“E' la medesima realtà il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli, e quelli di nuovo mutando son questi”.
Il fuoco: dapprima mare, del mare una metà terra, l’altra soffio cosmico: dinamica reciproca di tutte le cose col fuoco e del fuoco con tutte le cose, come delle merci con l’oro e dell’oro.
Poiché il fuoco non è una sostanza statica ma sempre mutevole, Eraclito postulò una dinamica dell’Essere, alla base di tutti i fenomeni.
Il “panta rei” è uno stato continuo di flusso: la faccia nascosta della natura, macroscopica e microscopica.
Il “cosmos”, in Eraclito è “pólemos”, conflitto, è “dynamis”: tutto avviene secondo contesa e necessità o eristica: lì vige la morfogenesi.
L'eristica in accordo o in discordanze discordi, quale armonia, concorde pur discordando, armonia di tensioni contrastanti come nell’arco e nella lira: questi, infatti, trasformandosi sono quelli, e quelli, a loro volta, sono la “dynamis” concorde e discorde, armonica e disarmonica.
Eraclito: la misura e l'incommensurabile
Eraclito pensò la “dynamis” quale più potente armonia nascosta di quella degli eventi: è la “dynamis” del “kaos” come “physis” e “astrophysis” autosufficienti in sé, smisurati giacché senza fondatezza, incommensurabili e aldilà di un possibile modello epistemico.
La “dynamis” del mondo è la stessa per tutti, non c'è una per gli dei ed una degli esseri animati o inanimati, ma c'è sempre stata ed è e sarà fuoco vivo in eterno.
La via in su e la via in giù sono identiche o invarianti nella “dynamis”, così come è lo stesso sia il principio sia la fine nella sfera.
“E' l’incertezza che guida una dissennata mente, si è trascinati, sordi e ciechi, sbalorditi e senza giudizio... essere e non-essere sono considerati la medesima cosa e non sono la medesima cosa e perciò di tutte le cose c’è un cammino reversibile. Infatti, questo non potrà mai imporsi: che siano le cose che non sono” (Senofane).
La biforcazione della “dynamis”
Etereo fuoco della fiamma, leggero, a sé medesimo da ogni parte identico, e rispetto all’altro non identico: opposto o in contrastanza con la notte oscura, di struttura densa e pesante: è la “dynamis” quale ordinamento del mondo.
Il mondo trae origine dalla molteplicità delle forme della “dynamis” visibile e invisibile nelle dinamiche materiali e immateriali.
Non è solo una caratteristica fisica della materia ma anche la struttura ontologica della “dynamis”.
Fin dall'origine, nella “dynamis” è presente una biforcazione quale coesistenza di due “dynamis”: dell'ente e l'eristica dinamica interna, “dis-cordia” dell'entità.
La storia della “dynamis” è intrisa di due contemporaneità, sorgenti in simultanea, tra nascita dei fondamenti e crisi degli stessi: la contrapposizione tra “il nihil est sine ratione”, niente è senza ragione ovvero nessun ente può esistere senza un fondamento che è il primo assioma logico della razionalità moderna, e l'affermazione di A. Silesio per cui la “rosa è senza perché; poiché fiorisce di sé, non gliene cale; non chiede d'essere vista”.
La “dynamis” e la forma-mito
La “dynamis” è presente nel mito, è “in-formale”, l'inconoscibilità della forma-mito non consente né epistemica né ermeneutica.
La “dynamis” è indicibile, è impronunciabile, non può essere oggetto né di discorso, né di pensiero: è mitologica, poietica, “non metafisica”, è intraducibile, difficile da comprendere: è necessario un pensare differente per poter essere colta nella sua essenza.
Il mito è un intreccio di relazioni dal comportamento non prevedibile, le cui parti sono in interazione dinamica, è come un “corpo in trasformazione”: vi presiede una dinamica che genera cambiamenti da cui emergono nuove forme, configurazioni, fenomeni inaspettati, rovesciamenti inattesi di segni e significati.
La forma-mito è una singolarità all'interno di spazi topologici, le azioni all'interno della struttura del mito ne modificano le condizioni: è instabile come il “chaos”.
