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lunedì 21 febbraio 2022

Giacinto Plescia: Renè Thom e una nuova della teoria delle catastrofi

Renè Thom

Non è impossibile che la scienza sia fin d'ora vicina alla sua ultima possibilità di descrizione finita;  l'in-descrivibile l' informalizzabile sono ormai alle porte e dobbiamo raccogliere la sfida. 

Da questo punto di vista, i nostri metodi, in sé troppo indeterminati, condurranno ad un'arte dei modelli e non ad una tecnica standard esplicita una volta per tutte.
Renè  Thom


 

Spazialità, Hi-Tech: Tecnocities, Highways, Valleys

di Margherita Dotta Rosso, Fiorenzo Ferlaino, Manfredo Montagnana, Giacinto Plescia https://www.giacintoplescia.it/

* Dipartimento di Matematica, Politecnico di Torino


  • C.1. Introduzione

L'alta tecnologia conforma una propria spazialità.
 
Concettualmente in relazione ai nuovi modelli d'inter­pretazione della realtà; e fisicamente in nuove forme d'aggregazione socio-scientifico-produttiva.

Non si vuole qui analizzare il rapporto tecnologia-territorio fornendo una classificazione di conseguenze territoriali, definite in modo deterministico, né entrare nel merito del dibattito in corso.
  
La ricerca intende af­frontare il tema «alta tecnologia e spazio-spazialità», sia riflettendo sulle esperienze di nuova conformazione spaziale-scientifico produttiva, sia su ciò che gli sviluppi del pansiero scientifico lasciano percepire come nuovo modello di spazio. 

I nuclei discorsivi sono infatti:

critica ai modelli e nuovi paradigmi (diffusività tecnologica e socialità, modalità di comunicazione e conflitto postindustriale);

semantica dell'Hi-tech-space https://www.giacintoplescia.it/omphalos-chora-lhi-tech-space-oltre-rene-thom/ (classificazione degli archetipi Hi-tech-space, le nuove espressioni d'orga­nizzazione spaziale e i caratteri di decisionalità e programmazione);

macchina innovata e spazialità (limiti teorici e frantumazione dell'orizzonte nell'immaginare e rap­presentare la nuova realtà spaziale); 

Modelli di Kaluza-Klein, sfere metaedriche-cata­strofi volanti.

  • C.2. Critica ai modelli e nuovi paradigmi

L'innovazione tecnologica ha posto diversi problemi sia alla geografia economica che alla sociologia spa­ziale, e tuttavia entrambi i settori restano ancorati a modelli interpretativi dispiegantisi intorno al concet­to di "domanda". 

La diffusione tecnologica nello spazio viene spiegata mediante la formazione d'una domanda tecnologica.

I limiti teorici di questi modelli sono bene espli­ citati da Arcangeli (Camagni et al. 1984):
«nel significato ad hoc da attribuire ai parametri (a, B) per l'assenza d'un  fondamento micro di questo modello macro-analitico meramente descrittivo e statistico; 
 
nelle ipotesi statiche d'invarianza dell'innovazione, del suo tasso di diffusione "B" e della popolazione di riferimento "n", nell'assunto di omogeneità della popolazione» (p.91) che garantisce la simmetria della curva. 

Ulteriori estensioni del modello tentano di rispondere a tali questioni ma sono tutte impotenti rispetto a due fonda­mentali incognite qualitative: 

i) cosa differenzia formalmente le diverse semantiche tecnologiche; 

ii) quale singolarità sociale - oltre che economica - dispiega il processo innovativo.

Sono due punti di critica difficilmente eludibili.  

Il primo è inerente alla sintassi del modello, in quanto non è isologica, ed è, comunque, incapace di esplicitare le differenti semantiche tecnologiche (le tecnologie meccaniche sono ben differenti dalle elet­troniche e queste dalle fotoniche, etc., ciò che va esplicato anche nella formalizzazione).

Il secondo manifesta un'incapacità dei modelli di «domanda» nella spiegazione socio-economica dell'ado­zione.

L'adozione tecnologica implica una biforcazione.

Scelta di una nuova tecnologia. Saturazione della vecchia.

La relazione «saturazione-scelta» manifesta un punto singolare che non dipende da un modello comunicativo, ma da uno stato relazionale e comunicativo non esplici­to, interno alla socialità. 
 
E' la socialità a definire precondizioni, a richiedere continuità e cumulatività innovativa, a far emergere il bisogno di attività spe­cifiche per la diffusione. 

