mano potevano lavorare a giornata piena senza aumento di spesa: così aumentarono le loro entrate;
di qui si ebbe un afflusso di uomini nella tessitura del cotone,
finché i tessitori fatti sorgere dalla jenny, dalla throstle e dalla mule
tornarono ad essere schiacciati dal telaio a vapore;

così, con la sovrabbondanza delle stoffe da vestiario prodotte a macchina,
aumenta il numero dei sarti, delle sartine, delle cucitrici, finché appare la macchina per cucire.
con la massa crescente di materie prime, semilavorati, strumenti da lavoro
che le macchine forniscono con un numero piccolo di operai,
la lavorazione di materie prime e semilavorati si scinde in molte sottospecie
quindi
cresce la molteplicità dei rami della produzione sociale.

L’uso delle macchine spinge la divisione sociale del lavoro più in là di quanto non faccia la manifattura
perchè aumenta in grado incomparabilmente la forza produttiva delle industrie,
il primo risultato delle macchine è di ingrandire
- il plusvalore
-la massa di prodotti nella quale esso si presenta,
-la classe dei capitalisti;

LUSSO
-la crescente ricchezza dei capitalisti:
-la diminuzione del numero degli operai richiesti per la produzione dei mezzi di sussistenza,
 generano un nuovo bisogno di lusso e nuovi mezzi per soddisfano:
-parte maggiore del prodotto sociale si trasforma in plusprodotto,
-parte maggiore del plusprodotto viene consumata in forme raffinate e variate cioè cresce la produzione di lusso.
La raffinatezza e la varietà dei prodotti deriva dalle nuove relazioni col mercato mondiale create dalla grande industria:
-non solo si scambiano mezzi di consumo esteri con il prodotto domestico,
-ma nella industria domestica affluiscono maggiori materie prime, mezzi di produzione,
-cresce la richiesta di lavoro nella industria dei trasporti che si scinde in numerose nuove sottospecie.
o sulla base delle macchine o della rivoluzione industriale che corrisponde alle macchine,
si formano
-branche della produzione nuove
quindi
-nuovi campi di lavoro:
tuttavia lo spazio che questi nuovi campi di lavoro prendono nella produzione complessiva non è considerevole,




160





7. REPULSIONE ED ATTRAZIONE DI OPERAI MAN MANO CHE SI SVILUPPA L’INDUSTRIA MECCANICA.
CRISI DELL’INDUSTRIA COTONIERA.

Tutti i rappresentanti dell’economia politica dotati di senso di responsabilità, ammettono che
la prima introduzione delle macchine ha l’effetto della peste sugli operai dei mestieri e manifatture tradizionali con i quali le macchine si trovano in concorrenza

Fra il 1852 e il 1862 si è avuto un considerevole aumento della fabbricazione della lana in Inghilterra, mentre il numero degli operai occupati rimaneva quasi stazionario:
«questo ci mostra in che grande misura il macchinario di nuova introduzione aveva soppiantato il lavoro dei periodi precedenti»;

in dati casi empirici, l’aumento degli operai di fabbrica occupati non è dovuto all’ampliamento della fabbrica
ma all’annessione di branche secondarie
es. «l’aumento dei telai meccanici e degli operai di fabbrica da essi occupati
fu dovuto nei cotonifici all’ampliamento di questa branca dell’industria
invece nelle altre fabbriche fu dovuto all’applicazione della forza del vapore ai telai da tappeti, da nastri ecc
che prima erano mossi dalla forza muscolare umana»;
l’aumento di questi ultimi operai di fabbrica era dunque solo espressione di una diminuzione del numero degli operai occupati;

tuttavia è comprensibile come, nonostante la massa di operai soppiantata e sostituita dalle macchine,
gli operai di fabbrica,
col crescere delle macchine, del numero delle fabbriche o delle dimensioni di fabbriche esistenti,
possano essere più numerosi degli operai manifatturieri o artigiani da essi soppiantati:
con il sistema delle macchine cambia la composizione del capitale complessivo,
che ora si dividerà in quattro quinti di capitale costante e un quinto di capitale variabile
ossia vengono ormai spese in forza-lavoro soltanto cento lire sterline:
dunque vengono licenziati due terzi degli operai che prima venivano occupati;
se questa fabbrica si estende,
il capitale complessivo adoprato cresce
ora verranno occupati trecento operai, quanti ne erano occupati prima della rivoluzione industriale:
se il capitale cresce ancora, verranno occupati un terzo in più di quelli occupati col vecchio sistema,
il numero degli operai occupati è cresciuto di cento; cioè in rapporto al capitale complessivo anticipato, è calato di ottocento,
perchè col vecchio sistema il capitale di duemila sterline avrebbe occupato milleduecento, non quattrocento, operai. Dunque
la diminuzione relativa del numero degli operai occupati è compatibile con il suo aumento assoluto.




161



Sopra abbiamo supposto che
la composizione del capitale complessivo rimanga costante quando esso aumenta
perchè rimangono costanti le condizioni di produzione,

sappiamo già che
-che la parte costante del capitale, cioè macchinario, materie prime, cresce ad ogni progresso delle macchine
- che la parte variabile, spesa in forza-lavoro, cala
-che in nessun altro sistema i perfezionamenti sono così costanti
e quindi così variabile la composizione del capitale complessivo:
questa variazione costante è interrotta costantemente,
da momenti di riposo e dall’espansione quantitativa su base tecnica data
con questa espansione cresce il numero degli operai occupati.

Nelle poche osservazioni che abbiamo ancora da fare
 toccheremo situazioni di fatto, alle quali non ci aveva ancora condotto la nostra esposizione teorica.

Finché il sistema delle macchine si espande a spese dell’artigianato tradizionale o della manifattura,
i suoi successi sono certi,

questo primo periodo, nel quale la macchina conquista la sua sfera d’azione,
è decisivo a causa dei profitti straordinari che essa aiuta a produrre:
questi profitti
-costituiscono una fonte di accumulazioni accelerata,
 -attirano nella sfera di produzione favorita il nuovo capitale sociale addizionale che preme per nuovi investimenti;
-appena
il sistema della fabbrica ha raggiunto un grado di maturità cioè il macchinario, viene prodotto a macchina
-appena sono prodotte le condizioni generali di produzione corrispondenti alla grande industria
questo sistema acquista una elasticità e capacità di espansione a grandi balzi:
da una parte le macchine operano un aumento diretto della materia prima
dall’altra parte il buon mercato del prodotto delle macchine e il sistema dei trasporti e delle comunicazioni conquistano mercati stranieri:
l’industria meccanica trasforma quei mercati in campi di produzione delle sue materie prime:
così le Indie Orientali vennero costrette a produrre cotone, lana, canapa, per la Gran Bretagna.

Il costante «mettere in soprannumero» gli operai nei paesi della grande industria
promuove
-un’emigrazione intensa e artificiale
-e la colonizzazione di paesi stranieri che si trasformano in vivai di materia prima per la madrepatria
si crea una nuova divisione internazionale del lavoro in corrispondenza alle sedi principali del sistema delle macchine
essa trasforma
una parte      del globo terrestre in campo di produzione agricolo
l’altra parte quale campo di produzione industriale:
questa rivoluzione è connessa a rivolgimenti nell’agricoltura.
               
L’enorme capacità che il sistema della fabbrica possiede di espandersi a balzi
e la sua dipendenza dal mercato mondiale,
generano
-una produzione febbrile e un conseguente sovraccarico dei mercati
-la contrazione produce una paralisi
la vita dell’industria si trasforma
in una serie di periodi di vitalità media, prosperità, sovrapproduzione, crisi e stagnazione.



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L’incertezza e l’instabilità alle quali l’industria meccanica sottopone l’occupazione
e con ciò le condizioni d’esistenza dell’operaio,
diventano normali con questa variazione periodica del ciclo industriale;
detratti i tempi di prosperità,
-fra i capitalisti infuria una lotta accanita per la loro individuale parte di spazio sul mercato
anche in relazione del basso prezzo del prodotto;
sopravviene un momento nel quale si tende a ridurre la merce più a buon mercato
mediante una forzata depressione del salario al di sotto del valore della forza-lavoro.
dunque l’aumento del numero degli operai di fabbrica ha la sua condizione nell’aumento,
molto più rapido, del capitale complessivo investito nelle fabbriche:
questo processo
-si compie entro i periodi di flusso e riflusso del ciclo industriale
-viene interrotto dal progresso tecnico che ora sostituisce ora soppianta gli operai;
questa variazione qualitativa nell’industria meccanica
-allontana operai dalla fabbrica
-oppure ne chiude la porta alle nuove reclute,

l’ espansione quantitativa delle fabbriche inghiotte contingenti freschi oltre quelli gettati fuori:
così gli operai vengono
respinti
continuamente attratti,
gettati da una parte e dall’altra.

