martedì 4 settembre 2018

K.MARX A COLORI: IL CAPITALE LIBRO 1^ Capp. 14^ -15^ - 17^ a 200 anni dalla pubblicazione




SEZIONE V
LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE ASSOLUTO
E DEL PLUSVALORE RELATIVO
CAPITOLO 14
PLUSVALORE ASSOLUTO E PLUSVALORE RELATIVO


RIASSUNTO
Nel capitolo quinto
il processo lavorativo in un primo tempo è stato considerato
astrattamente, indipendentemente dalle sue forme storiche, come processo che si svolge fra uomo e natura
vi si diceva:
«Se si considera il processo lavorativo, dal punto di vista del suo risultato,
-mezzo di lavoro e oggetto di lavoro si presentano come mezzi di produzione
- e il lavoro si presenta come lavoro produttivo»
«Questa definizione del lavoro produttivo,
come risulta dal punto di vista del processo lavorativo semplice
non è sufficiente per il processo di produzione capitalistico».
Ora dobbiamo svolgere ulteriormente questo argomento.
Finchè il processo lavorativo è processo individuale,
il lavoratore riunisce in sè tutte le funzioni, che più tardi si separano,
nell’appropriazione individuale di oggetti dati in natura per gli scopi della sua vita,
il lavoratore controlla sè stesso più tardi, egli viene controllato.
il processo lavorativo riunisce lavoro intellettuale e lavoro manuale
più tardi, questi si scindono fino all’antagonismo e all’ostilità:
il prodotto si trasforma da prodotto del produttore individuale
in prodotto sociale, prodotto comune di un lavoratore complessivo cioè di un personale da lavoro combinato
le cui membra hanno una parte nel maneggio dell’oggetto del lavoro:


quindi
col carattere cooperativo del processo lavorativo
si amplia il concetto del lavoro produttivo e del lavoratore produttivo:
ormai per lavorare produttivamente non è più necessario por mano personalmente al lavoro,
è sufficiente essere organo del lavoratore complessivo e compiere una delle sue funzioni subordinate.
-La  definizione originaria del lavoro produttivo rimane vera  per il lavoratore complessivo
ma non vale più per ogni suo membro, singolarmente preso
dall’altra parte
il concetto del lavoro produttivo si restringe:
la produzione capitalistica
non è solo produzione di merce
è essenzialmente produzione di plusvalore:
l’operaio non produce per sè, ma per il capitale: non basta più che l’operaio produca  
deve produrre plusvalore: è produttivo solo l’operaio che produce plusvalore per il capitalista, ossia che serve all’autovalorizzazione del capitale,
Il concetto di operaio produttivo
non implica solo una relazione fra attività ed effetto utile, fra operaio e prodotto del lavoro,
ma implica anche
un rapporto di produzione specificamente sociale che fa dell’operaio un mmezzo di valorizzazione del capitale.
L’economia politica classica ha fatto della produzione di plusvalore la caratteristica decisiva dell’operaio produttivo,
quindi la sua definizione dell’operaio produttivo varia col variare della sua concezione della natura del plusvalore:
Così i fisiocratici dichiarano che solo il lavoro agricolo è produttivo, perchè esso soltanto fornisce un plusvalore:
per i fisiocratici il plusvalore esiste esclusivamente nella forma di rendita fondiaria



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La produzione del plusvalore assoluto
costituisce il fondamento del sistema capitalistico e il punto di partenza della produzione del plusvalore relativo
si ha tramite
il prolungamento della giornata lavorativa
oltre il punto fino al quale l’operaio avrebbe prodotto solo un equivalente del valore della sua forza-lavoro,
-e appropriazione di questo pluslavoro da parte del capitale:
in questa, la giornata lavorativa è divisa in due parti: lavoro necessario e pluslavoro;

per prolungare il pluslavoro
il lavoro necessario viene accorciato con metodi che servono a produrre in meno tempo l’equivalente del salario
per la produzione del plusvalore assoluto si tratta solo della lunghezza della giornata lavorativa;
la produzione del plusvalore relativo
rivoluziona, da cima a fondo, i processi tecnici del lavoro e i raggruppamenti sociali:
dunque
la produzione del plusvalore relativo
presuppone un modo di produzione capitalistico che sorge spontaneamente coi suoi metodi, mezzi e le condizioni,
solo sulla base della sussunzione formale del lavoro sotto il capitale:
al posto della sussunzione formale del lavoro sotto il capitale, subentra quella reale.
Cenno delle forme ibride nelle quali
-il pluslavoro non viene estorto al produttore mediante coazione diretta
-né è sopravvenuta la subordinazione formale del produttore stesso al capitale:
il capitale non si è ancora impadronito del processo lavorativo:
accanto ai produttori indipendenti che esercitano il loro mestiere di artigiani o di agricoltori col sistema tradizionale,
si presenta il capitale usurario o il capitale mercantile:
il predominio di questa forma di sfruttamento in una società, esclude il modo di produzione capitalistico
al quale però può servire di transizione, come nel tardo Medioevo,
-come mostra l’es. del lavoro domestico moderno
certe forme ibride vengono riprodotte sullo sfondo della grande industria, sia pure con fisionomia alterata.
Se per la produzione del plusvalore assoluto
è sufficiente la semplice sussunzione formale del lavoro sotto il capitale, 
es. è sufficiente che artigiani che lavoravano per sè o come garzoni di un artigiano
ora passino come operai salariati sotto il controllo diretto del capitalista,
si è visto come
i metodi per la produzione del plusvalore relativo siano insieme metodi per la produzione di plusvalore assoluto:
anzi,
il prolungamento smisurato della giornata lavorativa si è presentato
come produzione peculiare della grande industria.
Il modo di produzione capitalistico
cessa di essere semplice mezzo per la produzione del plusvalore relativo
appena
-si è impadronito di una intera branca di produzione,
-ancor più si è impadronito di tutte le branche decisive della produzione:
a questo punto diventa forma generale, socialmente dominante, del processo di produzione;
continua ad operare come metodo particolare per la produzione del plusvalore relativo
in primo luogo,  
in quanto si impadronisce di industrie fino a quel momento subordinate al capitale formalmente,  
in secondo luogo,
in quanto industrie che già l’hanno accettato, vengono continuamente rivoluzionate dal variare dei metodi di produzione.