Necessita allora un'analisi della socialità e delle modalità di comunicazione e conflitto costituenti. 

Non sono la «persuasione» ed il «convincimento» comunicativo il motore della storia delle adozioni tecnologiche ma sono le modalità rela­zionali strutturanti la socialità, ed in particolare le modalità di conflitto, a rendere necessaria l'adozione tecnologica nello stadio d'origine. 

Il modello semanti­co di Brown (Brown, 1981), che è  stato tradotto nel modello formale della così detta curva «ad S», forse può spiegare la fase di diffusione, certo non esplica le singolarità originarie su cui di dispiega il proces­so, singolarità che sono invece dispiegate e spiegate dalla spirale catastrofica (fig. 1) elaborata dagli autori in precedenti lavori (Montagnana, 1982 e 1983).

  • C.3. Semantica dell'Hi-tech-space

L'innovazione della macchina, la sua mutazione nella forma e nel contenuto, nell'addensarsi di capacità, nell'incorporazione di mansioni e di qualità di rappor­to con l'uomo e con lo spazio, induce ad un ripensamen­to dello spazio fisico e sociale. 

Di per sé la modifi­cazione tangibile della spazialità non è ancora apparsa visibilmente con grandi trasformazioni di carattere territoriale, vuoi per la maggiore stabilità dell'as­setto fisico-territoriale, vuoi per il radicamento delle concezioni preesistenti, vuoi per le incer -
tezze che prefigurare il nuovo comporta.

Il «surplus» di manodopera impiegata in lavoro de­stinato alla produzione diretta di beni di consumo; il declino delle metropoli;  

l'addensarsi di ricerca e produzione in poli-non poli localizzati all'interno di città preesistenti o in altri luoghi, sono gli elementi forse in apparenza più caratterizzanti il fenomeno, ma ancora non esprimenti la qualità nuova dello spazio implicita nell'innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica in atto.

  • 3.1 Tecnopolis, highways, valleys, tecnocities

Ancora sembra che nella costituzione delle città della scienza (vedi Tsukuba) o negli altri esempi di parchi scientifici o tecnologici, a prevalere continui ad essere una concezione dello spazio razionalista che lo suddivide per funzioni. 

Se prima esistevano i campus universitari da una parte, e le aree industriali dal­l'altra, oggi la domanda è d'integrazione, essendo stata assunta la ricerca scientifica e la formazione professionale ad un certo livello, come nuovo fattore localizzativo; ma permangono le tendenze alla specia­lizzazione, alla concentrazione, ecc.

La distanza genera ancora problemi e, l'accorpamento in una nuova area di centri e laboratori di ricerca estrapolati dalla metropoli ove la concentrazione ha provocato guasti ed inefficienze potrebbe causare nuova concentrazione e nuove congestioni. 

Ne sono un esempio Silicon Valley o Route 128, il cui grado di congestione ha costituito l'atto di nascita d'una seconda tangen­ziale (la I - 495), nuova area di crescita delle impre­se avanzate (Aa.Vv. , 1985).  

Questo a dimostrazione che di per sé il nuovo non genera immediatamente il nuovo. 

E la nostra analisi vorrebbe tendere viceversa ad iso­lare quegli elementi che hanno provocato, o potenzial­mente potrebbero, rottura col passato. 

Sembra che non siano superati i problemi ed i disagi del modello industriale, e che l'obiettivo della qualità della vita, per il momento, rimanga un obiettivo. 

Anche lad­dove i criteri di localizzazione tendono a tener conto dei fattori climatici ed ambientali (per esempio: Zirst, nei pressi di Grenoble o Sophia Antipolis sulla Costa Azzurra), ciò che prevale è sempre l'elemento di frattura, di negazione, di assenza, di complementarietà della situazione. 

Si soffre l'assenza di riconoscibili­tà d'identità urbana e se ne ricerca la vicinanza come appoggio. 

L'operazione consiste nell'asportare alcune funzioni dalla città e radicarle in aree opportunamente scelte per ridare impulso allo sviluppo economico e sostentamento alla città stessa.

Forse un ragionamento a parte vale la pena sia fatto a proposito di Tecnocity in Piemonte, per le particola­rità di questo progetto nei confronti degli altri cui prima si faceva riferimento. 

Differenze che si coagulano essenzialmente nel fatto che il propulsore di svi­luppo e di ricerca è stata l'impresa stessa e non l'università o il centro di ricerca altamente qualifi­ cato o l'istituzione pubblica (forse anche per i diver­si fili che legano l'industria, l'università e lo stato in Italia piuttosto che negli Stati Uniti o in Fran­cia). 