E simile allo spazio del mito è la realtà metamorfica dello “human-tech-space” di Internet in quanto, nelle sue multiformi declinazioni si dispiega come sistema autopoietico.
IL SIMPOSIO DI PLATONE E LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE
Nel “Simposio” di Platone l’amore, Eros, è figlio di “bisogno” e “povertà”, “penìa” e “poros”, è mancanza e desiderio generati anche dal taglio del cordone ombelicale: il “nodo” rompe la simbiosi con la madre e crea una “mancanza” (il riferimento platonico, ante litteram, alla topologia) rappresentata dal vuoto del “toro” nella psicoanalisi topologica di Lacan per il quale legami e separazioni sono costitutivi dell’inconscio: qui l'analisi si innesta a quella delle superfici: dal nastro di Möbius alla teoria dei tori, anelli, nastri e nodi che Leopardi preconizza quando scrive “questo globo ove l'uomo è nulla, sconosciuto è del tutto... nodi quasi di stelle”.
Oltre agli elettroni e ai “quark”, c'è un altro livello di struttura, un piccolo filamento di energia vibrante; questi filamenti vengono piegati, arrotolati, in una configurazione descrivibile dalla teorie delle stringhe di Gabriele Veneziano.
Il vuoto di cui canta Lucrezio è già l'indeterminazione di Heisenberg e Planck.
Una dimensione metamorfica, dinamica è registrata, all'inizio del novecento, anche nell'arte, si pensi all'espressionismo ed al futurismo.
La decostruzione della “physis” tra pratica ontologica, ermeneutica ed epistemica
“Ci sono asserzioni formulate in modo esatto che non sono nè vere né false” per Gödel e per Thom “La matematica rimette in discussione la possibilità di misurazione” :le riflessioni sui fondamenti della filosofia, della fisica, della matematica i problemi ontologici e fondazionali della meccanica quantistica, relative alla realtà subatomica, e le nanotecnologie consentono una interpretazione “ontopoietica” della natura capace di concepire l’Essere nelle sue trasformazioni ovvero nel suo “chaosmos” e portano verso una costruzione e decostruzione della “physis” oscillante tra pratica ontologica, ermeneutica ed epistemica.
FORMA, MATERIA E SPAZIO
Anassagora: la materia e il cambiamento
Anassagora propose non solo che la materia fosse infinitamente divisibile, sia nello spazio che nel tempo, ma che la divisione generasse un sistema infinito ulteriormente divisibile all’infinito, quale varietà di tutti i fenomeni fisici.
La materia e la forma non sono separabili l’una dall’altra, la materia non sempre si lascia dominare dalla forma, a volte le si oppone: eterna è invece la loro vicenda di trasformazione, poichè sempre si trasformano l'una nell'altra.
Il mondo è in continuo cambiamento e la discordia è necessaria perché ci sia mutamento e movimento dei fenomeni naturali.
Pare che il luogo coincida con ciò che delimita un corpo, con la sua forma, e la sua estensione sia commisurata alle dimensioni della grandezza delimitata della materia del corpo, di cui la forma è limite.
Ma è impossibile, dal momento che la forma e la materia non sono separabili da un corpo, mentre il luogo può esserlo.
Corpi e luogo sono tra loro distinti, ma correlati, in contatto ma non sovrapponibili, l'uno è contenente, l'altro contenuto; l'uno in funzione dell'altro, ma l'uno è ciò in cui qualcosa è contenuto, l'altro invece ciò che è in qualcos'altro ed essi non appaiono coincidenti né all'evidenza né al ragionamento.
Si può perciò dire che ogni cosa è in un luogo come in un recipiente, è cioè circondata da qualcosa che la contiene e la delimita e che è perciò ad essa commisurato, ma non si identifica con essa né con la sua forma.
Il luogo è quindi il limite primo del contenente, ossia ciò che immediatamente delimita un corpo in quanto suo recipiente, ma non è parte del contenuto, il luogo è un intervallo che si frappone nei corpi come una porzione di grandezza capace di sussistere separata e per sé, indipendentemente dal movimento.