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La differenza fra plusvalore assoluto e plusvalore relativo sembra illusoria
il plusvalore relativo è assoluto
perchè comporta un prolungamento assoluto della giornata lavorativa
al di là del tempo di lavoro necessario per l’esistenza dell’operaio stesso.
Il plusvalore assoluto è relativo
perchè comporta uno sviluppo della produttività del lavoro
che permette di limitare il tempo di lavoro necessario ad una parte della giornata lavorativa.

Se si tiene presente il movimento del plusvalore, questa parvenza di identità scompare:
appena il modo di produzione capitalistico si è insediato ed è divenuto modo di produzione generale
la differenza fra plusvalore assoluto e plusvalore relativo si fa sentire
appena si tratta di far salire il saggio del plusvalore in genere,

A questo punto, presupponendo che la forza-lavoro venga pagata al suo valore,
ci troviamo davanti alla alternativa:
data la forza produttiva del lavoro e il suo grado normale di intensità,
il saggio del plusvalore si può far salire
-mediante il prolungamento assoluto della giornata lavorativa;
e dato il limite della giornata lavorativa,
 -mediante la variazione relativa della grandezza delle parti costitutive di essa, lavoro necessario e pluslavoro:
il che presuppone una variazione della produttività o intensità del lavoro:
se il lavoratore ha bisogno di tutto il suo tempo per produrre i mezzi di sussistenza necessari alla conservazione di sè stesso e della sua specie,
non gli rimane tempo per lavorare gratuitamente per terze persone,
senza un certo grado di produttività del lavoro:
niente tempo disponibile di quel tipo per il lavoratore,
quindi senza tempo eccedente
-niente pluslavoro
-niente capitalisti
-anche niente padroni di schiavi, baroni feudali:
in breve
-niente classe dei grandi proprietari.

Si può parlare di una base naturale del plusvalore, solo nel senso che nessun ostacolo naturale
può trattenere una persona dal rimuovere da sè e dal caricare su di un’altra
il lavoro necessario per la propria esistenza.

Agli inizi della civiltà
-la proporzione delle parti della società che vivono del lavoro altrui è minima
di fronte alla massa dei produttori diretti
col progredire della forza produttiva sociale del lavoro questa proporzione cresce
-le forze produttive del lavoro ed i bisogni sono esigui 
questi ultimi si sviluppano con lo svilupparsi e per mezzo dei mezzi per soddisfarli
col progredire della forza produttiva sociale del lavoro
questa proporzione cresce in assoluto e relativamente.



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Solo quando il lavoro ha raggiunto un certo grado di socialità
nascono rapporti nei quali il pluslavoro dell’uno diventa condizione di esistenza dell’altro:
la produttività del lavoro che costituisce la base di partenza del rapporto capitalistico
non è dono della natura
ma di una storia di secoli
il rapporto capitalistico nasce su un terreno economico che è il prodotto di un lungo processo di sviluppo.

-Le condizioni naturali del lavoro favorevoli forniscono solo la possibilità
mai la realtà
del pluslavoro
e quindi
del plusvalore e del plusprodotto.

Le differenti condizioni naturali del lavoro fanno sì che
la stessa quantità di lavoro soddisfi differenti bisogni in differenti paesi
cioè che il tempo necessario di lavoro sia differente in circostanze altrimenti analoghe;
le differenti condizioni naturali di lavoro
-influiscono solo come limite naturale sul pluslavoro
-cioè influiscono mediante la determinazione del punto in cui può cominciare il lavoro per altri:
questo limite naturale arretra nella stessa misura in cui avanza l’industria.




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CAPITOLO 15
VARIAZIONE DI GRANDEZZA NEI PREZZI
DELLA FORZA LAVORO E NEL PLUSVALORE



(copiato dal cap.20
RIASSUNTO
Nel capitolo quindicesimo
ci siamo occupati
delle molteplici combinazioni provocate
da un variare della grandezza di valore assoluta o di quella relativa (ossia paragonata al plusvalore) della forza-lavoro,
mentre
la quantità dei mezzi di sussistenza, nella quale si realizza il prezzo della forza-lavoro,
poteva percorrere movimenti indipendenti o differenti dalle variazioni di questo prezzo;
come già è stato osservato
quelle leggi si trasformano in leggi del movimento del salario
mediante una traduzione del valore o del prezzo della forza-lavoro nella forma essoterica del salario:
quello che può apparire, entro tale movimento, come combinazione variabile
per paesi diversi può apparire come differenza di salari nazionali)

INIZIO CAP.15
Il valore della forza-lavoro è determinato
dal valore dei mezzi di sussistenza necessari all’operaio medio.

In un’epoca determinata di una società determinata, la massa dei mezzi di sussistenza è data
benché
la sua forma possa variare
quindi
va trattata come grandezza costante:
il valore di questa massa varia.

Noi presupponiamo,

1 -  che le merci vengano vendute al loro valore,
2 -  che il prezzo della forza-lavoro
      possa salire talvolta al di sopra del suo valore,
      ma non scenda mai al di sotto di esso;

dati questi presupposti, si è trovato che
le grandezze relative del prezzo della forza-lavoro e del plusvalore sono determinate da tre circostanze:

1- la durata della giornata lavorativa, ossia la grandezza estensiva del lavoro;
2- l’intensità normale del lavoro, ossia la sua grandezza intensiva, così una data quantità di lavoro viene spesa          entro un tempo determinato;
3- la forza produttiva del lavoro, cosicchè una stessa quantità di lavoro fornisca, a seconda del grado di sviluppo delle condizioni di produzione, maggiore o minore quantità di prodotti entro lo stesso tempo.