In questo caso, come anche negli altri citati, è la preesistenza culturale, sociale, conflittuale dell'area ad aver determinato un particolare sviluppo, un insediarsi di macchine ad alta tecnologia, una diversa struttura e dimensione d'impresa, una miriade di centri di ricerca sparsi. 

E' la trasformazione che si è auto­generata come risposta alla conflittualità ed ai biso­gni espressi dalla socialità; risposta, neppure comple­tamente cosciente, ad una domanda collettiva espressa fuori dalle regole della contrattazione. 

Ma in questo caso, forse a differrenza degli altri, è la città, la fabbrica a diventare essa stessa laboratorio di ricer­ca, luogo deputato allo studio ed alla sperimentazione; è l'industria a prendere il sopravvento sull'innova- zio­ne nei confronti dell'università e del mondo scienti­fico. 

Ed ancora in mano all'impresa è lasciato il compito di razionalizzare l'accadente nei progetti d'incentivi e di tagli alle diseconomie. 

Però il confi­ne tra pubblico e privato non è, in realtà, piu così netto. 

Non è cioè così certo che l'università sia sede di maggior controllo sociale rispetto all'impresa. 

Anche in questo caso molto dipende dalle relazioni e risposte che vengono stimolate.

  • 3.2 Gli archetipi dell'Hi-tech-space 

La teoria della gravità ha aleggiato per secoli nella fisica e più tardi nelle scienze territoriali.  

Con la crisi dell'industrialismo anche i paradigmi fondati sulla gravità vanno verso il loro declino. 

Consideriamo fenomeni nuovi quali: «l'eccedenza di spazio» (M. Montagnana ed altri 1984/2); 

la desideranza spaziale; l'innovazione continua, permanente e catastrofica delle scienze e delle tecniche;

il passaggio dall'elettromagnetismo all'elettronica, alla fotonica;  

l'evidenziarsi del salto qualitativo nell' informatica, ormai imminente con i computer di quinta generazione a logica parallela (Aa.Vv. , 1983); 

l'assunzione dell' estetica, del lusso e del neonarcisismo come condizione esistenziale dell'etica e della socialità; 

il conflitto che assume la varianza da softwarista (solo nel soft­ware) ad hardwarista (solo nell'  hardware) fino alle embrionali forme di hackwarista (Hofstadter,1979) ove il conflitto s'identifica con la morfogenesi di paradi­gmi scientifici e tecnologici nuovi;

la differenza sessuale come mitopoiesis dell'androgino e dell'euto­pia. 

Questi fenomeni non possono certamente essere spiegati da teorie sorte agli inizi dell'industriali­smo. 

Dalle teorie fisiche può venire forse un suggeri­ mento, ma solo un suggerimento. 

La supergravità deriva da un'idea geometrica di Kaluza, che si proponeva d'ottenere una teoria unifi­cante le due forze fondamentali: la gravitazionale e l'elettromagnetica.  

Qui il tempo è uno spazio, meglio è la quarta dimensione dello spazio.  

Kaluza suggerì una quinta dimensione ove potessero oscillare densità spa­ziali (fig. 3).

Una rappresentazione della spazialità post-indu­striale con la teoria della  supergravità, se per l'a­spetto scientifico innovativo supera tutti i paradigmi preesistenti, non è però sufficientemente «isologica» (identica nella logica e nella forma) con le evenienze, qualitativamente e geometricamente inedite.  

Anche la teoria della supergravità ha bisogno di un'innovazione teorica.

S'immagini d'inscrivere nella sfera kaluziana una sfera densamente catastrofica (fig.2). 

Il parabo­loide configurato dalla diafarfalla, emette, a seconda della prevalenza d'una delle due variabili "x" e "y" o della loro reciproca elisione o collisione, una cata­strofe ombelicale. 

Ogni sfera densamente catastrofica esprime una singolarità produttiva: una work-station. 

Più work­ stations rappresentano una factory, oppure una stringa di work-stations è un'unità produttiva diffusa nello spazio. 
 
La localizzazione delle work-stations non di­pende da alcuna contrarietà spaziale, giacché con la telematica, le fibre ottiche, i satelliti geostazionari, gli space-labs, l'unico limite è la velocità della luce (o quasi). 
 
Il grado di entropia designa la forte telematizzazione delle work-stations o space-labs; la neghentropia invece esprime il gradiente di concentra­ zione in factories.