La morfogenesi
La morfologia del vivente è l'esito di metamorfosi regolate da leggi geometrico-topologiche ed è al centro di molte riflessioni da Goethe a Geoffroy-Saint-Hilaire a d’Arcy Thompson: “Ci si dovrebbe chiedere se la maggioranza delle forme biologiche non sono costrette, a causa della loro stabilità interna, a una fissità di principio, così che il salto da una ‘forma-tipo’ad un'altra dovrebbe determinarsi rapidamente catastroficamente” (Thom).
Le forme hanno una loro dinamica e, accanto ai domini di stabilità, si osservano situazioni nelle quali piccole modifiche provocano grandi cambiamenti.
I modelli scientifici della fisica non sono in grado di spiegare il comportamento dei fenomeni di produzione delle forme a differenza dei modelli catastrofici che forniscono intelligibilità ad eventi apparentemente molto diversi tra loro.
L'immagine retinica di un oggetto varia in continuazione, tuttavia esso viene percepito come lo stesso oggetto finché le sue variazioni non lo perturbano troppo allora emerge una nuova forma, cioè si produce una catastrofe, un nuovo livello di stabilità strutturale del fenomeno.
La dinamica non lineare da Poincaré a Thom, ha stabilito che le traiettorie nello spazio geometrico sono strutturalmente stabili solo per un certo intervallo, fuori da quell’intervallo si salta su traiettorie diverse con una transizione rapida: la biforcazione, a volte discontinua: nasce una catastrofe e le singolarità ne sono i centri organizzatori.
Dalle tecnologie del macro alle micro
Nell’era del virtuale si conclude la fase post-moderna e post-industriale per lasciare spazio ad una nuova “téchne”: le tecnologie del macro si identificano sempre più in quelle del micro.
E' la singolarità della progettualità e dell’innovazione: una isteresi dal macroprogetto, al metaprogetto e al microprogetto, o dalle macrotéchne, alla microtéchne, mobile, flessibile ma anche isologica, isomorfica: è l'era dell' “isomorphing”.
L’imperativo pare essere, quello di abitare poeticamente la “téchne”, l’immaginario, il virtuale, il progetto, l’architettura del micro, locale, particolare e del macro globale.
Le esperienze raccolte paiono abbandonare il ritorno del classico, del gotico o del barocco o del moderno, per gettare le fondamenta di eventi e singolarità isomorfici tra tecnologia ed estetica, tra progetto e preesistenza architettonica, tra virtuale ed immaginario.
Consideriamo fenomeni nuovi quali: l'eccedenza di spazio, la desideranza spaziale, l'innovazione continua, permanente delle scienze e delle tecniche, il passaggio dall'elettromagnetismo, all'elettronica, alla fotonica, l'assunzione dell'estetica, del lusso e del neo-narcisismo come condizione esistenziale dell'etica e della socialità.
La “physis” ed il “chaosmos”
La conoscenza epistemica o ermeneutica viene meno e si dispiega un'interpretazione ontopoietica: nuovi paradigmi di concepire l’Essere stesso nelle sue trasformazioni.
La “physis” si dispiega nel “chaos e cosmos”, tra insieme ordinato ed elemento dinamico: è il “chaosmos” che interviene a turbare equilibri preesistenti e crea eventi in continuo divenire.
In principio il “chaosmos” è isologico con la “physis” e, a sua volta, questa isologia è possibile interpretarla come un “attrattore strano” ove la “physis” si evidenzia con un orizzonte, una forma, una formula rigorosa e completa ma che in sè possiede infiniti itinerari labirintici.
Joyce col suo ossimoro “chaosmos” volle definire un senso che fosse, nello stesso tempo, un “cosmos” non ordinato e non prevedibile; questa parola vuol dirci che l'antica distinzione tra ordine e disordine, tra “cosmos” e “chaos”, tra tempo ordinato e tempo disordinato, possono trovare un punto di fusione nell'essenza del “chaosmos” ovvero in un “cosmos” ove non regna più la simmetria apollinea ma fa da padrona l'asimmetria dionisiaca.
E' lo “spazio-tempo” ove il “chaos” viene alla luce per generare mondi abitati da una caoticità imprevedibile ed indecidibile dove trovano dimora gli dei e gli uomini quindi il dionisiaco, l'apollineo e l'umano che non è nè dionisiaco nè apollineo ma è l'uno e l'altro.