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Sono possibili combinazioni diversissime: qui sono presentate solo le combinazioni principali:

I. GRANDEZZA DELLA GIORNATA LAVORATIVA E INTENSITÀ DEL LAVORO COSTANTI (DATE),
FORZA PRODUTTIVA DEL LAVORO VARIABILE.

Dato questo presupposto
il valore della forza-lavoro e il plusvalore sono determinati da tre leggi:

primo
la giornata lavorativa di grandezza data si rappresenta nello stesso prodotto di valore, in qualunque modo vari
la produttività del lavoro
la massa dei prodotti
il prezzo della merce singola.
secondo
valore della forza-lavoro e plusvalore variano in direzione inversa l’uno verso l’altro:
una variazione nella forza produttiva del lavoro cioè
-suo aumento
-o sua diminuzione
agisce in direzione inversa
sul valore della forza-lavoro
e nella stessa direzione sul plusvalore.

Il prodotto di valore della giornata lavorativa di dodici ore è una grandezza costante
questa grandezza costante
è eguale alla somma del plusvalore e del valore della forza-lavoro che l’operaio reintegra con un equivalente

di due parti di una grandezza costante nessuna parte può aumentare senza che l’altra diminuisca:
il valore della forza-lavoro non può salire senza che il plusvalore scenda
e il plusvalore non può salire senza che il valore della forza-lavoro scenda

in queste circostanze
non è possibile alcuna variazione nella grandezza assoluta sia del valore della forza-lavoro sia del plusvalore, senza che al tempo stesso varino le loro grandezze relative:
è impossibile che diminuiscano o aumentino allo stesso tempo;

inoltre, il valore della forza-lavoro non può diminuire e quindi il plusvalore non può aumentare
senza che aumenti la forza produttiva del lavoro:
nel nostro es. il valore della forza-lavoro non può scendere da 36 a 24 €
se l’aumento della forza produttiva non consente di produrre 4 ore
la stessa massa di mezzi di sussistenza che prima ne richiedeva sei per la propria produzione

viceversa,
il valore della forza-lavoro non può salire
senza che la forza produttiva del lavoro diminuisca,
cioè senza che siano richieste 8 ore per la produzione di quella massa di mezzi di sussistenza per la quale prima bastavano sei ore:
ne consegue che l’aumento nella produttività del lavoro
-abbassa il valore della forza-lavoro
-e con ciò aumenta il plusvalore,
mentre, viceversa
la diminuzione della produttività aumenta il valore della forza-lavoro e diminuisce il plusvalore.



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Nel formulare questa legge Ricardo trascurò una circostanza:
benché la variazione nella grandezza del plusvalore, ossia del pluslavoro,
determini una variazione inversa nella grandezza del valore della forza-lavoro, ossia del lavoro necessario
non ne consegue che le due grandezze varino nella stessa proporzione:
aumentano o diminuiscono della stessa quantità:
ma la proporzione in cui ogni parte del prodotto di valore op della giornata lavorativa aumenta o diminuisce
dipende dalla ripartizione originaria che ha avuto luogo prima della variazione nella forza produttiva del lavoro.

Se il valore della forza-lavoro era di 48 €
o se il tempo di lavoro necessario era di 8 ore,
il plusvalore di 24 €
o il pluslavoro di 4 ore
e se, a causa di un aumento della forza produttiva del lavoro, il valore della forza-lavoro scende a 36 €,
o il lavoro necessario scende a 6 ore, il plusvalore sale a 36 € ossia il pluslavoro sale a 6 ore:
è la medesima quantità di due ore o di 12 € che
- là viene aggiunta
- qua tolta.

Ma la variazione proporzionale della grandezza è diversa da una parte e dall’altra

mentre il valore della forza-lavoro scende da 48 € a 36,
quindi diminuisce di un quarto ossia del venticinque per cento,
il plusvalore sale da 24 € a 36, aumenta quindi della metà ossia del cinquanta per cento:
ne consegue che
l’aumento o la diminuzione proporzionale del plusvalore
a causa di una variazione data nella forza produttiva del lavoro,
risulta tanto maggiore quanto era minore la parte della giornata lavorativa che si rappresenta in plusvalore,
e risulta tanto minore quanto maggiore era quest’ultima parte;

Terzo
aumento o diminuzione del plusvalore
sono conseguenza e mai causa
della corrispondente diminuzione ed aumento del valore della forza-lavoro
siccome la giornata lavorativa è una grandezza costante:
si rappresenta in una grandezza di valore costante,
ad ogni variazione di grandezza del plusvalore corrisponde
una variazione di grandezza inversa nel valore della forza-lavoro,
e il valore della forza-lavoro può variare solo quando vari la forza produttiva del lavoro,
consegue che
ogni variazione di grandezza del plusvalore deriva
da una variazione inversa di grandezza nel valore della forza-lavoro;
se si è visto che
nessuna variazione assoluta di grandezza nel valore della forza-lavoro e nel plusvalore è possibile
senza una variazione delle loro grandezze relative,
ne segue allora che
non è possibile nessuna variazione delle loro grandezze di valore relative
senza una variazione nella grandezza di valore assoluta della forza-lavoro.
secondo la terza legge
la variazione di grandezza del plusvalore presuppone un movimento di valore della forza-lavoro
causato dalla variazione nella forza produttiva del lavoro:
il limite di tale variazione è dato dal nuovo limite di valore della forza-lavoro.




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Ma possono aver luogo movimenti intermedi anche se le circostanze consentono che la legge agisca:
es. se a causa di un aumento della forza produttiva del lavoro il valore della forza-lavoro scende
ossia il tempo di lavoro necessario scende  
il prezzo della forza-lavoro potrebbe scendere
il plusvalore potrebbe quindi salire   
il grado della diminuzione
da un lato dipende dal peso relativo che la pressione del capitale
e dall’altro la resistenza degli operai gettano sulla bilancia.                              

Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore di una determinata quantità di mezzi di sussistenza:
quello che varia, con il variare della forza produttiva del lavoro,
è il valore di questi mezzi di sussistenza,
non la loro massa che può, aumentando la forza produttiva del lavoro,
crescere contemporaneamente e nella stessa proporzione per l’operaio e per il capitalista,
senza che si abbia una variazione di grandezza fra prezzo della forza- lavoro e plusvalore.

Se il valore originario della forza-lavoro è di 36 €
e se il tempo di lavoro necessario ammonta a 6 ore,
se il plusvalore è di 36 € ossia se il pluslavoro ammonta a 6 ore,
un raddoppiamento della forza produttiva del lavoro, rimanendo immutata la ripartizione della giornata lavorativa,
lascerebbe immutati il prezzo della forza-lavoro e il plusvalore:
ed entrambi si rappresenterebbero in una quantità di valori d’uso raddoppiata, ma più a buon mercato

benché immutato,
il prezzo della forza-lavoro sarebbe salito al di sopra del valore di quest’ultima
se il prezzo della forza-lavoro scendesse
questo prezzo in diminuzione rappresenterebbe ancora una massa crescente di mezzi di sussistenza;

così, a forza produttiva del lavoro in aumento,
il prezzo della forza-lavoro potrebbe essere in costante caduta,
mentre la massa dei mezzi di sussistenza dell’operaio potrebbe costantemente aumentare:
però a paragone del plusvalore,
il valore della forza-lavoro scenderebbe  
e così si allargherebbe l’abisso fra le condizioni di vita dell’operaio e quelle del capitalista.



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II. GIORNATA LAVORATIVA COSTANTE, FORZA PRODUTTIVA DEL LAVORO COSTANTE, INTENSITÀ DEL LAVORO VARIABILE.

Intensità crescente del lavoro presuppone
aumento del dispendio di lavoro entro uno stesso periodo di tempo
quindi
la giornata di lavoro più intensa s’incarna in più prodotti
che la giornata meno intensa d’eguale numero di ore.
a forza produttiva aumentata, anche la medesima giornata lavorativa fornisce più prodotti:
in quest’ultimo caso il valore del prodotto singolo diminuisce perchè il prodotto costa meno lavoro di prima;
nel primo caso rimane invariato perchè il prodotto costa la stessa quantità di lavoro:
in questo caso il numero dei prodotti aumenta senza diminuzione del loro prezzo;
-col crescere del loro numero cresce la somma dei loro prezzi
- nell’altro caso la medesima somma di valore si presenta in una massa maggiore di prodotti.
quindi
invariato il numero delle ore la giornata lavorativa più intensa s’incarna, in un più alto prodotto di valore,
e quindi,
invariato rimanendo il valore del denaro in più denaro.
Il prodotto di valore della giornata più intensa varia col deviare della sua intensità dal grado sociale normale:
la medesima giornata lavorativa
non si rappresenta dunque, come prima, in una produzione di valore costante,
ma in una produzione variabile di valore,
la giornata lavorativa di 12 ore più intensa si rappresenta per esempio in 84 €, 96 €, ecc. invece che in 72 €
come avviene per la giornata lavorativa di dodici ore d’intensità normale.
Se la produzione di valore della giornata lavorativa varia
possono aumentare, sia in grado eguale che ineguale,
entrambe le parti di questa produzione di valore cioè prezzo della forza lavoro e plusvalore
Se la produzione di valore sale
prezzo della forza-lavoro e plusvalore possono entrambi aumentare nel medesimo tempo:
in questo caso
l’aumento del prezzo della forza-lavoro non implica necessariamente
l’aumento del suo prezzo al di sopra del suo valore:
viceversa
quest’aumento può essere accompagnato da una diminuzione del valore della forza-lavoro.
ciò accade sempre nei casi in cui
l’aumento del prezzo della forza-lavoro non compensa il suo più rapido consumo.
Si sa che, una variazione della produttività del lavoro determina
-una variazione nella grandezza di valore della forza-lavoro
-e quindi nella grandezza del plusvalore:
solo quando i prodotti dei rami d’industria rientrano nel consumo dell’operai;
qui tale limite viene a cadere:
che la grandezza del lavoro vari per estensione o intensità,
alla sua variazione di grandezza
corrisponde una variazione nella grandezza del suo prodotto di valore
indipendentemente dalla natura dell’articolo in cui questo valore si presenta.
Se l’intensità del lavoro aumentasse contemporaneamente e uniformemente in tutti i rami d’industria,
il nuovo grado d’intensità più elevato diventerebbe
il grado normale sociale e comune e con ciò cesserebbe di contare come grandezza estensiva:
tuttavia, anche allora i gradi d’intensità medi rimarrebbero differenti nelle differenti nazioni,
e modificherebbero l’applicazione della legge del valore alle differenti giornate lavorative nazionali.
La giornata lavorativa più intensa di una nazione si rappresenta
in una espressione monetaria più alta che non quella meno intensa di un’altra.



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III. FORZA PRODUTTIVA E INTENSITÀ DEL LAVORO COSTANTI, GIORNATA LAVORATIVA VARIABILE.

La giornata lavorativa può variare in due direzioni
può essere abbreviata o prolungata:

1. Nelle condizioni date, ossia eguali rimanendo la forza produttiva e l’intensità del lavoro,
l’abbreviamento della giornata lavorativa

-lascia invariato
il valore della forza-lavoro
il tempo di lavoro necessario
-abbrevia il pluslavoro
-diminuisce il plusvalore
-diminuisce, la grandezza assoluta e la grandezza relativa del plusvalore
ossia la sua grandezza in rapporto alla grandezza di valore invariata della forza-lavoro.
solo abbassando il prezzo della forza lavoro, il capitalista potrebbe evitare una perdita
queste considerazioni presuppongono che il fenomeno avvenga, nelle circostanze qui presupposte,

nella realtà
la variazione nella forza produttiva e nell’intensità del lavoro
o precede o segue l’abbreviamento della giornata lavorativa

alle condizioni di  I
la grandezza di valore relativa della forza-lavoro
non può variare senza una variazione della sua grandezza assoluta.