La migliore illustrazione delle sorti dell’operaio di fabbrica è una rapida occhiata alle sorti della industria cotoniera inglese.

Dal 1770 al 1815 industria cotoniera è depressa o stagnante per cinque anni,
durante questo primo periodo
i fabbricanti inglesi possedevano il monopolio delle macchine e del mercato mondiale.          
i mercati indiani e australiani e altri mercati sono così sovraccarichi che non han finito di assorbire tutta la roba.
Trattato commerciale con la Francia: enorme aumento delle fabbriche e del macchinario,
o slancio dura per un po’, reazione, guerra civile americana, carestia del cotone.
Dal 1862 al 1863 crollo completo.



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8. RIVOLUZIONE COMPIUTA DALLA GRANDE INDUSTRIA NELLA MANIFATTURA, NEL MESTIERE ARTIGIANO E NEL LAVORO A DOMICILIO.

a) Eliminazione della cooperazione fondata sul mestiere artigiano e sulla divisione del lavoro.

Si è visto come le macchine eliminino

-la cooperazione fondata sul mestiere artigiano
 es. è la mietitrice meccanica che sostituisce la cooperazione dei mietitori

-la manifattura fondata sulla divisione del lavoro di tipo artigianale:
es. è la macchina per la fabbricazione degli aghi.

Secondo Adam Smith,
dieci uomini fornivano più di quarantottomila aghi al giorno per effetto della divisione del lavoro,
invece una sola macchina ne fornisce centoquarantacinquemila,
una sola donna o una sola ragazza sorveglia quattro di tali macchine,
e produce col suo macchinario circa seicentomila aghi al giorno, e più di tre milioni alla settimana;

finché una singola macchina operatrice subentra alla cooperazione o alla manifattura
essa può anche diventare, a sua volta, base di un’industria a tipo artigianale;

però tale produzione dell’industria artigianale fondata sul macchinario,
costituisce solo la transizione alla fabbrica
che subentra appena la forza motrice meccanica sostituisce i muscoli umani nel dare il moto alla macchina.

Sporadicamente e transitoriamente,
la piccola industria può collegarsi con la forza motrice meccanica prendendo in affitto il vapore,
come accade in alcune manifatture di Birmingham, o mediante l’uso di piccole macchine termiche, come certe branche della tessitura.
Nella tessitura di seta di Coventry si sviluppò spontaneamente l’esperimento delle «fabbriche a cottage». Al centro di alcune file di cottages disposte in quadrato, si costruiva una cosiddetta Casa delle macchine per le macchine a vapore, collegata coi telai dei cottages per mezzo di alberi:
il vapore era preso in affitto, per esempio a due scellini e mezzo per telaio,
fitto del vapore pagato settimanalmente, lavorassero o no i telai:
ogni cottage conteneva da due a sei telai, appartenenti agli operai, o comprati a credito, o affittati.
La lotta fra la fabbrica a cottage e la fabbrica vera e propria durò più di dodici anni, ed è finita con la rovina completa delle cottage factories.

Dove la natura del processo non poneva come condizione la produzione su grande scala,
le industrie, es. quella delle buste per carta da lettera e dei pennini di acciaio,
hanno percorso
-prima lo stadio artigianale
-poi quello manifatturiero come fasi di transizione per giungere alla fabbrica:

questa metamorfosi rimane più difficile dove la produzione di tipo manifatturiero non include una serie graduata di processi di sviluppo, ma una molteplicità di processi disparati:
es. questo fatto ha costituito un grosso ostacolo per la fabbrica di pennini di acciaio.
Tuttavia è stato inventato un meccanismo automatico che compie d’un sol colpo sei processi disparati.
Nel 1820 il mestiere artigiano fornì le prime dodici dozzine di pennini di acciaio per sette sterline e quattro scellini,
nel 1830 la manifattura ha fornito la stessa quantità per Otto scellini,
ed oggi la fabbrica la fornisce al commercio per un prezzo da due a sei pence.



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b) Reazione del sistema delle fabbriche sulla manifattura e sul lavoro a domicilio.
Con lo sviluppo del sistema delle fabbriche e con il rivoluzionamento dell’agricoltura che l’accompagna
-si ha un allargamento della scala della produzione in tutte le altre branche d’industria,
-si ha anche un cambiamento del carattere di quelle branche d’industria.

Il principio del sistema delle macchine che è
-di analizzare il processo di produzione nelle sue fasi costitutive e di risolvere i problemi
mediante l’applicazione delle scienze naturali,
ora
diventa principio determinante in ogni campo
quindi
il macchinario s’impone alle manifatture, ora per l’uno ora per l’altro processo parziale
con ciò
-si dissolve la solida cristallizzazione che è la loro struttura derivante dalla vecchia divisione del lavoro,
-e le subentra un cambiamento continuo,
la composizione dell’operaio complessivo, ossia del personale lavorante combinato
viene sovvertita da cima a fondo.

Ora il piano della divisione del lavoro si fonda,
in contrapposizione al periodo della manifattura,
sull’uso del «cheap labour», lavoro a buon mercato
cioè sull’uso del lavoro femminile, del lavoro di fanciulli di ogni età, del lavoro di operai inesperti
questo vale
non solo per ogni tipo di produzione combinata su grande scala, che adoperi macchinario o meno,
ma anche la cosiddetta industria domestica, praticata nelle abitazioni private degli operai e in piccole officine.
questa cosiddetta industria domestica moderna non ha nulla in comune l’antica,
-la quale presuppone un artigianato urbano indipendente, un’economia rurale autonoma, e una casa dell’operaio -l’industria domestica è trasformata nel reparto esterno della fabbrica, della manifattura o del fondaco,
il capitale
-accanto agli operai delle fabbriche e delle manifatture e agli artigiani  
- muove un altro esercito di operai a domicilio, disseminato nelle grandi città e per le campagne,

nella manifattura moderna lo sfruttamento di forze-lavoro immature e a buon mercato diventa più spudorato che nella fabbrica
perchè nella manifattura viene a mancare la base tecnica della fabbrica,
cioè la sostituzione della forza muscolare con le macchine e la facilità del lavoro,
nel lavoro a domicilio questo sfruttamento diventa più spudorato che nella manifattura,
perchè
-la capacità di resistenza degli operai diminuisce quando sono dispersi,
-tutta una serie di rapaci parassiti s’infiltra fra il datore di lavoro vero e proprio e l’operaio,
-il lavoro a domicilio lotta dappertutto con l’industria meccanica o per lo meno manifatturiera della stessa branca di produzione,
-la povertà ruba all’operaio le condizioni di lavoro più necessarie, spazio, luce, ventilazione, ecc.,
-cresce la irregolarità dell’occupazione
-la concorrenza fra operai arriva al massimo per coloro che sono stati messi in « soprannumero » dalla grande industria e dalla grande agricoltura;
l’economizzazione dei mezzi di produzione, elaborata sistematicamente dalla industria meccanica
e che dal principio è stata lo sperpero della forza-lavoro e il furto dei presupposti normali del funzionamento del lavoro,
ora mostra questo suo lato antagonistico tanto più chiaramente,
quanto meno sono sviluppate la forza produttiva sociale del lavoro e la base tecnica dei processi di lavoro combinati.


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c) La manifattura moderna:la giornata lavorativa  

il lettore conosce già molte prove date nella sezione sulla giornata lavorativa,

Le manifatture metallurgiche di Birmingham e dintorni adoprano, per lavoro pesantissimo, trentamila fra fanciulli e adolescenti, e diecimila donne
impiegati nelle antigieniche fonderie di ottone e fabbriche di bottoni, nei lavori di smaltatura, galvanizzazione e laccatura.
Il lavoro eccessivo degli adulti e dei non-adulti ha procurato a varie tipografie londinesi che stampano libri e giornali il glorioso nome di «mattatoi».
Altrettanto nella legatoria, dove del lavoro eccessivo soffrono specialmente donne, ragazze e bambini.
Lavoro pesante per adolescenti nelle corderie,
lavoro notturno nelle miniere di salgemma,
nelle manifatture di candele e di altri prodotti chimici;
consumo omicida di ragazzi messi a far muovere i telai nelle tessiture di seta non meccanizzate.