Forse il “chaos” è compresente in tutte le dimensioni dell'universo e non appare leggibile per la razionalità, per il sapere ed il calcolo.
Si può definire “l'ontologia del chaos” quale rappresentazione dell'essenza delle cose nella propria dimensione non delineata da nessuna cultura.
Perché il “chaos” possa essere considerato un oggetto di osservazione, quindi, si dovrà trovare una soggettività che ne delimiti l'orizzonte, il senso e la forma.
Nella monade leibniziana, quale sfera contenente in sé il “chaos” e il “cosmos” c'è un succedersi di simmetria ed asimmetria, di “cosmos” e “chaos”: si può parlare di un “attrattore strano” avente una dimensionalità temporale caotica ed una dimensionalità spaziale cosmica.
Lo “zeit-raum” mozartiano ed il “chaosmos”
“Zeit-raum”, nella sua originarietà, significa “spazio-tempo” ovvero il senso del periodo quale fu formulato in origine: “perì-odòs” limite intorno ad una strada, ad un sentiero.
Nel periodo musicale, nello “zeit-raum” di Mozart è già presente il “chaosmos”, la sua è la prima musica col senso dello “zeit-raum”, del periodo che ha in sé una simmetria, rigorosità, completezza apollinea, cosmica ma che, nella sua essenza, al suo interno conserva e svela un disordine, un'asimmetria, una tonalità che va oltre l'ordine musicale esistente.
Lo “zeit-raum” sarà quindi, quale metafora del “chaosmos”, lo spazio cosmico entro cui è possibile far soggiornare il tempo caotico e nel contempo il tempo cosmico, ove soggiorna lo spazio del “chaos”.
Nello “zeit-raum chaosmico” è possibile che lo spazio ed il tempo siano governati da una “differenza”: tempo ordinato e spazio disordinato, tempo caotico e spazio cosmico.
Si potrebbe anche evidenziare una fenomenologia in cui una spazialità cosmica sia abitata da una temporalità caotica e viceversa.
In Mozart, c'è l'eventuanza della dinamica, o la morfogenesi d'onda.
Lì lo “spazio-tempo” dinamico, le vibrazioni, le trasformazioni, le composizioni o proiezioni, i movimenti di cambio o di pura velocità o di velocità differenziale eventuano la dinamica della singolarità della transonanza: dispieganti singolarità morfologiche.
SINGOLARITÀ MORFOLOGICHE
La forma-bellezza ed il nastro di Möbius
La bellezza presuppone forma, misura, proporzione, simmetria: un fiore è bello perché possiamo riconoscere la sua organizzazione, la sua simmetria, i suoi colori.
La notte, l'infinito, le grandezze incommensurabili, le altezze imprevedibili, quali l’oceano e le grandi figure della natura, sono il sublime.
La bellezza e il sublime sono due poli in un continuo: un polo è la bellezza associata a un principio di organizzazione, con un senso della leggerezza e un ordine equilibrato e che ha una qualità debolmente decorativa, l'altro polo è il sublime che rappresenta una disorganizzazione non solo esterna, ma suggerisce una disorganizzazione interna, sistematica perché è dall’inabilità di organizzare quella cosa che il senso di disorganizzazione sorge.
E' la differenza tra due spazi topologici che s’incontrano come in un nastro di Möbius: un fiore, un poema, un dipinto, o un brano musicale, che possieda bellezza del primo genere può essere vista anche come bellezza del secondo genere.
Compresenza di due sensibilità contraddittorie in una sola sensibilità giacché è impossibile che lo stesso sentimento sia situato in due “topoi” opposti, in due luoghi differenti: la “physis” opposta o bistabile che si biforca o si trova in una spazialità möbiusiana.
Il sublime costringe a pensare ad un'osservazione provvisoria che separa le idee di quel sublime della natura dalle teorie epistemiche: la valutazione estetica della natura si dà aldilà del formulario in uso.La forma-corpo ed il nuovo paradigma della “differenza pensante”.
La forma-corpo ed il nuovo paradigma della “differenza pensante”
Una differente visione dell'”essere-corpo”, è rimasta occultata nell'essere e nell'esistenza stessa dell'individuo ed appare sul terreno del gioco.