Ogni work-station o space-lab è collegato attraverso un flusso di comunicazioni, di merci materiali o imma­teriali. 

Le comunicazioni materiali, solo e soltanto, sono identificate in un ombelico ellittico; 
le comuni­cazioni immateriàli in un ombelico iperbolico; quelle ove esiste la compresenza di materialità ed immateria­lità in un ombelico parabolico. 

E' questa nuova confi­ gurazione (fig. 4) a sostituire il reticolo di Kaluza.

Una stringa di diffusione spaziale può avere varie morfie di configurazione. 

Semanticamente, nell'analisi territoriale dello Hi-tech-space, tre ci appaiono esse­re gli archetipi fondamentali. 

Nelle high ways le work­ stations e le factories si dispiegano lungo una linearità «stretta» e continua, e ogni prolungamento spaziale non designa soltanto l'ampliamento dello spa­zio utilizzato, ma può molte volte designare la strati­ficazione e la generazione delle innova 
zioni tecnologi­che.

Nelle valleys la diffusione delle factories o work­ stations dilaga all'interno d'un bacino seguendo, ad ondate, strati di dispiegamento spaziale e di innova­mento tecnologico. 

Nelle technocities preesistenze strutturalmente sta­bili dell'industrialismo e del post-industrialismo vengono ad essere genesi d'attrattori polari lineari interni e decentrati, identificanti la morfogenesi dello spazio e la morfogenesi dell'innovazione.  

Ove avviene una soluzione di continuità, un distacco, una frattura, una rottura di simmetria, la tecnocity fa sorgere la tecnopolis: qualitativamente identica, ma acquistante una relativa autonomia (figg. 8a, 8b). 

Le catastrofi volanti sono la forma topologica ed analitica di quei dispiegamenti spaziali, perché è possibile individuare tre variabili qualitativamente equivalenti e perché l'isologia è perfetta o quasi.

Per tutti e tre gli archetipi prescelti, le variabili sono:

"x: varianza corpo mente;
"y" scienza (teoria)--+ tecnologia (innovazione);
"z: = classi, ceti, funzioni sociali, prevalenza degli uni sugli altri. 

I parametri invece vengono diversificati per comodi­tà d'isologia.  
Nella catastrofe volante ellittica (fig. 5) il dispiegamento spaziale è rappresentato dalla "w", mentre la u esprime il variare dall'individuale al sociale e la "i" il variare dalla necessità al benessere.  

Per la catastrofe volante iperbolica (fig. 6) il para­metro che designa la diffusione spaziale è "v"; 
così anche per la catastrofe volante parabolica (figg. 7a, 7b).  

Invece il parametro "t" è sempre il biotempo. 

Le esperienze di nuove forme d'organizzazione del territorio propongono altri elementi alla discussione intorno al rapporto: ricerca-università-industria; potere pubblico-privato; 

sviluppo territoriale spon­taneo o pianificato; tipo di ricerca, conformazione d'impresa, cultura e prodotto innovato.

Riflettendo sulla pianificazione (o sulla sua cri­si), alla luce delle trasformazioni attuali, due osser­vazioni vengono a delinearsi. 

La prima è che anche la pianificazione risentiva dei metodi delle scienze fisi­che che s'ispiravano all'osservazione e alla previsiohe dei fenomeni piuttosto che al loro controllo. 

In effet­ti l'elaborazione dei piani era determinata da proie­zioni in avanti di ciò che era stato nel passato, del tipo di sviluppo che si era consolidato.  

In questo modo l'elemento di decisionalità era ridotto, contratto, limitato alla circoscrizione del fenomeno stesso; 

vice­versa le metodologie dell'automatica, della sistemisti­ca, dell'informatica tendono a configurare una nuova area scientifica con una nuova visione metodologica caratterizzata dall'adozione di modelli, ispirati non solo all'esigenza di studiare un processo durante la sua evoluzione, ma anche d'intervenire su di esso. 

L'altra osservazione, insieme di carattere teorico e metodologico, riguarda l'esigenza (al nascere della pianificazione) di coordinare spazio e tempo diversi, trattando informazioni ed ipotizzando quello che sareb­be successo domani sulla base delle informazioni di oggi.  

Ieri la macchina generava grande movimento ed un ampio flusso d'informazioni che non trovando una subitanea collocazione spaziale determinava incertezza e richiedeva coordi
nazione e tempi lunghi per il fattore decisivo.  