Uno dei lavori più infami, più sudici e peggio pagati, per il quale vengono adoprate di preferenza ragazze giovani e donne, è quello di assortire gli stracci.
È noto che la Gran Bretagna è l’emporio del commercio dei cenci del mondo intero, le sue fonti principali di importazione sono la Germania, la Francia, la Russia, l’Italia, l’Egitto, la Turchia, il Belgio e l’Olanda.
Servono per la concimazione, per la fabbricazione di fiocchi (per materassi) e di shoddy (lana artificiale) e come materia prima per la carta.

Esempio di eccesso di lavoro, di lavoro pesante e non appropriato, e dell’abbrutimento che ne consegue degli operai ivi consumati fin dall’infanzia, può essere considerata la fabbricazione di mattoni e di tegole, per la quale in Inghilterra si adopra ancor solo sporadicamente la apposita macchina, inventata di recente.
Da maggio a settembre il lavoro dura dalle cinque di mattina alle otto di sera e, dove la stagionatura ha luogo all’aria aperta, spesso dalle quattro di mattina alle nove di sera. La giornata lavorativa dalle cinque di mattina alle sette di sera è considerata «ridotta», «moderata».
Vengono adoprati bambini dì ambo i sessi, dal sesto e perfino dal quarto anno di età in su: e lavorano per lo stesso numero di ore, e spesso più, degli adulti; il lavoro è duro, e il calore estivo li rende ancora più esausti. In una fornace di mattoni a Mosley per esempio una ragazza di ventiquattro anni faceva duemila mattoni al giorno, assistita da due ragazze adolescenti come aiuti, che portavano l’argilla e ammucchiavano i mattoni. Queste ragazze trascinavano ogni giorno dieci tonnellate di argilla da una profondità di trenta piedi.
Ogni formatore che è l’operaio esperto e capo di un gruppo di operai fornisce alla sua squadra di sette persone vitto e alloggio nella propria capanna, cioè nel suo cottage.

Nella stessa capanna dormono insieme, appartengano o no alla famiglia, uomini, ragazzi, ragazze.
La capanna consiste abitualmente di due stanze, solo eccezionalmente di tre, tutte a pianterreno, con poca ventilazione.
I corpi sono così esausti per la grande traspirazione durante la giornata che non vengono osservate in nessun modo né norme igieniche, né pulizia, né decenza. Molte di queste capanne sono veri modelli di disordine, sporcizia e polvere.
Il maggior danno del sistema che adopra ragazze giovani per questo tipo di lavoro consiste nel l’incatenarle di regola fin dalla fanciullezza e per tutto il resto della vita alla gentaglia più abbietta.
Diventano ragazzacci rozzi e sboccati prima che la natura abbia loro insegnato che sono donne.
Vestite di pochi stracci sporchi, con le gambe nude molto al di sopra del ginocchio, con i capelli e la faccia imbrattati di fango, apprendono a trattare con disprezzo tutti i sentimenti di costumatezza e pudore. Durante il periodo del pasto stanno sdraiate nei campi o stanno a guardare i ragazzi che fanno il bagno in un canale vicino. Quando la loro pesante opera quotidiana è finalmente compiuta, indossano vestiti migliori e accompagnano i maschi nelle birrerie».

Per quanto riguarda l’economizzazione capitalistica delle condizioni di lavoro nella manifattura moderna (per manifattura moderna qui intendo le officine su grande scala, eccettuate le fabbriche vere e proprie), si trova materiale ufficiale e abbondantissimo nel IV (1861) e nel VI (1864) Public Health report. La descrizione dei work shops (locali da lavoro), specialmente quelli dei tipografi e dei sarti di Londra, supera le immaginazioni più nauseabonde dei nostri romanzieri. Ovvio ne è l’effetto sullo stato di salute dell’operaio.
Il dott. Simon, ufficiale medico superiore del Privy Council dice «Nella mia quarta relazione ho mostrato come per gli operai sia impossibile insistere su quello che è il loro primo diritto sanitario, il diritto che il lavoro debba essere liberato da tutte le circostanze anti igieniche evitabili. Ho dimostrato che, mentre gli operai sono praticamente incapaci di procurarsi da soli questa giustizia sanitaria, non possono ottenere nessuna assistenza efficace dagli amministratori della polizia sanitari. La vita di miriadi di operai e di operaie viene ora inutilmente torturata e abbreviata dalle infinite sofferenze fisiche generate dal modo di occupazione come tale»



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d) Il lavoro a domicilio moderno.

Per farci un’idea di questa sfera di sfruttamento capitalistico costruita sullo sfondo della grande industria  
si consideri ad esempio
l’industria della fabbricazione dei chiodi
le branche della merletteria e della treccia di paglia, che o non sono ancor meccanizzate o sono in concorrenza con la industria meccanica e manifatturiera.
Delle centocinquantamila persone che sono occupate nella produzione dei merletti in Inghilterra, diecimila all’incirca rientrano nella sfera dell’Atto sulle fabbriche del 1861
L’enorme maggioranza delle centoquarantamila che restano sono donne, adolescenti e bambini, lo stato di salute di questo materiale da sfruttamento « a buon mercato » risulta dalla seguente tabella del dott. Trueman su ogni gruppo di 686 pazienti, che erano merlettaie, erano tisiche.     
Le branche che terremo presenti, e non in quanto gli operai sono concentrati in manifatture o presso magazzini,
ma in quanto gli operai sono cosiddetti operai d’industria domestica, si dividono in:
1) finishing (ultima rifinitura dei merletti fabbricati a macchina;
2) lavorazione dei merletti a tombolo.
Il finishing (Rifinitura dei merletti), viene eseguito come lavoro a domicilio,
o in case delle maestre o da donne che lavorano isolate nelle loro abitazioni private:
il locale da lavoro costituisce una parte della loro abitazione privata,
ricevono ordinazioni da fabbricanti, proprietari di grandi magazzini, e adoprano donne, ragazze e bambini:
il numero delle operaie impiegate varia da venti a quaranta o da dieci a venti in altri,
l’età minima media alla quale cominciano i bambini è di sei anni, ma taluni cominciano al di sotto dei cinque anni.
Il periodo lavorativo abituale
dura dalle otto di mattina alle otto di sera, con un’ora e mezza per i pasti che sono irregolari,
quando gli affari sono buoni, il lavoro dura dalle otto (spesso dalle sei) di mattina fino alle dieci, undici o dodici di notte.
In quei buchi da lavoro a ogni persona toccano fra sessantasette e cento piedi cubi.
« A Nottingham da quindici a venti bambini stipati in una stanzetta di forse non più di dodici piedi quadri, occupati per quindici ore su venti quattro in un lavoro che di per se stesso esaurisce con la noia e la monotonia, e che è compiuto in tutte le possibili circostanze nocive alla salute.
Anche i bambini più piccoli lavorano con attenzione e velocità intense e stupefacenti, senza rallentare il movimento.
«loro lungo incatenamento a una occupazione monotona, affaticante per gli occhi e che esaurisce per la uniformità della posizione del corpo: è vero lavoro da schiavi.
Quando le donne lavorano coi loro figli a casa in una stanza d’affitto, spesso in una soffitta, la situazione è ancor peggiore.
Quando il bambino impiegato presso un magazzino lo lascia alle nove o alle dieci di sera, gli si dà spesso un altro mazzo di merletti da portarsi a casa e rifinirlo là.
L’industria dei merletti a tombolo viene praticata in due distretti agricoli inglesi,
Locali da lavoro sono i cottages degli operai agricoli giornalieri.
Parecchi padroni di manifattura adoprano operai a domicilio, per lo più bambini e adolescenti, esclusivamente di sesso femminile.
E si ripetono le condizioni descritte per il lace finishing, solo subentrano le cosiddette scuole di merletto tenute da povere donne nelle loro capanne.
Dai cinque anni, e a volte meno, fino ai dodici o ai quindici, le bambine lavorano in queste scuole, le più piccole durante il primo anno dalle quattro alle otto ore, e poi dalle sei di mattina fino alle otto e le dieci di sera.
« Le stanze sono in genere le comuni stanze di abitazione dei piccoli cottages, col caminetto tappato per evitare correnti d’aria; la gente che vi sta è riscaldata solo dal proprio calore. In altri casi queste cosiddette aule scolastiche sono locali assomiglianti a piccoli ripostigli, senza caminetto. L’affollamento in questi buchi e l’appestamento dell’aria che ne consegue giungono spesso all’estremo.
Quanto allo spazio: «In una scuola di merletti, diciotto ragazze con la maestra, trentatré piedi cubi per ogni persona; in un’altra, dal puzzo insopportabile, diciotto persone, ventiquattro piedi cubi e mezzo per ogni persona».
Al posto delle scuole di merletto subentrano scuole d’intrecciatura della paglia.
Dove finisce il lavoro dei merletti, comincia quello della treccia di paglia
occupate quarantottomila e quarantatre persone, delle quali tremilaottocentoquindici maschi di ogni età e il resto di sesso femminile e cioè quattordicimila e novecentotredici al di sotto dei vent’anni, e di queste circa settemila bambine, i bambini cominciano a imparare a fare la treccia di paglia dal quarto anno d’età e talvolta fra il terzo e il quarto anno. Naturalmente non ricevono nessuna istruzione.
Le stesse bambine chiamano scuole naturalible scuole elementari a differenza di queste istituzioni per succhiare il sangue, nelle quali sono tenute al lavoro per finire il compito loro prescritto dalle loro madri semiaffamate.
Poi le madri le fanno lavorare a casa, fino alle dieci, alle undici, alle dodici di notte.
Nelle scuole delle trecciaiole
lo spazio è misurato con economia ancor maggiore che nelle scuole delle merlettaie: dodici piedi cubi e due terzi, diciassette, diciotto e mezzo e meno di ventidue per ogni persona.
I genitori miserabili e degenerati pensano soltanto a spremere quanto è possibile dai loro figli.
Quando sono cresciuti, i figli non si preoccupano affatto dei genitori e li abbandonano.
«Non c’è da meravigliarsi che in una popolazione allevata a questo modo la ignoranza e il vizio siano strabocchevoli. La loro morale è del livello più basso. Il salario che è in genere miserevole nei rami d’industria viene abbassato ancora molto al di sotto del suo ammontare nominale.