C'è quindi un'”identità” ed una “differenza”, c'è un antagonismo ed un'amicizia, una “filei”, uno stretto legame tra due antagonisti, tra l'essere e la sua “alterità”.
I due differenti paradigmi
All'interno dell'ontologia del gioco è presente un “quid” che, nel corso dell'evoluzione storica e diramazione nei vari campi dell'esistenza, ha prodotto due paradigmi differenti: quella prevalente, fuori del gioco ove è essenziale distruggere l'”essere-che-è-di-fronte” e quella all'interno del gioco ove l'essere vince sull'altro che gli “sta-di-fronte” senza mai distruggerlo nella sua “essenza”, ma, anzi, suscita nell'”altro” il dispiegarsi delle sue qualità migliori, della sua forza ed intelligenza.
Nel gioco infatti l'essere si trova di fronte sempre un altro essere che si esprime nelle sue qualità d'eccellenza tant'è che riesce a piacerci solo quando ci sorprende e ci vince, con le migliori qualità intellettuali.
Nel gioco l'avversario è da considerarsi come un antagonista del cui “essere” si sente necessità: senza l'antagonista finisce il gioco.
In altri termini: l'essere e la sua antitesi nel gioco non dovranno mai essere completamente soppressi ma, attraverso delle regole, devono coesistere e contrapporsi.
LA CITTA', LA ΧΏΡΑ E LA SPAZIALITÀ “HI-TECH”
La natura e la χώρα
La città è un sistema aperto che scambia sia materia sia energia con il mondo esterno, è isologica sia alle unità produttive e abitative, sia ai sistemi aperti della fisica, della biologia e della chimica.
La città-χώρα disegna increspature, biforcazioni, “strutture” sfuggenti, appartiene al “triton ghenos”: è una singolarità, uno spazio dinamico non formalizzabile in cui il “logos” tace.
Hestia è al centro della casa, degli spazi privati; nella “polis” è la dea del focolare, invece Hermes, è epicentro della socialità pubblica, deriverebbe la sua euphonè tanto da “histoi”, pilastri di legno, metafora statica costruttiva dello spazio abitativo, quanto da “histos”, telaio versale in salienza, simbolia tecnologica della spazialità produttiva.
“Phalòs”, “essia” o “osia”
“Phalòs”, “essia”, quale essenza immutabile oppure “osia”, quale mobilità, movimento: “phalòs” comunicanti generano “omphalos” della comunanza dinamica della “polis” ed “omphalos” della spazialità pre-post-produttiva.
“Phalò”: instabilità d'una struttura stabile, invariante rispetto ad uno spazio prefissato, ma attraversata da dinamiche caotiche e cheotiche (χέω, versare, avente direzionalità), topologie fluttuanti recreanti attanze spaziali: “omphalos”.
Forma e spazio: l'”omphalos”
L'”omphalos”, ombelico, dello spazio abitativo-produttivo e della “polis” sintetizza l'economia con la spazialità urbana e della casa.
L'”omphalos”, etimologicamente una salienza anamorfica, un'instabilità, nella megalopoli assumerà una figura di regolazione ed, al suo interno, la scienza e la tecnologia, fluttuante, ricreeranno dinamicità spaziali caotiche e cheotiche, eutopiche e distopiche.
La spazialità dell'”omphalos” viene formalizzata dalle catastrofi ombelicali, si tratta di modelli topologici dotati di complessità superiori alle catastrofi di Thom, clonati da un centro organizzatore e di una struttura costituita da più poliedri: il “diadema”, la “sfera ombelicale”, la “sfera metaedrica”, la “farfallacuspide”, la “tetrafarfallacuspide”, la “collana”e hanno un carattere archetipale, sintagmatico, qualitativo.
La “farfalla-cuspide” rappresenta l'alterità sociale quale desideranza spaziale che inventa il nuovo: è pregna di eventi.
La “tetrafarfallacuspide” esprime la dialogia tra intelligenza della socialità, che si estrinseca in desideranza spaziale, interagente con la spazialità dei media di produzione.
Lo spazio discreto e lo spazio continuo
La specializzazione delle aree fa pensare ad una divisione dello spazio secondo griglie funzionali.