Oggi le nuove tecnologie affermano identità spazio-temporale e, quindi, anche i tempi della deci­sionalità sono annullati. 

La spazialità è stata trasformata come conseguenza della trasformazione del concetto di spazio: da spazio concepito vuoto e riempito di «oggetti», a spazio ove ciò che prima divideva (spazio come distanza) oggi è medium (la comunicazione in tempo reale)
(M. Montagna­, 1984/2).  

Se nel modernismo la macchina era movimen­to perché riduceva le distanze e diminuiva i tempi, oggi è movimento assoluto, rasenta la staticità. 

Ancora astrattamente, l'innovazione tecnologica è l'emancipazione dell'uomo sulla natura; 
il superamento della fatica di combattere contro le leggi della fisi­ca; 

la separazione della ragione dal fato; 

la suprema­zia della mente; 

il superamento dei fattori localizza­tivi, la fine della costruzione del territorio. 

Se Le Corbusier faceva poggiare la sua casa su pilotis, la sfera autosufficiente poggiata sul deserto potrebbe essere il simbolo concettuale dell'era del superamento del bisogno: il simbolo della spazialità Hi-tech, sim­bolo e non concretizzazione .

Nella realtà, assistiamo a nuove forme d'organizza­zione territoriale che producono o nuove concentrazioni (con vecchi disagi), o rarefazioni (con nuovi disagi) tali da ridurre gli abitanti a vivere in vitro. 

Se la città, come luogo del lavoro e della vita, è uno spazio mentale (B. Secchi, 1985) oltre che fisico, è la sua trasformazione concettuale, il suo ridisegno (A. Rossi, 1985) a rivitalizzarla, non l'estraneazione di nuove classi e della loro formazione, di nuove funzioni, ecc., dal contesto sociale complessivo.

La spazialità indotta dalle nuove tecnologie si sostanzia attraverso l'immagine d'una struttura topolo­gica modificantesi a partire da quei punti ove più intensamente s'esprime la socialità, soprattutto in presenza di sviluppo informatico non lineare e contem­poraneità di diverse fasi tecnologiche. 

La specializza­zione delle aree, viceversa, fa pensare ancora ad una divisione dello spazio secondo griglie funzionali. 

Il concetto di griglia presuppone ancora uno spazio di­screto, corpuscolare, rigido; ad una possibilità di sostituzione indolore di forme e funzioni interne alle sue maglie. 

Lo spazio continuo, senza distinzione di valenza tra sé stesso e gli oggetti, presuppone invece una continua modificabilità di tutto il contesto al modificarsi di un suo punto.

  • C.4. Modelli di Kaluza-Klein, catastrofi volanti sfere metaedriche

Si è già detto che i fenomeni delineati nei paragra­fi precedenti mostrano una articolazione ed una com­ plessità che superano quelle finora incontrate in altri settori delle scienze economiche e sociali. 

Essi ri­chiedevano pertanto un'opera di formalizzazione che ha condotto a modelli matematici del tutto diversi da quelli essenzialmente quantitativi ed algebrici attual­mente utilizzati in questo campo.

Il riferimento non può che essere la teoria della stabilità strutturale elaborata da R. Thom (R. Thom, 1972, 1974)e sviluppata da diversi autori (E.C. Zee­man, 1977; T. Poston, 1978 e R. Gilmore, 1981). 

Essa consente infatti di collegare le fasi di costruzione e di analisi del modello matematico per un dato processo a quelle di definizione delle variabili, dei parametri e delle relazioni tra questi. 

Inoltre, recenti ricerche degli autori (M . Montagnana, 1984/3, 1985) hanno intro­dotto delle metodologie per la generazione di modelli geometrico-topologici più complessi di quelli prodotti dalle catastrofi elementari di Thom https://www.giacintoplescia.it/tecnologie-e-teoria-delle-catastrofi-dopo-rene-thom/

Se da un lato la modellizzazione fa dunque un uso esteso delle catastrofi thomiane, delle sfere metaedri­che e delle catastrofi di corango tre, dall'altro essa trae spunto dalle idee fisico-geometriche di Kaluza sulle quali si basano le moderne teorie d'unificazione di due forze fondamentali della natura, dette appunto teorie di Kaluza-Klein (D.Z. Freedman, 1978; E. Witten, 1981).

I modelli geometrici adottati per descrivere le teorie di Kaluza-Klein nascono tutti dall'idea che lo spazio-tempo abitualmente considerato come uno spazio a quattro dimensioni, possa in realtà avere un numero di dimen­sioni assai superiori, fino a un- dici. 