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e) Trapasso della manifattura e del lavoro a domicilio moderni alla grande industria.
Acceleramento di questa rivoluzione attraverso l’applicazione delle leggi sulle fabbriche a quei tipi d’industria.
Il deprezzamento della forza-lavoro mediante l’abuso di forze-lavoro femminili e immature,
il furto di tutte le condizioni di lavoro e di sussistenza normali 
il brutale sovraccarico di lavoro e lavoro notturno,
urta contro certi limiti naturali non più sormontabili e con esso si arrestano
la riduzione a più buon mercato delle merci
e lo sfruttamento capitalistico che poggiano sulle stesse fondamenta.
arrivati a questo punto
suona l’ora dell’introduzione del macchinario e della trasformazione rapida
del lavoro a domicilio  
e della manifattura in industria di fabbrica:
l’esempio più colossale di questo movimento è fornito dalla produzione di articoli di abbigliamento:
quest’industria abbraccia fabbricanti di cappelli di paglia, di cappelli da donna, di berretti, sarti, camiciai, cucitrici, bustai, guantai, calzolai, molte branche minori come la fabbricazione di cravatte, colletti,
secondo il censimento del 1861, 1.024.267 persone,quasi quelle assorbite dall’agricoltura e dall’allevamento del bestiame:
la produzione di «wearing apparel» viene compiuta
-da manifatture che hanno riprodotto la divisione del lavoro
di cui avevano trovato le membra disjecta;
-da piccoli maestri artigiani che non lavorano più per consumatori individuali ma per manifatture e per fondachi: cosicchè si hanno intere città e interi distretti che esercitano tali branche
-e da operai a domicilio, in una estensione maggiore di tutte,
che costituiscono il dipartimento esterno delle manifatture, dei fondachi e perfino dei piccoli maestri artigiani:
le masse del materiale da lavoro, delle materie prime, dei semifabbricati sono fornite dalla grande industria;

il materiale umano a buon mercato consiste di uomini «messi in libertà» dalla grande industria e dalla grande agricoltura:
le manifatture di questa sfera hanno la loro origine dal bisogno del capitalista di avere un esercito pronto
per eventuali richieste,
tuttavia, queste manifatture lasciavano perdurare accanto a sè le industrie di tipo artigiano e domestico come loro ampia base.
La gran produzione di plusvalore in queste branche assieme al deprezzamento degli articoli da esse prodotti
sono dovuti al collegamento del minimo di salario necessario per vegetare con il massimo di tempo di lavoro umanamente possibile;
si giunse infine a un punto cruciale:
la base del vecchio metodo
-il semplice sfruttamento brutale del materiale operaio accompagnato dallo sviluppo della divisione del lavoro,
non era più sufficiente per il mercato che cresceva e per la concorrenza dei capitalisti
suonava l’ora delle macchine: la macchina decisiva che si è impadronit di questa sfera di produzione
è la macchina per cucire:
l’effetto di questa macchina sugli operai è quello di tutte le macchine nel periodo della grande industria:
-i bambini nell’età più acerba vengono allontanati,
-il salario degli operai meccanici, sale in confronto a quello degli operai a domicilio
-cala il salario degli artigiani ai quali la macchina fa concorrenza,
i nuovi operai meccanici sono esclusivamente ragazze e giovani donne:con l’ausilio della forza meccanica esse
-distruggono il monopolio del lavoro maschile nelle operazioni pesanti
-scacciano da quelle leggere vecchierelle e bambini immaturi
la concorrenza strapotente schiaccia gli artigiani più deboli




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Le nuove operaie della macchina per cucire muovono la macchina
con la mano e col piede, o solo con la mano, sedute o in piedi,
a seconda della pesantezza, della grandezza e della specialità della macchina
e compiono un grande dispendio di forza-lavoro.
la loro occupazione diventa antigienica per via della durata del processo, benché questo sia meno lungo che col sistema vecchio,
la macchina per cucire cade in laboratori già ristretti e sovraffollati, come nella calzoleria, nella cappelleria
e ne aumenta gli effetti antigienici.

La rivoluzione del modo sociale di esercitare un’attività industriale
rivoluzione che è prodotto necessario della trasformazione del mezzo di produzione
si compie in una policroma confusione di forme di transizione,
queste variano a seconda
-della estensione e del periodo di tempo in cui la macchina per cucire si è impadronita di questa o quella branca d’industria,
-della situazione precedente degli operai,
-che sia preponderante il sistema della mani fattura, quello artigianale o quello del lavoro domestico,
-delle pigioni dei locali da lavoro
es. per la modisteria, dove il lavoro era già organizzato per cooperazione semplice,
la macchina per cucire costituisce da principio solo un fattore nuovo del sistema manifatturiero:
nella sartoria, nella camiceria, nella calzoleria: tutte le forme s’incrociano:
qua troviamo il sistema della fabbricazione in senso proprio,
ci sono intermediari che ricevono la materia prima dal capitalista
e raggruppano in « camere » o «soffitte», intorno alle macchine per cucire a cinquanta e anche più salariati, infine, (come per tutti i macchinari che non sono un sistema articolato e si può adoprare in formato minimo) artigiani o operai a domicilio, con la propria famiglia, o con pochi operai estranei,
si servono di macchine per cucire di cui essi sono proprietari.
Tuttavia, la varietà delle forme transitorie non riesce a nascondere la trasmutazione in sistema di fabbrica:
questa tendenza
-è alimentata dal carattere della macchina per cucire
le cui molteplici applicazioni spingono a riunire nello stesso edificio e sotto il comando dello stesso capitale branche di attività prima separate;
-è alimentata dalla circostanza che i lavori preparatori di cucito ed alcune altre operazioni possono essere eseguiti dove hanno sede le macchine
-è alimentata dall’espropriazione degli artigiani e degli operai a domicilio che producono con macchine di loro proprietà:
in parte, questo destino li ha raggiunti già:
il crescente capitale investito in macchine per cucire
-sprona la produzione
-genera ristagni del mercato per la vendita delle macchine per cucire da parte degli operai a domicilio
poi
-la sovrapproduzione di tali macchine costringe i loro produttori a darle in affitto
creando così una concorrenza mortale per il piccolo proprietario di macchine.
-le variazioni nella costruzione e la riduzione dei prezzi delle macchine
deprezzano i vecchi esemplari
e fa sì che possano venire adoprate con profitto solo in grandi masse in mano a grandi capitalisti:
-infine la sostituzione della macchina a vapore all’uomo dà il colpo finale:
in principio l’applicazione della forza vapore urta contro ostacoli tecnici come la difficoltà di dominarne la velocità
se da una parte la concentrazione di macchine operatrici in grandi manifatture spinge per forza del vapore,
dall’altra parte la concorrenza del vapore con l’uomo accelera la concentrazione di operai e di macchine operatrici in grandi fabbriche.
Quindi nel «wearing apparel» come nelle altre industrie si assiste
al convertirsi della manifattura, dell’artigianato e del lavoro a domicilio in sistema di fabbrica
dopo che sotto l’influsso della grande industria tutte quelle forme si erano modificate, deformate
avevano già sorpassato le mostruosità il sistema di fabbrica senza riprodurre i momenti positivi del suo sviluppo.