2. Prolungamento della giornata lavorativa:

sia il tempo di lavoro necessario di 6 ore ossia il valore della forza-lavoro sia di 36 €
sia il pluslavoro di 6 ore e il plusvalore di 36 €:
quindi
la giornata lavorativa complessiva ammonta a 12 ore e si rappresenta in un prodotto di valore di 72 €
se la giornata lavorativa viene prolungata di 2 ore e se il prezzo della forza-lavoro rimane invariato
crescerà la grandezza assoluta e la grandezza relativa del plusvalore

la grandezza di valore della forza-lavoro
rimane invariata in assoluto
diminuisce relativamente
qui
la variazione della grandezza relativa del valore della forza-lavoro
è il risultato di una variazione della grandezza assoluta del plusvalore.



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Siccome il prodotto di valore nel quale si rappresenta la giornata lavorativa
cresce con il prolungarsi della giornata lavorativa
il prezzo della forza-lavoro e il plusvalore possono crescere contemporaneamente
di un incremento eguale ed ineguale:

dunque
questo aumento contemporaneo è possibile in due casi:
con un prolungamento assoluto della giornata lavorativa
e con un aumento della intensità del lavoro, senza quel prolungamento:
a giornata lavorativa prolungata,
il prezzo della forza-lavoro può scendere al di sotto del suo valore,
benché nominalmente rimanga invariato o salga;

come si ricorderà
il valore giornaliero della forza-lavoro è valutato,
-in base al periodo di vita normale dell’operaio,
-e in base alla corrispondente conversione di sostanza vitale, conversione normale e commisurata alla natura umana.

Fino a un certo punto il maggiore logoramento della forza-lavoro,
inseparabile dal prolungamento della giornata lavorativa,
può essere compensato da maggiore reintegrazione,

al di là di questo punto il logoramento cresce in progressione geometrica
e vengono distrutte le condizioni normali di riproduzione e attività della forza-lavoro:

il prezzo della forza-lavoro e il grado del suo sfruttamento
cessano di essere grandezze commensurabili tra di loro.

IV. VARIAZIONI CONTEMPORANEE NELLA DURATA, FORZA PRODUTTIVA E INTENSITÀ DEL LAVORO.

qui è possibile un grande numero di combinazioni:
possono variare
-due fattori alla volta e uno rimanere costante
-o tutti e tre insieme
-in grado eguale o in grado ineguale,
-nella stessa direzione
-o in quella opposta
quindi
le loro variazioni possono annullarsi.

Dopo le indicazioni date ai numeri I, II e III, l’analisi dei casi possibili sarà facile:
si troverà il risultato di ogni combinazione possibile
considerando  
un fattore per volta variabile
e gli altri, in un primo tempo, costanti.


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Prenderemo nota solo di due casi importanti:

1. Forza produttiva del lavoro in diminuzione
con prolungamento contemporaneo della giornata lavorativa:

Per forza produttiva del lavoro in diminuzione
si riferiano a rami di lavoro i cui prodotti determinano il valore della forza-lavoro,
dunque per es.
di forza produttiva del lavoro in diminuzione

Sia la giornata lavorativa di 12 ore, sia il suo prodotto di valore di 72 €,
dei quali
una metà reintegri il valore della forza-lavoro
e l’altra costituisca il plusvalore:
dunque la giornata lavorativa si divide
-in 6 ore di lavoro necessario
-e in 6 ore di pluslavoro;

poniamo che
il valore della forza-lavoro sale da 36 a 48 €
quindi
il tempo necessario sale da 6 ore a 8
se la giornata lavorativa rimane invariata, il pluslavoro e  il plusvalore scendono
se la giornata lavorativa viene prolungata
il pluslavoro resterà di 6 ore,
il plusvalore resterà di 36 € ma la sua grandezza diminuirà
a paragone del valore della forza-lavoro misurato mediante il lavoro necessario.
se la giornata lavorativa viene prolungata
le grandezze proporzionali del plusvalore e del valore della forza-lavoro, del pluslavoro e del lavoro necessario rimangono invariate,
ma la grandezza assoluta del plusvalore aumenta
dunque
quella del pluslavoro aumenta di un terzo.

Quindi
diminuendo la forza produttiva del lavoro
e prolungandosi contemporaneamente la giornata lavorativa
la grandezza assoluta del plusvalore può rimanere invariatam mentre diminuirà la sua grandezza proporzionale; la sua grandezza proporzionale può rimanere invariata, mentre la sua grandezza assoluta aumenta;
e, a seconda del grado di prolungamento, possono aumentare entrambe.
Nel periodo dal 1799 al 1815 l’aumento dei prezzi dei mezzi di sussistenza provocò in Inghilterra
un aumento nominale dei salari,
benché i salari reali, espressi in mezzi di sussistenza, diminuissero:
West e Ricardo ne trassero la conclusione
che la caduta del saggio del plusvalore fosse stata causata dalla diminuzione della produttività del lavoro agricolo,
e fecero di questa ipotesi, valida solo nella loro fantasia,
il punto di partenza di analisi circa il rapporto relativo di grandezza di salario, profitto e rendita fondiaria:
grazie all’aumento dell’intensità del lavoro e al prolungamento del tempo di lavoro,
allora il plusvalore era cresciuto, tanto in assoluto che relativamente:
fu quello il periodo
in cui il prolungamento della giornata lavorativa acquistò il diritto di cittadinanza,
fu il periodo caratterizzato da un aumento accelerato qua del capitale, là del pauperismo.