Questa ipotesi offre possibili rappresentazioni per gli enti astratti che nascono dal tentativo di unificazione delle quattro forze fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, intera­zione nucleare debole (oggi unificate nella forza elet­trodebole), interazione nucleare forte.

Un modo elementare di pensare ad un simile spazio a cinque o più dimensioni è quello di rappresentare lo spazio­ tempo quadridimensionale con un piano euclideo: un asse è quello dei tempi, l'altro è lo spazio fisico tridi­mensionale. 

In ogni suo punto il piano spazio-tempo è tangente a una sfera che rappresenta comples -
sivamente le dimesioni corrispondenti alle altre forze fondamen­tali. 

Non procediamo oltre nel precisare come questo modello, ancora approssimativo, sia stato tradotto in uno strumento rigoroso d'indagine, anche perché l'uso della teoria delle catastrofi ci permetterà di giungere allo stesso risultato in un modo che riteniamo più semplice.

In primo luogo, anziché considerare delle superfici sferiche, che sono varietà bidimensionali, introduciamo le superfici catastrofiche che in un precedente lavoro, (M. Montagnana, 1984/3) sono state chiamate sfere meta­ edriche. 

Qui siamo interessati in particolare a modelli generati dalla farfalla.

La diafarfalla è la figura fondamentale che s'ot­ tiene incollando insieme la superficie d'equilibrio "M" (più precisamente, una sua sezione) della farfalla con la superficie "M8" che da questa si ottiene per la ri­flessione speculare. 

La tetradiafarfalla è la varietà generata da quattro rotazioni di 90° della diafarfalla intor­no alla cuspide comune alle due superfici simmetriche; dettagli geometrici ed analitici si trovano nel già citato lavoro (M. Montagnana, 1984/3). 

L'anfitetra­diafarfalla infine è la varietà prodotta per rifles­sione speculare della tetradiafarfalla.

Consideriamo ora la traccia d'una famiglia d'anfittradiafarfalle su una sfera avente il centro nella cuspide centrale dei metaedri e seguiamo il percorso d'un punto mobile all'interno della sfera: esso incon­trerà ripetutamente le farfalle appartenenti ad entram­ be le falde di ciascun metaedro ed ogni volta s'avrà un cambiamento di regime del processo, in accordo con la morfologia propria della farfalla (R. Thom, 1972).

Il modello geometrico che abbiamo in questo modo sostituito alla sfera di Kaluza-Klein è «portatore» di due variabili di stato (x, y) e di quattro parametri (u, v, w, t).

Il passaggio successivo consiste nel sostituirle connessioni «lineari» tra le sfere, costituite dalle rette del piano, con superfici catastrofiche ombelica­li. 

Più precisamente si tratta di costruire connessio­ni, attraverso le tracce delle anfitetradia -
farfalle sulla sfera metaedrica, fra i metaedri stessi ed uno o più degli ombelichi: la scelta fra ellittico, iperboli­co e parabolico dipende ovviamente dal processo che s'intende formalizzare. 

Un esame approfondito dell'ag­gregazione di più catastrofi mediante connessioni è stato oggetto di ricerche degli autori (M. Montagnana, 1983).

E' possibile introdurre un'ultima innovazione nell'idea geometrica di Kaluza, supponendo che le sfere non si dispongano in modo regolare sopra il piano dello spazio-tempo, ma s'addensino secondo insiemi le cui forme siano isologiche con quelle del processo conside­rato. 

A tale scopo, le catastofi «volanti» appaiono le più idonee a rappresentare forme complesse e variegate, in possibile espansione o riduzione.

E' noto che, quando le variabili essenziali sono tre o più, non è possibile una classificazione finita delle varietà stabili. 

Tuttavia gli autori hanno proposto la costruzione di catastrofi che corrispondono a famigle di potenziali dipendenti da tre variabili di stato essen­ziali.

Incominciando con una geometria cubica, ci proponia­mo d'ottenere qualcosa di simile al «fazzoletto piegato in quattro» utilizzato da Thom nello studio dell'ombe­lico iperbolico. 

Più precisamente consideriamo un cubo nello spazio tridimensionale (x, y, z) ed immaginiamo di poiettarlo in assonometria monometrica secondo la direzione del vettore (1, 1, 1) sul piano z = - x - y, di modo che otteniamo un esagono e le sue diagonali (fig. 9a).

Ripieghiamo questo esagono in una forma «a jet» (fig. 9b), passando dalle variabili (x, y, z) ai parametri (u, v) (R. Thom, 1985).