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Questa rivoluzione industriale, che avviene spontaneamente, viene accelerata artificialmente
dall’estensione delle leggi sulle fabbriche a tutte le industria dove lavorino donne, adolescenti e fanciulli:
la regolamentazione obbligatoria della giornata lavorativa per durata, pause, inizio e fine,
per il sistema dei turni per i fanciulli, l’esclusione di fanciulli di una certa età
da una parte
hanno reso necessario l’aumento delle macchine e la sostituzione dei muscoli col vapore come forza motrice;
dall’altra parte
ha luogo, per guadagnare in spazio quel che va perduto in tempo, una dilatazione dei mezzi di produzione consumati in comune, forni, edifici,
dunque, in una parola, maggior concentrazione dei mezzi di produzione e corrispondente maggiore conglomerazione di operai.
Infatti la obiezione principale, che viene ripetuta da ogni manifattura minacciata dall’applicazione della legge sulle fabbriche, è che per mandare avanti l’impresa nella sua vecchia estensione, è necessario un maggiore esborso di capitale;
ma, per quanto riguarda le forme intermedie fra manifattura e lavoro a domicilio
e per quanto riguarda quest’ultimo viene a mancare loro il terreno sotto i piedi quando si pone un limite alla giornata lavorativa dei fanciulli, per affrontare la concorrenza ricorrono allo sfruttamento di forze-lavoro a buon mercato

condizione essenziale del sistema di fabbrica, appena sottoposto alla regolamentazione della giornata lavorativa
è
-una certezza del risultato cioè la produzione di una determinata quantità di merce
-o di un effetto utile posto come scopo entro un periodo dato;
inoltre
le pause della giornata lavorativa regolamentata presuppongono la cessazione subitanea e periodica del lavoro senza danno al manufatto in lavorazione:
questa certezza del risultato e questa possibilità d’interrompere il lavoro
si possono raggiungere con più facilità
-nelle industrie meccaniche
-e in quelle dove entrano in funzione processi chimici e fisici
-e nelle lavorazioni metalliche.
ogni ostacolo naturale della giornata lavorativa, del lavoro notturno e distruzione di uomini
viene considerato «limite naturale» della produzione.
Nelle ceramichele innovazioni provocate dalla Legge sulle fabbriche
«il metodo perfezionato di preparare il piallaccio per pressione invece che per evaporazione, i forni di nuova costruzione per essiccare il lavoro crudo, sono avvenimenti di grande importanza nell’arte della ceramica e segnano in quest’arte un progresso come non se ne possono additare nel secolo scorso.
La temperatura dei forni è diminuita, con notevole diminuzione del Consumo di carbone e con effetto più rapido sul vasellame».
Nonostante tutte le profezie il prezzo di costo delle terraglie non è cresciuto,
ma è cresciuta invece la massa dei prodotti, cosicchè l’esportazione ha dato un’eccedenza di valore di 138.628 lire sterline sulla media dei tre anni precedenti.
Nella fabbricazione dei fiammiferi
mentre trangugiavano il pasto, i ragazzi intingessero le asticciuole in un composto caldo di fosforo, il cui vapore velenoso saliva loro al viso.
l’Atto sulle fabbriche impose una macchina da immersione i cui vapori non possono raggiungere l’operaio.
Così ora nelle branche della manifattura dei merletti che ancora non sono soggette alla Legge sulle fabbriche, si suole affermare che i pasti non possono essere regolari per via del tempo differente del quale abbisognano per prosciugarsi i differenti materiali dei merletti, e che varia da tre minuti a un’ora e più.
A ciò i commissari della Children’s Employment Commission rispondono: «Le circostanze sono le stesse che nella stamperia di carta da parati.Alcuni dei principali fabbricanti di questa branca facevano valere che la natura dei materiali adoprati e la varietà dei processi percorsi dai materiali non permettono senza grandi perdite di cessare d’un colpo il lavoro all’ora dei pasti.
fu loro accordata una proroga di diciotto mesi, scaduta la quale essi si dovevano piegare alle pause di ristoro specificate dall’Atto sulle fabbriche»
La legge aveva appena ricevuto la sanzione del parlamento, che i signori fabbricanti fecero la scoperta: «Gli inconvenienti che ci aspettavamo dalla introduzione della Legge sulle fabbriche non si sono verificati.  Non troviamo che la produzione sia in alcun modo paralizzata; in realtà, produciamo di più nello stesso tempo».  Si vede che il parlamento inglese, è arrivato attraverso l’esperienza a capire che una legge coercitiva può eliminare con gli ostacoli naturali della produzione che si frappongono alla limitazione e alla regolamentazione della giornata lavorativa:
perciò quando l’Atto sulle fabbriche viene introdotto in una branca dell’industria si pone un termine da sei a diciotto mesi, entro il quale è affare del fabbricante rimuovere gli ostacoli tecnici.



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Ma
se la legge sulle fabbriche fa maturare gli elementi materiali per la trasformazione del sistema della manifattura in sistema della fabbrica,
essa accelera, attraverso la necessità di maggiore esborso di capitale,
la rovina dei piccoli maestri artigiani e la concentrazione del capitale,

la regolamentazione della giornata lavorativa urta contro alcune abitudini irregolari dell’operaio
dove domina il salario a cottimo, il sopralavoro,il lavoro notturno:
e deriva dall’anarchia della produzione
anarchia che presuppone uno sfruttamento della forza-lavoro da parte del capitale,
intervengono
le vicende periodiche del ciclo industriale
le oscillazioni del mercato  
le grandi ordinazioni improvvise da eseguirsi a breve scadenza:
l’abitudine delle grandi ordinazioni improvvise a breve scadenza si estende con le ferrovie e con il telegrafo.
proprio a causa delle comunicazioni ferroviarie;

Il reparto esterno della fabbrica, della manifattura, la sfera del lavoro a domicilio,
-è irregolarissimo
-dipende, materia prima e ordinazioni, dagli umori del capitalista che non è vincolato da nessuna considerazione per la svalorizzazione di edifici, macchine
così viene allevato sistematicamente un esercito industriale di riserva, sempre disponibile
come per gli ostacoli tecnici, capitalisti interessati affermano che queste cosiddette « abitudini industriali» sono  «limiti naturali» della produzione:

-benché la loro industria dipenda dal mercato mondiale e dalla navigazione, l’esperienza li ha smentiti:
ogni preteso «ostacolo industriale» viene trattato come fandonia dagli ispettori di fabbrica inglesi.
le ricerche coscienziose della Children’s Employment Commission dimostrano che
-che la massa di lavoro sarebbe distribuita più omogeneamente mediante la regolamentazione della giornata lavorativa;
-che tale regolamentazione era imbrigliamento razionale dei capricci della moda incongrui con il sistema della grande industria;
-che lo sviluppo della navigazione oceanica e dei mezzi di comunicazione ha eliminato la ragione tecnica del lavoro stagionale
-che le altre circostanze incontrollabili vengono eliminate da edifici più vasti, macchinario supplementare, aumento del numero degli operai impiegati.
Tuttavia il capitale si adatta a tale rivoluzione, come ha dichiarato con i suoi rappresentanti
«solo sotto la pressione di un Atto generale del parlamento» che regola coercitivamente la giornata lavorativa.



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9. LEGISLAZIONE SULLE FABBRICHE (CLAUSOLE SANITARIE E SULLA EDUCAZIONE).
SUA ESTENSIONE GENERALE IN INGHILTERRA
come abbiamo visto
la legislazione sulle fabbriche,
prima reazione della società alla figura assunta dal suo processo di produzione sociale,
è prodotto necessario della grande industria.