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2. Intensità e forza produttiva del lavoro in aumento e contemporaneo abbreviamento della giornata lavorativa:

l’aumento e l’intensità della forza produttiva del lavoro agiscono uniformemente in una direzione:

-aumentano la massa dei prodotti ottenuta
-accorciano quella parte della giornata lavorativa di cui l’operaio ha bisogno
per la produzione dei mezzi di sussistenza
o del loro equivalente.

Il limite minimo assoluto della giornata lavorativa è formato
da questa sua parte costitutiva necessaria ma contrattile:
se tutta la giornata lavorativa si riducesse a quella parte,
il pluslavoro scomparirebbe, il che è impossibile sotto il capitale.

L’eliminazione della forma di produzione capitalistica permette
di limitare la giornata lavorativa al lavoro necessario
tuttavia
quest’ultimo, invariate rimanendo le altre circostanze, estenderebbe la sua parte:  
-perchè le condizioni di vita dell’operaio si farebbero più ricche e le sue esigenze maggiori,
-perché una parte del pluslavoro rientrerebbe nel lavoro necessario
cioè necessario per ottenere un fondo sociale di riserva e di accumulazione:

quanto più cresce                                la forza produttiva del lavoro
tanto più può essere abbreviata        la giornata lavorativa

e quanto più viene abbreviata           la giornata lavorativa,
tanto più potrà crescere                     l’intensità del lavoro.
Da un punto di vista sociale
la produttività del lavoro cresce anche con la sua economia:
quest’ultima comprende
il risparmio nei mezzi di produzione
e l’esclusione di ogni lavoro senza utilità.
Mentre il modo di produzione capitalistico impone risparmio in ogni azienda individuale,
il suo anarchico sistema della concorrenza determina
-lo sperpero dei mezzi di produzione sociali e delle forze-lavoro sociali
-e un numero stragrande di funzioni ora indispensabili ma, in sè e per sé, superflue.
Date l’intensità e la forza produttiva del lavoro,
-la parte della giornata lavorativa necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve
-la parte di tempo per la libera attività mentale e sociale degli individui sarà quindi tanto maggiore
-quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente su tutti i membri della società capaci di lavorare,
-quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sè la necessità del lavoro e addossarla ad un altro strato.
Il limite assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è, sotto questo aspetto,
l’obbligo generale del lavoro.
Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe
tramite la trasformazione in tempo di lavoro, del tempo di vita delle masse.




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SEZIONE VI
IL SALARIO
CAPITOLO 17
TRASFORMAZIONE IN SALARIO DEL VALORE
E RISPETTIVAMENTE DEL PREZZO DELLA FORZA LAVORO



Alla superficie della società borghese
il compenso dell’operaio appare quale prezzo del lavoro:
una determinata quantità di denaro viene pagata per una determinata quantità di lavoro:
qui
-si parla del valore del lavoro
-e si chiama l’espressione monetaria di quest’ultimo, prezzo necessario o naturale del lavoro;
-si parla di prezzi di mercato del lavoro ossia di prezzi oscillanti al di sopra o al di sotto del suo prezzo necessario.

Il valore di una merce è
la forma oggettiva del lavoro sociale speso per la sua produzione.

misuriamo la grandezza del suo valore mediante la grandezza del lavoro in essa contenuto.
per es. il valore di una giornata lavorativa di dodici ore è determinato
dalle dodici ore lavorative contenute nella giornata lavorativa di dodici ore: il che è tautologia.
Per essere venduto sul mercato come merce, il lavoro dovrebbe esistere prima di essere venduto:
ma se l’operaio potesse dargli un’esistenza autonoma, venderebbe merce e non lavoro.
Uno scambio diretto di denaro ossia di lavoro oggettivato con lavoro vivente
abolirebbe
-o la legge del valore che comincia a svilupparsi liberamente proprio sulla base della produzione capitalistica,
-o la stessa produzione capitalistica, la quale si basa sul lavoro salariato.
La giornata lavorativa di 12 ore si presenta, per es. in un valore di denaro di 72 €
o si ha uno scambio di equivalenti e in tal caso l’operaio riceve per il suo lavoro di 12 ore 72 €
-il prezzo del suo lavoro eguaglierebbe il prezzo del suo prodotto
-e non produrrebbe alcun plusvalore per il compratore del suo lavoro, i 72 € non si trasformerebbero in capitale,
la base della produzione capitalistica scomparirebbe:
ma è
-su questa base che vende il suo lavoro
-e che il suo lavoro costituisce lavoro salariato;
oppure riceve, in cambio delle sue 12 ore di lavoro, meno di 12 ore di lavoro:
dodici ore di lavoro vengono scambiate con dieci, sei, ecc. ore di lavoro.
Ponendo come eguali, grandezze ineguali
-si elimina la determinazione del valore:
-si elimina da sola una contraddizione di questo genere e non può essere formulata come legge.
A nulla giova derivare lo scambio di più lavoro con meno lavoro, dalla differenza delle forme,
perchè il lavoro è
oggettivato in un caso,
vivente nell’altro.
È cosa insulsa in quanto il valore di una merce è determinato
-non dalla quantità di vivente lavoro in essa oggettivato
-ma dalla quantità di lavoro vivente necessaria per la sua produzione.
es. una merce è il risultato di 6 ore lavorative:
se subentrano invenzioni per cui possa essere prodotta in 3 ore,
scenderà della metà anche il valore della merce già prodotta;



192



ora,
essa rappresenta 3 ore invece delle 6 ore di lavoro prima necessarie:
quindi
è la quantità di lavoro richiesta per la sua produzione, non la forma oggettiva del lavoro,
che determina la grandezza di valore della merce.