La pieghettatura produce sei facce giacenti l'una sull'altra, in luogo delle quattro che definiscono l'ombelico iperbolico. 

Il dispiegamento ombelicale (che contiene anche le catastrofi cuspidali) lungo l'asse "w" subisce qui un processo di duplicazione ed appare come l'arche­tipo della catastrofi del volo: le chiameremo dunque catastrofi volanti ellittiche, iperboliche, paraboliche 
(figg. 5, 6, 7).

Ricordiamo ora le osservazioni di Thom sulla morfo­logia dei frangenti ed in particolare la sua analisi della transizione iperbolico -+ ellittico -+ iperbolico, per mezzo dell'ombelico parabolico. 

Un punto in moto lungo un cappio nel plano (t, w) ha come effetto la trasformazione di un dato regime "h" in un nuovo regime "k": questo modello, consente di descrivere processi che presentano catastrofi generalizzate. 

Con riferimento alla precedente costruzione di catastrofi di corango tre, possiamo interpretare il regime iniziale "h" come l'epigenesi di catastrofi paraboliche volanti a struttura sferica (figg. 8a, 8b).

  • S. Morfogenesi simmetrica e asimmetrica del hi-tech space 

La metamorfosi della spazialità hi-tech dipende da una topologia fluttuante, in cui le fluttuazioni dina­miche, sinergetiche, caotiche, archetipali, instabili e dissipative emergono attraverso almeno due forme stabi­li: una evidenzia microsimmetrie e supersimmetrie o Susy (Witten, 1981); l'altra si dispiega in una morfo­genesi differenziale fluttuante, dopo aver infranto la simmetria iniziale. 

In quest'ultimo caso, si susseguono equilibri simmetrici e asimmetrici; verrà quindi chia­mato Symasy.

Susy derivò dalla teoria gravitazionale di Kaluza­ Klein; fu sviluppata da Wheeler (Witten, 1981) in rela­zione alla gravità quantica e Freedman la usò per unificare le forze elettro-deboli e la teoria della gravità relativistica. 

Più recentemente, Susy è stata di supporto negli studi per unificare le teorie di gauge con la supergravità quantica, avendo presenti due principali obiettivi: da un lato, spiegare l'origine dell'universo per mezzo delle cosiddette teorie «infla­zionarie», definendo una teoria post-big-bang;  dall'al­tro lato, risolvere i paradossi concernenti l'energia nelle teorie di gauge e di ipergauge. 

Da quest'ultima problematica è nata (proprio durante la stesura di questo lavoro) una nuova interazione fondamentale, denominata «ipercarica».

Gli autori hanno tentato di innovare la teoria della spazialità nello stesso modo in cui i fisici ed i matematici cercano di catturare le leggi nascoste dello spazio e del tempo, talvolta con successo ed altre no. 

Proponiamo pertanto un modello standard, che chiameremo «Hi-tech space Susy», ed un modello non-standard, che chiameremo «Hi-tech space Symasy».

«Hi-tech space Susy»
contiene undici dimensioni: in cinque dimensioni abbiamo le già menzionate stringhe cilindriche (fig. 10); in sette dimensioni otteniamo le «ettasfere» (fig. 11); ed in undici dimensioni il mo­dello è la superstringa cilindrica (fig. 12). 

Quando applichiamo la supergravità Susy allo spazio Hi-tech, dobbiamo supporre che la morfogenesi avvenga a diverse dimensioni, ma con le stesse simmetrie. 

Ciò significa che la differenza tra un micro-chip e il geospazio è solo quantitativo e non qualitativo. 

Si tratta di una osservazione che produce vantaggi rilevanti: è più facile formulare previsioni e produrre algoritmi, pro­getti, innovazioni, ecc. 

Ma, non appena appare una perturbazione, non appena le simmetrie invarianti ven­gono frantumate, allora la predizione, la stabilità e la stessa Susy declinano e scompaiono.

I fisici sono al lavoro su questa ipotesi; suggeria­mo che lo stesso si debba fare nelle dinamiche urbane e regionali, introducendo alcune innovazioni teoriche: per il momento, esse saranno solo qualitative, ma in futuro potranno seguire risultati quantitativi.
 
In primo luogo la sfera bidimensionale della teoria di Kaluza-Klein può diventare una sfera densamente cata­strofica (come abbimo già indicato) oppure una delle trivarietà di Thurston (Thurston, 1982): la scelta dipende dal processo che stiamo formalizzando.