Clausole dell’Atto inglese sulle fabbriche che non si riferiscono al numero delle ore della giornata lavorativa.
le clausole sanitarie sono scarne, si limitano a prescrizioni sulla imbiancatura delle pareti e ad altre norme di pulizia, ventilazione e protezione contro macchine pericolose,
qui torna il dogma liberoscambista che in una società a interessi antagonistici ciascuno promuove il bene comune perseguendo il proprio utile particolare:
es. è noto che è aumentata di molto in Irlanda l’industria del lino e con essa le officine per la battitura e la sfibratura del lino:
tutte le volte che ritorna il periodo autunnale e invernale, vengono strappati al lavoro dei campi, per alimentare le schiacciatrici a cilindro, i figli e mogli dei piccoli: gente che non ha confidenza con le macchine:
per gravità e per frequenza, gli infortuni sono del tutto senza precedenti nella storia delle macchine.
Un solo scutching mill, a Kildinan (presso Cork), contò dal 1852 al 1856 sei casi di morte e sessanta mutilazioni gravi, che tutti potevano esser prevenuti con dispositivi semplicissimi, al prezzo di qualche scellino.
Il dott. W. White, Ufficiale medico, dichiara «Gli infortuni negli scutching mills sono della natura più terribile. Conseguenze abituali delle ferite sono la morte o un avvenire di miserabile impotenza e di sofferenze.
L’aumento delle fabbriche in questo paese diffonderà, questi spaventosi risultati.
Sono convinto che con una sorveglianza appropriata degli scutching mills da parte dello Stato si potranno evitare grandi sacrifici di vite e di integrità fisica».
-Che cosa potrebbe meglio mostrare il carattere del modo di produzione capitalistico che questa necessità di imporgli per mezzo dell’autorità dello Stato e di leggi coercitive, le misure sanitarie e di pulizia più semplici? 
«Nelle fabbriche di vasellame l’Atto sulle fabbriche ha imbiancato e pulito locali da lavoro, dopo che da sempre ci si era astenuti da qualsiasi operazione del genere in luoghi dove sono occupati 27.878 operai che respiravano un’aria mefitica. L’Atto ha aumentato di molto i mezzi di ventilazione».
le autorità sanitarie, le commissioni d’inchiesta sulle industrie, gli ispettori di fabbrica dichiarano che la malattie degli operai sono una condizione dell’esistenza del capitale.
-Se l’Atto sulle fabbriche ha accelerato la trasformazione delle piccole officine in fabbrica,
quindi è intervenuto indirettamente nel diritto di proprietà del piccolo capitalista, ed ha assicurato il monopolio al grande capitalista,
-l’imposizione legale della cubatura d’aria necessaria per ogni operaio in tutti i locali da lavoro
esproprierebbe i piccoli capitalisti
attaccherebbe il modo di produzione capitalistico nella autovalorizzazione del capitale,
mediante la «libera» compera e il «libero» consumo della forza- lavoro.
-Le clausole sull’educazione dell’Atto sulle fabbriche proclamavano che l’istruzione elementare è una condizione obbligatoria del lavoro,
il loro successo dimostrò la possibilità di collegare l’istruzione e la ginnastica col lavoro manuale,
e quindi anche il lavoro manuale con l’istruzione e la ginnastica.
-Gli ispettori di fabbrica scoprirono dalle deposizioni dei maestri di scuola che i ragazzi di fabbrica
benché usufruiscano solo di metà delle lezioni degli scolari regolari delle scuole diurne,
imparano quanto loro, e spesso di più.
Altre prove si trovano nel discorso del Senior al Congresso sociologico di Edimburgo,
il Senior dimostra come la giornata scolastica unilaterale, improduttiva e prolungata dei bambini appartenenti alle classi superiori e alle classi medie aumenta inutilmente il lavoro degli insegnanti,
«mentre sperpera il tempo, rovina la salute e la energia dei bambini non solo senza frutto, ma anche, assolutamente, con grave danno».
Dal sistema della fabbrica, come si può seguire negli scritti di Robert Owen, è nato il germe della educazione dell’avvenire, che collegherà, per i bambini, il lavoro produttivo con l’istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale,
ma anche come unico metodo per produrre uomini di pieno e armonico sviluppo.




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S’è visto che,
la grande industria
-elimina tecnicamente la divisione del lavoro di tipo manifatturiero
con la sua annessione d’un uomo intero ad una operazione parziale vita natural durante,
-mentre la forma capitalistica della grande industria riproduce in maniera più mostruosa
quella divisione del lavoro, nella fabbrica
con la trasformazione dell’operaio in accessorio consapevole e cosciente d’una macchina parziale;
e dappertutto
in parte mediante l’uso sporadico delle macchine e del lavoro meccanico 
in parte mediante l’introduzione del lavoro femminile, infantile e non addestrato
come nuova base della divisione del lavoro.

La contraddizione
fra la divisione del lavoro di tipo manifatturiero e la natura della grande industria si fa valere con la forza,
compare nel fatto che
gran parte dei fanciulli occupati nelle fabbriche e nelle manifatture
vengono sfruttati senza che apprendere un lavoro che li renda utili più tardi nella manifattura o fabbrica.
es. nelle tipografie inglesi si aveva prima
-un passaggio degli apprendisti da lavori facili a più importanti corrispondente al sistema dell’antica manifattura e dell’artigianato:
-gli apprendisti percorrevano un corso di istruzione fino a diventare tipografi finiti,
saper leggere e scrivere era un requisito del mestiere.
Tutto ciò è cambiato con la macchina tipografica:
essa adopera due specie di operai:
-un adulto, il sorvegliante della macchina
-e ragazzi da macchina, la cui occupazione consiste nello stendere il foglio di carta sotto la macchina o nel tirarne fuori il foglio stampato.
grande parte di questi ragazzi non sa leggere e sono creature inselvatichite
«Per il lavoro non è necessaria nessuna preparazione intellettuale; hanno poche occasioni per esercitare un’abilità o per esercitare il giudizio;
la grande maggioranza non ha nessuna prospettiva di arrivare al posto più lucroso e più responsabile di sorvegliante della macchina»
appena vecchi vengono licenziati dalla tipografia.
Quel che vale per la divisione del lavoro di tipo manifatturiero entro l’officina,
vale per la divisione del lavoro entro la società:
finché l’artigianato e la manifattura costituiscono il fondamento generale della produzione sociale
la subordinazione del produttore a un ramo esclusivo della produzione,
cioè la distruzione della molteplicità originaria della sua occupazione,
è un momento necessario dello sviluppo:
su quella base, ogni branca della produzione
trova la configurazione tecnica  
la perfeziona e la cristallizza, raggiunto un dato grado di maturazione;
-provocano dei cambiamenti
nuovo materiale di lavoro fornito dal commercio,
la modificazione dello strumento da lavoro:
-una volta raggiunta la forma confacente secondo l’esperienza
lo strumento da lavoro si irrigidisce come dimostra il suo passare di mano da una generazione all’altra
è caratteristico che i mestieri particolari si chiamassero mysteries, nella cui oscurità poteva penetrare solo chi era iniziato con la esperienza e con la professione
la grande industria lacerò il velo
-che celava agli uomini il loro proprio processo di produzione sociale
-che rendeva misteriose le une per le altre le differenti branche di produzione che si erano separate.