IMPORTANTE
In realtà, sul mercato delle merci si presenta al possessore di denaro non il lavoro
ma il lavoratore che vende la propria forza-lavoro,
appena il suo lavoro comincia
esso ha già cessato di appartenergli:
quindi non può più essere venduto da lui.
Il lavoro è la sostanza e la misura immanente dei valori, ma non ha valore:
nell’espressione «valore del lavoro»
-il concetto di valore è del tutto obliterato
-ed è rovesciato nel suo opposto
è un’espressione immaginaria come ad es. valore della terra,
tuttavia
queste espressioni immaginarie
derivano dagli stessi rapporti di produzione:
sono categorie di forme fenomeniche di rapporti sostanziali.

È cosa nota in tutte le scienze, tranne nell’economia politica,
che nella loro apparenza le cose spesso si presentano invertite.
L’ECONOMIA POLITICA CLASSICA
ha mutuato dalla vita, senza sottoporla a nessuna critica, la categoria « prezzo del lavoro »;
poi,
-si è domandata «come viene determinato questo prezzo».
-e ha riconosciuto che la variazione del rapporto fra domanda e offerta
non spiega nulla per il prezzo del lavoro, come per quello di ogni altra merce,
all’infuori del suo variare
vale a dire dell’oscillazione dei prezzi di mercato
se domanda e offerta coincidono, l’oscillazione del prezzo, cessa:
in tal caso anche
la domanda e l’offerta cessano di spiegare qualche cosa;
quando la domanda e l’offerta coincidono,
il prezzo del lavoro è il suo prezzo naturale, determinato indipendentemente dal rapporto fra domanda e offerta, il quale risultava così come l’oggetto da analizzare.
Oppure, si considerava un periodo lungo di oscillazioni del prezzo di mercato, es. un anno
e allora si trovava che
il su e giù si livella a una grandezza media, cioè a una grandezza costante:
quest’ultima doveva essere determinata in modo diverso che non le deviazioni da essa compensantisi a vicenda;
questo prezzo che sta al di sopra dei prezzi casuali di mercato e che li regola:
il« prezzo necessario » (fisiocratici)
o «prezzo naturale » del lavoro (Adam Smith),
può essere solo, come per le altri merci, il suo valore espresso in denaro.
In questo modo l’economia politica credeva di arrivare, attraverso i prezzi casuali del lavoro, al valore di questo; poi questo valore veniva determinato dai costi di produzione.



193



Cosa sono i costi di produzione del lavoratore, ossia i costi per produrre o riprodurre il lavoratore stesso?
Questa domanda si interpolò nell’economia politica al posto di quella originaria,
senza che l’economia ne avesse coscienza
poichè essa si muoveva in un circolo vizioso,
quindi
quel che essa chiama valore del lavoro
è in realtà il valore della forza-lavoro
-che esiste nella personalità del lavoratore
-ed è differente dalla sua funzione, il lavoro,
quanto è differente dalle proprie operazioni una macchina.

Presi dalla distinzione
fra
-prezzi di mercato del lavoro
-e il suo cosiddetto valore,
dal rapporto
fra
questo valore
e il saggio del profitto
e i valori di merci prodotti mediante il lavoro
non scoprirono mai che l’andamento dell’analisi
-aveva condotto dai prezzi di mercato del lavoro al presunto valore di quest’ultimo,
-e aveva condotto a risolvere questo valore del lavoro nel valore della forza-lavoro.
L’inconsapevolezza di questo risultato della propria analisi,
l’accettazione senza critica delle categorie «valore del lavoro», «prezzo naturale del lavoro»
come adeguate al rapporto di valore che si trattava, ha avvolto l’economia politica classica,  in confusioni e contraddizioni insolubili.



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Vediamo ora
in che modo il valore e i prezzi della forza-lavoro si presentino nella loro forma trasmutata di salario.

È noto che
il valore giornaliero della forza-lavoro è calcolato su una certa durata della vita del lavoratore
alla quale corrisponde una certa lunghezza della giornata lavorativa:

supponiamo che
-la giornata lavorativa sia di 12 ore
-il valore giornaliero della forza-lavoro sia di 36 € espressione monetaria di valore in cui sono rappresentate 6 ore lavorative:
se il lavoratore riceve 36 €, riceve il valore del funzionamento della sua forza-lavoro per 12 ore,
se questo valore giornaliero della forza-lavoro viene espresso come valore del lavoro giornaliero
risulterà la formula: il lavoro di 12 ore ha un valore di 36 €;

il valore della forza-lavoro determina in questa maniera il valore del lavoro
ossia, espresso in denaro, determina il suo prezzo necessario,
invece
se il prezzo della forza-lavoro differisce dal suo valore
anche il prezzo del lavoro differirà dal valore di quest’ultimo;
siccome
il valore del lavoro è un’espressione irrazionale per valore della forza-lavoro,
risulta che
il valore del lavoro deve essere sempre minore della sua produzione di valore,
giacchè
il capitalista fa funzionare la forza-lavoro
per un tempo maggiore di quello necessario alla riproduzione del valore della forza-lavoro.

Nell’esempio dato sopra,
il valore del funzionamento della forza-lavoro per 12 ore è di 36 €:
valore per la cui riproduzione la forza-lavoro necessita di 6 ore;
il suo prodotto di valore è invece di 72 €
-perchè in realtà essa funziona durante 12 ore,
-perchè la sua produzione di valore non dipende dal valore della forza-lavoro
 ma dalla durata della sua funzione
quindi
si ha il risultato, a prima vista assurdo, che un lavoro che crea un valore di 72 € ha un valore di 36 €;
inoltre
è evidente che il valore di 36 € cioè la parte retribuita della giornata lavorativa ossia il lavoro di 6 ore,
appare come valore o prezzo della giornata lavorativa complessiva di 12 ore che contiene 6 ore non retribuite:
quindi
la forma del salario oblitera ogni traccia della divisione della giornata lavorativa
in lavoro necessario e in pluslavoro
in lavoro retribuito e lavoro non retribuito:
tutto il lavoro appare come lavoro retribuito.
Nelle prestazioni di lavoro feudali il lavoro del servo feudale per sè stesso è distinto nello spazio e nel tempo in maniera tangibile
dal lavoro coatto per il signore del fondo.
Nel lavoro degli schiavi la parte della giornata lavorativa
in cui lo schiavo reintegra il valore dei propri mezzi di sussistenza in cui lavora in realtà per sè
appare come lavoro per il suo padrone: il suo lavoro appare come lavoro non retribuito.