Quando i mutamenti coinvolgono solo due dimensioni, non vi sono vere difficoltà. 

Ma, se sono coinvolte le conflittualità della socialità, la sfera bidimensionale non accresce le nostre conoscenze. 

Il fatto è che tali conflittualità dipendono da dinamiche assai più com­plesse: è stato ipotizzato che almeno duecento dimen­sioni qualitative siano necessarie per classificare il movimento di una singola persona, e ciò rappresenta un problema quasi impossibile perfino per una teoria della catastrofi generalizzate, che ancora deve essere svi­luppata.

Eppure l'attuale comunità scientifica sembra pretendere le computazioni; osserviamo che, anche quando calcoliamo, è necessario comprendere che i risultati saranno condizionati da errori, e che oggi il calcolo con errori sembra avere minore significato, in quanto nuovi metodi qualitativi, più precisi di quelli quanti­tativi, sono disponibili.

Symasy esprime l'esistenza di una morfogenesi fluttuante nella topologia che definisce lo spazio­ tempo. 

Alle dimensioni simmetriche seguono dimensioni asimmetriche; elementi che inizialmente possedevano stabilità e simmetria si dispiegano in variabili geome­triche caratterizzanti equilibri instabili. 

Nel Hi-tech space Symasy il riferimento iniziale è un campo morfo­genetico in cui diversi attanti sono in conflitto. 

Se desideriamo semplificazioni, possiamo rappresentare questi attanti con la sfera densamente catastrofica, che è particolarmente isologica: un modello non ancora 
soddisfacente, ma comunque superiore a qualsiasi algo­ritmo. 

Infatti, in questo modello, una topologia fluttuante diviene stabile su una sfera, anche se essa è generata da attrattori strani: l'interno della sfera è asimmetrica, mentre l'esterno è simmetrica. 

Le due dimensioni iniziali possono essere sostituite da varia­bili catastrofiche. 

In luogo del semplice asse della stringa supersimmetrica, avremo infiniti campi morfolo­gici generati dalle dinamiche spazio-temporali di sfere densamente catastrofiche e collegati da catastrofi ombelicali.
 
Siamo di fronte a nuclei di work-stations interagen­ti sinergeticamente, che compaiono come strutture dis­sipative o disperse caoticamente nelle più indefinite e variegate rappresentazioni spaziali. 

Le stringhe Syma­sy, attraversate da comunicazioni materiali e immate­riali, riproducono la topologia fluttuante di una etta­sfera, che simbolizza l'archetipo di una factory in cui le invenzioni e le innovazioni si susseguono continua­mente. 

Se la sinergia della ettasfera densamente cata­strofica raggiungesse un equilibrio stabile, si tradur­rebbe in un archetipo che si dispiega lungo la superfi­cie di una superstringa, secondo la forma di una cata­strofe ombelicale.

Abbiamo dunque ottenuto una configurazione corri­ spondente ad una superstringa catastrofica, che non è una delle catastrofi thomiane; il suo archetipo è simile a quelli delle catastrofi elementari, ed è tuttavia densamente simmetrica ed asimmetrica. 

A questo  punto non è difficile ottenere una maggiore isologia tra la spazialità Hi-tech, per esempio una valley, ed  una delle catastrofi fluttuanti, per esempio una super­stringa iperbolica (fig. 13).  

Più precisamente, nel caso della valley, il modello rappresenta l'attrazione morfologica fra due attanti simmetrici o asimmetrici, per esempio Nord e Sud, se la morfogenesi non è possi­ bile verso Est ed Ovest perché esistono oceani, deserti od altri impedimenti. 

Evidentemente, se desideriamo aggiungere ulteriori dettagli alla configurazione e quindi accrescere il numero delle varibili, useremo una superstringa iperbo­lica volante, con dodici variabili e un numero maggiore di parametri (fig. 14).

ELENCO DELLE FIGURE

C.4.1. Spirale catastrofica
z. Sfera densamente catastrofica
3. Modello di Kaluza-Klein
4. Connessioni ombelicali
5. Catastrofe volante ellittica
6. Catastrofe volante iperbolica
7. Catastrofe volante parabolica (a, b)
8. Diadema (a, b)
9. a) Proiezione monometrica del cubo
b) Ripiegamento a jet dell 'esagono
10. Stringa di Kalusa-Klein
11. Ettasfera
12. Superstringa
13. Superstringa ombelicale iperbolica
14. Morfogenesi dell' iperbolico : da Cor2 a Cor3

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