Il concetto di griglia presuppone ancora uno spazio discreto, corpuscolare, rigido; ad una possibilità di sostituzione indolore di forme e funzioni interne alle sue maglie.
Lo spazio continuo, senza distinzione di valenza tra sé stesso e gli oggetti, presuppone invece una continua modificabilità di tutto il contesto al modificarsi di un suo punto.
L'intelligenza artificiale e lo spazio
Le nuove tecnologie possiedono una temporalità di presenza spaziale effimera, quasi simile al tempo di vita delle strutture biologiche.
J. A. Wheeler sostiene essere la regione di Planck: significa che tutta l'oggettualità tecnologica potrà omologare la sua spazialità a quella dimensionalità infinitesima di 10-33 cm.?
Esisteranno allora due misure stabili, oltre le quali le catamorfie tecnologiche non potranno recreare alcuna tecnologia, quella formulata dalla relatività e quella enunciata dalle teorie della gravità quantistica.
L'unico aggiramento di circostanza potrà essere fornito soltanto dalla combinatoria topologica dei frammenti primigeni della tecnologia: intelligenze artificiali con prevalenza di software, intelligenza organica o biologica artificiale.
Le transmorfie tecnologiche ricreeranno attanze cinemorfiche, anaboliche e distopie tecnomorfiche della spazialità metropolitana: spazi caotici succederanno a spazi cheotici.
Nel sincronico, lo spazio di dispiegamento tenderà a dilatarsi con magnitudini inconsuete: la possibilità di produzioni extragravitazionali, la comunicazione metagalattica, avranno effettualità attualizzabili.
Emergerà il diffondersi d'una spazialità meta-terrestre, meta-urbana, dispiegata, resa strutturalmente stabile, in compresenza d'una influenza topologica e tecnologica, dalla micronicità cheotica della scienza.
La distopia spaziale sarà una “indetermanenza”, (termine coniato per designare la permanenza dell'indeterminatezza): una dissuadenza progettuale, una disvalenza olomediale.
Si può pensare, più fisicamente, la distopia della spazialità quale risultato di declinanze fratumanti simmetricità fra la tecnologia e le territorialità: quasi la formazione di un “black-hole”.
Realtà subatomiche e nanotecnologie
Realtà subatomiche e nanotecnologie consentono nuovi materiali subatomici quali il fullerene ed una nuova modalità di intendere il reale.
E' possibile che ci sia una bistabilità strutturale nel fullerene naturale, a differenza di quello artificiale.
Se così fosse il bistabile carbonio sferico, scoperto in natura, sarà utile per le applicazioni ottiche, fotoniche, quantistiche, laserizzabili.
Giacché l’isteresi bistabile configurerà virtuali varietà fotoniche, quali stabili icone della logica computerizzata quantica, supersimmetrica.
La macchina, le nuove tecnologie e la comunicazione in tempo reale
L'innovazione della macchina, la sua mutazione nella forma e nel contenuto, nell'addensarsi di capacità, nell'incorporazione di mansioni e di qualità con l'uomo e con lo spazio, induce ad un ripensamento dello spazio fisico e sociale.
Ieri la macchina generava un ampio flusso d'informazioni che, non trovando una subitanea collocazione spaziale, determinava incertezza e richiedeva coordinazione e tempi lunghi.
Oggi le nuove tecnologie affermano identità spazio-temporale e, quindi, anche i tempi della decisionalità sono annullati.
La spazialità è stata trasformata come conseguenza della trasformazione del concetto di spazio: da spazio concepito vuoto e riempito di oggetti, a spazio ove ciò che prima divideva, spazio come distanza, oggi è “medium”: la comunicazione in tempo reale.
Se Le Corbusier faceva poggiare la sua casa su “pilotis”, la sfera autosufficiente poggiata sul deserto potrebbe essere il simbolo concettuale dell'era del superamento del bisogno: il simbolo della spazialità “hi-tech”, non concretizzazione.
La spazialità indotta dalle nuove tecnologie si sostanzia attraverso l'immagine d'una struttura topologica modificantesi a partire da quei punti ove più intensamente s'esprime la socialità, soprattutto in presenza di sviluppo informatico non lineare e contemporaneità di diverse fasi tecnologiche.
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