173



Il principio della grande industria di risolvere nei suoi elementi costitutivi ciascun processo di produzione,
ha creato la modernissima scienza della tecnologia.
Le policrome configurazioni del processo di produzione sociale apparentemente prive di nesso reciproco
si scomposero in applicazioni delle scienze naturali
pianificate
sistematicamente scompartite a seconda dell’effetto utile che si aveva di mira
la tecnologia ha scoperto anche
le forme fondamentali del movimento nelle quali si svolge ogni azione produttiva del corpo umano,
nonostante la molteplicità degli strumenti adoprati:
proprio come la meccanica sa che
-nelle macchine si ha una costante riproduzione delle potenze meccaniche elementari,
-e non si lascia ingannare dalla complicazione del macchinario.
L’industria moderna non considera e non tratta come definitiva la forma di un processo di produzione
quindi
la sua base tecnica è rivoluzionaria,
mentre la base di tutti gli altri modi di produzione passata era conservatrice
essa sovverte con le macchine, con i processi chimici e altri metodi
-assieme alla base tecnica della produzione,
-le funzioni degli operai e le combinazioni sociali del processo lavorativo,
essa rivoluziona
-la divisione del lavoro entro la società
-getta masse di capitale e di operai da una branca della produzione nell’altra;
quindi la natura della grande industria porta con sè
-variazione del lavoro,
-fluidità delle funzioni,
-mobilità dell’operaio in tutti i sensi,
dall’altra parte
riproduce l’antica divisione del lavoro con le sue particolarità ossificate
ma nella sua forma capitalistica.
Si è visto come questa contraddizione
-elimini solidità e sicurezza delle condizioni di vita dell’operaio,
-minacci di far saltare col mezzo di lavoro il mezzo di sussistenza
-di render superfluo l’operaio rendendo superflua la sua funzione parziale;
-si sfoghi nell’olocausto della classe operaia, nello sperpero delle energie lavorative e nelle devastazioni derivanti dall’anarchia sociale
Però, se ora la variazione del lavoro si impone
-come prepotente legge naturale
-e con l’effetto distruttivo di una legge naturale che incontra ostacoli
la grande industria fa sì che
-il riconoscimento della variazione dei lavori e della versatilità dell’operaio
come legge sociale generale della produzione
-e l’adattamento delle circostanze all’attuazione di tale legge
diventino una questione di vita o di morte
ed anche sostituire alla miserabile popolazione operaia tenuta in riserva per il variabile bisogno di sfruttamento del capitale,
la disponibilità assoluta dell’uomo per il variare delle esigenze del lavoro;
sostituire all’individuo parziale, veicolo di una funzione sociale di dettaglio
l’individuo totalmente sviluppato
per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si danno il cambio l’uno con l’altro.
Un elemento di questo processo di sovvertimento, sviluppatosi sulla base della grande industria, sono le scuole politecniche e agronomiche, nelle quali i figli degli operai ricevono istruzione in tecnologia e maneggio dei differenti strumenti di produzione.



174



Se la legislazione sulle fabbriche combina col lavoro di fabbrica solo l’istruzione elementare,
non c’è dubbio che
-l’inevitabile conquista del potere politico da parte della classe operaia
conquisterà anche all’istruzione tecnologica teorica e pratica il suo posto nelle scuole degli operai.
-la forma capitalistica della produzione e la situazione economica degli operai che le corrisponde
siano antitetiche a questi fermenti rivoluzionari e alla loro meta che è l’abolizione della vecchia divisione del lavoro: lo svolgimento delle contraddizioni di una forma storica della produzione è l’unica via storica per la sua dissoluzione e la sua trasformazione.
In quanto la legislazione sulle fabbriche regola il lavoro nelle fabbriche, nelle manifatture
-in un primo momento la cosa si presenta come intervento nei diritti di sfruttamento del capitale,
-invece ogni regolamentazione del lavoro domestico si presenta come intervento diretto contro l’autorità dei genitori
la forza dei fatti ha costretto a riconoscere che la grande industria
dissolvendo
il fondamento economico della vecchia famiglia
il corrispondente lavoro familiare
dissolvendo i vecchi rapporti familiari: è stato necessario proclamare il diritto dei figli;
il sistema dello sfruttamento illimitato del lavoro infantile e del lavoro a domicilio viene conservato per il fatto «che i genitori esercitano sui loro rampolli un’autorità arbitraria senza freno e controllo
i genitori non debbono avere il potere assoluto di fare dei loro figli delle macchine per spremerne un salario
ragazzi hanno diritto ad essere protetti dalla legislazione contro l’abuso della autorità paterna li degrada nella scala degli esseri morali e intellettuali»;
tuttavia
-non è stato l’abuso di autorità paterna a creare lo sfruttamento di forze -lavoro immature da parte del capitale,
-è stato viceversa il modo capitalistico dello sfruttamento a far diventare abuso l’autorità dei genitori, eliminando il fondamento economico che le corrispondeva;
per quanto terribile e repellente appaia la dissoluzione della vecchia famiglia entro il sistema capitalistico,
nondimeno la grande industria crea il nuovo fondamento economico per una forma superiore della famiglia e del rapporto fra i due sessi con la parte decisiva che assegna a donne, adolescenti e bambini nei processi di produzione organizzati al di là della sfera domestica;
è sciocco ritenere assoluta la forma cristiano-germanica della famiglia,
quanto ritenere assoluta la forma romana antica la greca antica e quella orientale
è evidente che
la composizione del personale operaio combinato con individui d’ambo i sessi ed età differenti,
benché nella sua forma brutale cioè capitalistica dove l’operaio esiste in funzione del processo di produzione e non il processo di produzione per l’operaio,
non potrà non rovesciarsi in fonte di sviluppo di qualità umane.
Come si è visto,
la necessità di generalizzare la legge sulle fabbriche facendola diventare da legge eccezionale
(per le filande e le tessiture, prime creature dell’industria meccanica)
a legge della produzione sociale
deriva dall’andamento storico dello sviluppo della grande industria;
infatti sullo sfondo della grande industria viene rivoluzionata la configurazione tradizionale
-della manifattura,
-dell’artigianato
-del lavoro domestico:
-la manifattura si converte costantemente nella fabbrica,
-l’artigianato si converte costantemente nella manifattura,
-e le sfere dell’artigianato e del lavoro domestico
assumono l’aspetto di antri di dolore dove le mostruosità dello sfruttamento capitalistico si sfogano.
Due sono infine le circostanze determinanti delle leggi sulle fabbriche:
-l’esperienza che il capitale, appea sotto controllo dello Stato, si rifà smodatamente negli altri punti;
-l’invocazione dei capitalisti per avere eguaglianza nelle condizioni della concorrenza
cioè limiti eguali allo sfruttamento del lavoro.