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METAMORFOSI del valore e del prezzo della forza-lavoro

Nel lavoro salariato all’incontro persino
il pluslavoro ossia il lavoro non retribuito appare come lavoro retribuito;
il rapporto di proprietà cela il lavoro che lo schiavo compie per se stesso,
qui il rapporto monetario cela il lavoro che l’operaio salariato compie senza alcuna retribuzione:
si comprende, quindi, l’importanza decisiva che ha
la metamorfosi del valore e del prezzo della forza-lavoro
nella forma di salario, ossia in valore e prezzo del lavoro stesso.

Su questa forma fenomenica che rende invisibile il rapporto reale e mostra precisamente il suo opposto,
si fondano
le idee giuridiche dell’operaio e del capitalista,
le mistificazioni del modo di produzione capitalistico,
le sue illusioni sulla libertà,
le chiacchiere apologetiche dell’economia volgare.
In un primo momento
lo scambio fra capitale e lavoro
si presenta alla percezione allo stesso modo della compera e della vendita delle altre merci:
il compratore dà una somma di denaro, il venditore un articolo diverso dal denaro:
in questo caso
la coscienza giuridica riconosce una differenza di materia espressa nelle formule giuridicamente equivalenti:
do ut des, do ut facias
inoltre
essendo valore di scambio e valore d’uso - in sè e per sè grandezze incommensurabili –
le espressioni «valore del lavoro», «prezzo del lavoro»
non appaiono più irrazionali della espressione «valore del cotone», «prezzo del cotone»;
si aggiunge il fatto che
l’operaio viene pagato dopo che ha fornito il suo lavoro,
ma, il denaro realizza come mezzo di pagamento, a cose fatte il valore ossia il prezzo dell’articolo fornito
infine
il «valore d’uso» fornito dall’operaio al capitalista,
non è la sua forza-lavoro,
ma la funzione di quest’ultima, un determinato lavoro utile es. sartoria;
che questo stesso lavoro sia elemento generale creatore di valore:
qualità per cui il lavoro si distingue da tutte le altre merci,
esula dal campo della coscienza comune.
Se ci poniamo, ora, dal punto di vista dell’operaio
che riceve, per il suo lavoro di 12 ore,
es. il prodotto di valore di un lavoro di 6 ore, diciamo 36 €,
il suo lavoro di 12 ore è per lui in realtà il mezzo d’acquisto di 36 €
il valore della sua forza-lavoro potrà variare col variare del valore dei suoi abituali mezzi di sussistenza:
oppure, costante rimanendo il valore della sua forza-lavoro,
il prezzo della sua forza-lavoro, potrà salire o scendere
in seguito a un mutamento del rapporto fra domanda e offerta: l’operaio darà sempre 12 ore lavorative:
quindi
ogni mutamento nella grandezza dell’equivalente che egli riceve,
gli appare come mutamento nel valore o prezzo delle sue 12 ore lavorative.
Questa circostanza indusse Adam Smith, che tratta la giornata lavorativa come grandezza costante,
all’errata affermazione che il valore del lavoro è costante,
-benchè vari il valore dei mezzi di sussistenza
-e benchè la stessa giornata lavorativa si rappresenti in più o meno denaro per il lavoratore.



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Se ci volgiamo al capitalista
questi vuole ottenere la maggiore quantità possibile di lavoro per la minore quantità possibile di denaro:

quindi
gli interessa solo la differenza fra il prezzo della forza-lavoro e il valore creato dal suo funzionamento;
ma egli cerca di comperare ogni merce il più possibile a buon mercato
e si spiega il suo profitto col trucco che è la compera al di sotto e la vendita al di sopra del valore;

non riesce perciò a capire che
-se esistesse realmente una cosa come il valore del lavoro,
-se egli realmente pagasse questo valore,
non esisterebbe alcun capitale e il suo denaro non si trasformerebbe in capitale.

Per di più
il movimento reale del salario mostra fenomeni che sembrano dimostrare che
viene pagato
-non il valore della forza-lavoro
-bensì il valore della sua funzione, il valore del lavoro stesso.

questi fenomeni si possono ricondurre a due grandi classi:
primo:
variare del salario con il variare della lunghezza della giornata lavorativa,
si potrebbe concludere che viene pagato
-non il valore della macchina   
-ma quello della sua operazione:
perchè costa di più affittare una macchina per una settimana che per un giorno;
secondo:
anche nel sistema schiavistico, dove si vende la forza-lavoro senza fronzoli,
si trova
questa differenza individuale fra i salari di operai diversi che compiono la medesima funzione:

solo che nel sistema schiavistico tocca al proprietario degli schiavi,
-il vantaggio di una forza-lavoro         al di sopra della media
-o lo svantaggio di una forza-lavoro   al di sotto della media

e nel sistema del lavoro salariato tocca all’operaio stesso:
perchè
in un caso la sua forza-lavoro viene venduta da lui stesso
nell’altro da una terza persona.
Del resto
per la forma fenomenica «valore e prezzo del lavoro» o «salario»,
a differenza del rapporto sostanziale che si manifesta in essa, cioè il valore e il prezzo della forza-lavoro,
vale ciò che vale per lo sfondo nascosto di tutte le forme fenomeniche
che si riproducono come forme correnti del pensiero,
il rapporto sostanziale deve essere scoperto dalla scienza.
L’economia politica classica,
-tocca in modo approssimativo il vero stato delle cose
-non può formularlo in modo consapevole finchè è chiusa nella sua pelle borghese





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