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Sentiamo i signori W. Cooksley (fabbricanti di chiodi, catene) introdussero volontariamente la regolamentazione nella loro industria.
«Poichè l’antico sistema irregolare perdura nelle officine vicine, essi sono esposti all’ingiustizia di vedere i loro ragazzi da lavoro adescati altrove dopo le sei di sera.
E questo, essi dicono naturalmente, è un’ingiustizia nei nostri riguardi e una perdita per noi, perchè esaurisce una parte della forza dei ragazzi, il cui pieno beneficio spetta a noi».
Il signor J. Simpson (Fabbricante di scatole e sacchetti di carta) dichiara «che avrebbe firmato ogni petizione per la introduzione delle leggi sulle fabbriche. Così come le cose stavano allora, egli si sentiva sempre inquieto dopo aver chiuso la sua officina, al pensiero che altri facevano lavorare più a lungo, sottraendogli le ordinazioni sotto il naso».
La Child. Empl. Comm. «Sarebbe fare un torto agli imprenditori più grossi sottoporre alla regolamentazione le loro fabbriche mentre le piccole imprese della loro stessa branca di attività non sono soggette a nessuna limitazione legale del tempo di lavoro.
Alla ingiustizia di condizioni della concorrenza disuguali per le ore di lavoro, che si avrebbe eccettuando le officine minori, si aggiungerebbe per i grandi fabbricanti anche l’altro svantaggio, cioè che il loro rifornimento di lavoro giovanile e femminile verrebbe deviato verso le officine risparmiate dalla legge. Infine questo darebbe un impulso all’aumento delle officine minori che sono, quasi senza eccezione, le meno favorevoli per la salute, il comfort, l’istruzione e il miglioramento generale del popolo».
Nella sua relazione finale propone di far rientrare nell’Atto sulle fabbriche oltre un milione e quattrocentomila fanciulli, adolescenti e donne, metà dei quali all’incirca viene sfruttata dalle piccole imprese e dal lavoro a domicilio.
«Se il parlamento», dice la commissione, «approvasse la nostra proposta in tutta la sua portata, è indubbio che questa legislazione eserciterebbe il più benefico influsso, non solo sui giovani e deboli, ma anche sulla massa degli operai adulti che rientrano direttamente (donne) e indirettamente (uomini) nella sua sfera d’azione.
Li costringerebbe ad ore di lavoro regolari e moderate; farebbe loro risparmiare ed accumulare quella riserva di forza fisica dalla quale tanto dipende il benessere loro e quello del paese; proteggerebbe la generazione che cresce dallo sforzo eccessivo in età precoce, che ne mina la costituzione e la conduce a una decadenza precoce; e infine offrirebbe la possibilità dell’istruzione elementare  e quindi porrebbe fine all’inaudita ignoranza esposta nelle relazioni della commissione e non può venire considerata senza un profondo senso di umiliazione nazionale».
Una commissione parlamentare d’inchiesta sul lavoro infantile era stata nominata fin dal 1840. La sua relazione del 1842 dispiegava,
come dice N. W. Senior, «il quadro più terribile dell’avidità, dell’egoismo e della crudeltà dei capitalisti e dei genitori, della miseria, degradazione e distruzione dei fanciulli e degli adolescenti, che mai abbia colpito gli occhi del mondo.
Ci si può forse immaginare che questa relazione descriva gli orrori di un’età trascorsa.
Purtroppo abbiamo relazioni che attestano come questi orrori perdurano, e intensamente come sempre.
Un opuscolo dello Hardwicke, dichiara che gli abusi biasimati nel 1842 sono oggi (1863) in pieno rigoglio.
Questa relazione (del 1842) è rimasta inosservata per vent’anni, durante i quali a quei ragazzi, cresciuti senza la minima idea né di quello che noi chiamiamo morale, né di una istruzione scolastica, né di religione, né di affetti familiari naturali, si è permesso di diventare i genitori della generazione attuale».
Intanto la situazione della società era cambiata.
Il parlamento non osò respingere le rivendicazioni della commissione del 1863, come aveva fatto a suo tempo per quelle del 1842
quindi quando la commissione aveva pubblicato una parte delle sue relazioni, vennero poste sotto le leggi già in vigore per
l’industria tessile, della terraglia, della fabbricazione delle carte da parati, dei fiammiferi, delle cartucce e delle capsule, come pure la tagliatura del fustagno.
Il 15 agosto 1867 il Factory Acts Extension Act e il 21 agosto il Workshops’ Regulation Act ebbero la conferma regia;
il Factory Acts Extension Act regola gli alti forni, le ferriere, le officine del rame, le fonderie, le fabbriche di macchine, i laboratori metallurgici, le fabbriche di guttaperca, carta, vetro, tabacco, le tipografie e le legatorie e in genere tutte le officine industriali di questo tipo che occupino cinquanta o più persone contemporanea mente durante cento giorni all’anno per lo meno.
Per dare un’idea della estensione del settore compreso da questa legge, ecco alcune definizioni che vi sono stabilite:
«M e s t i e r e significherà (in questa legge): qualunque lavoro manuale, compiuto professionalmente ossia per guadagno, nella o in occasione della lavorazione, trasformazione, decorazione, riparazione o rifinitura per la vendita di qualsiasi articolo o di una parte di esso;
«L a b o r a t o r i o significherà: ogni e qualsiasi stanza o ambiente, coperto o all’aria aperta, dove venga esercitato un «mestiere» da qualsiasi fanciullo, operaio adolescente o donna, e dove colui che occupa quel ragazzo, quel giovane operaio o quella donna ha diritto di accesso e di controllo;
«O c c u p a t o significherà: agire in un «mestiere» o per salario o meno, sotto un maestro o uno dei genitori, come viene determinato nei particolari più avanti;
«G e n i t o r i significherà: padre, madre, tutore o altra persona che eserciti la tutela o il controllo su qualsiasi... fanciullo o operaio adolescente».
La clausola settima che è quella della penalità per chi occupa fanciulli, operai adolescenti e donne in modo contrario alle disposizioni di questa legge, stabilisce pene pecuniarie per il proprietario del laboratorio, anche per «quei genitori o altre persone che abbiano custodia del fanciullo, dell’operaio adolescente o della donna, o che traggano vantaggio diretto dal lavoro di questi».
Il Factory Acts Extension Act, che colpisce i grandi stabilimenti, rimane indietro all’Atto sulle fabbriche per una quantità di miserabili disposizioni eccezionali e vili compromessi coi capitalisti.
Il Workshops’ Regulation Act, che fa pietà nonostante tutti i suoi particolari, rimase lettera morta in mano alle autorità cittadine e locali incaricate di dargli esecuzione. Quando il parlamento tolse tali pieni poteri a quelle autorità per trasmetterli agli ispettori di fabbrica, aumentando così la circoscrizione sottoposta al loro controllo di più di centomila laboratori e di trecento sole fabbriche di mattoni, il personale degli ispettori venne accresciuto di soli otto assistenti, mentre già prima era di gran lunga troppo scarso.




176



Quello che fa impressione in questa legislazione inglese del 1867 è
da una parte
la necessità imposta al parlamento delle classi dominanti di adottare misure straordinarie
contro gli eccessi dello sfruttamento capitalistico
dall’altra parte
l’esitazione, la contrarietà con le quali in realtà il parlamento ha attuato quelle disposizioni,

-se la generalizzazione della legislazione sulle fabbriche, quale difesa della classe operaia,
è diventata inevitabile
d’altra parte
essa generalizza e accelera
-la trasformazione di processi lavorativi dispersi in processi lavorativi combinati su scala larga
-la concentrazione del capitale e il dominio esclusivo del regime di fabbrica;
essa distrugge
-le forme antiquate e transitorie, dietro le quali si nasconde il dominio del capitale
-e le sostituisce con il suo dominio diretto, senza maschera.

Mentre nelle officine individuali
la legislazione sulle fabbriche

impone l’uniformità, la regolarità, l’ordine e l’economia,

aumenta (con l’assillo imposto alla tecnica dalla regola della giornata lavorativa)
-l’anarchia e le catastrofi della produzione capitalistica nel suo insieme
-l’intensità del lavoro
-la concorrenza fra macchine e operai

distrugge
a piccola industria
il lavoro a domicilio
gli ultimi asili dei « soprannumerari »
e con ciò la valvola di sicurezza di cui finora era munito tutto il meccanismo sociale;

matura
le contraddizioni e gli antagonismi della forma capitalistica del processo di produzione
quindi
gli elementi di formazione di una società nuova e gli elementi di rivoluzionamento della Società vecchia




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10. GRANDE INDUSTRIA E AGRICOLTURA.

Un breve accenno ai risultati della rivoluzione provocata dalla grande industria
nell’agricoltura e nei rapporti di produzione sociali fra i suoi agenti di produzione
Se l’uso del macchinario nell’agricoltura è, in gran part, esente dai danni fisici che reca all’operaio di fabbrica, però il macchinario agisce nell’agricoltura
con intensità maggiore
e senza contraccolpo sulla «messa in soprannumero» degli operai
nella sfera dell’agricoltura l’effetto più rivoluzionario della grande industria
sta nell’abbattere il contadino, baluardo della vecchia società, 
e
nell’inserire al suo posto l’operaio salariato.

I bisogni sociali di rivolgimento e gli antagonismi sociali della campagna in tal modo
vengono resi eguali a quelli della città
al posto della conduzione più ligia alla consuetudine e più irrazionale
subentra
l’applicazione cosciente e tecnologica della scienza
il modo di produzione capitalistico
porta a compimento
la rottura del vincolo di parentela che legava agricoltura e manifattura nella loro forma non sviluppata,
crea allo stesso tempo
le premesse materiali di una sintesi nuova e superiore cioè dell’unione fra agricoltura e industria,
sulla base delle loro forme antagonisticamente elaborate.

Con la preponderanza della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri,
da un lato
accumula la forza motrice storica della società,
dall’altro
turba il ricambio organico fra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall’uomo
dunque
turba la condizione naturale di una durevole fertilità del suolo:
distrugge la salute degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale
costringe a produrre il ricambio organico in via sistematica come legge regolatrice della produzione sociale,
in una forma adeguata al pieno sviluppo dell’uomo.
Nell’agricoltura come nella manifattura
la trasformazione capitalistica del processo di produzione
si presenta come martirologio dei produttori
il mezzo di lavoro
si presenta come mezzo di soggiogamento, di sfruttamento ed impoverimento dell’operaio,
la combinazione sociale dei processi lavorativi
si presenta come soffocamento organizzato della sua libertà e autonomia individuali.
La dispersione degli operai rurali su vaste estensioni spezza la loro forza di resistenza
la concentrazione accresce la forza di resistenza degli operai urbani.
Come nell’industria urbana, così nell’agricoltura moderna
l’aumento della forza produttiva e la maggiore quantità di lavoro resa liquida
vengono pagate con la devastazione della forza-lavoro.
E ogni progresso dell’agricoltura capitalistica costituisce un progresso nell’arte di rapinare l’operaio e il suolo
l’accrescimento della sua fertilità costituisce un progresso e la rovina delle fonti durevoli di questa fertilità.
quindi la produzione capitalistica sviluppa la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale
solo minando le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio.





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