martedì 4 settembre 2018

K.MARX A COLORI: IL CAPITALE LIBRO 1^ Capp. 20^ - 21^ - 22^ : a 200 anni dalla pubblicazione








CAPITOLO 20
DIFFERENZA NAZIONALE DEI SALARI

RIASSUNTO
Nel capitolo quindicesimo
ci siamo occupati
delle molteplici combinazioni provocate
da un variare della grandezza di valore assoluta o di quella relativa (ossia paragonata al plusvalore) della forza-lavoro,
mentre
la quantità dei mezzi di sussistenza, nella quale si realizza il prezzo della forza-lavoro,
poteva percorrere movimenti indipendenti o differenti dalle variazioni di questo prezzo;   


come già è stato osservato
quelle leggi si trasformano in leggi del movimento del salario
mediante una traduzione del valore o del prezzo della forza-lavoro nella forma essoterica del salario:
quello che può apparire, entro tale movimento, come combinazione variabile
per paesi diversi può apparire come differenza di salari nazionali;
quindi,
paragonando i salari nazionali,
bisogna considerare gli elementi che determinano la variazione della grandezza di valore della forza- lavoro:
prezzo e volume dei bisogni vitali naturali e storicamente sviluppati,
spese di istruzione dell’operaio,
funzione del lavoro di donne e fanciulli
produttività del lavoro
grandezza estensiva e intensiva di quest’ultimo:
in primo luogo il confronto richiede
la riduzione del salario giornaliero medio nelle stesse industrie in paesi diversi a giornate lavorative di eguale durata,
dopo tale ragguaglio dei salari giornalieri
il salario a tempo deve essere tradotto in salario a cottimo
poichè solo quest’ultimo è misura sia della produttività sia della grandezza intensiva del lavoro.
In ogni paese
vale una intensità media del lavoro al di sotto della quale il lavoro consuma, nella produzione di una merce, più del tempo socialmente necessario
e quindi non conta come lavoro di qualità normale:
in un paese dato
solo un grado di intensità al di sopra della media nazionale,
cambia la misura del valore mediante la semplice durata del tempo di lavoro;
diversamente accade sul mercato mondiale le cui parti integranti sono i singoli paesi:
l’intensità media del lavoro varia di paese in paese: ora è maggiore ora minore.
quindi
queste medie nazionali costituiscono
una scala la cui unità di misura è la unità media del lavoro universale.
dunque
il lavoro nazionale più intenso, a confronto del lavoro meno intenso,
produce, nello stesso tempo, più valore, che si esprime in più denaro.
Ma la legge del valore viene modificata nella sua applicazione internazionale anche più dal fatto che
sul mercato mondiale
il lavoro nazionale più produttivo vale anche come lavoro più intenso
quando la nazione più produttiva non sia costretta, dalla concorrenza,
ad abbassare il prezzo di vendita della sua merce al suo valore.




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In un paese,

l’intensità e produttività nazionali del lavoro
si innalzano al di sopra del livello internazionale nella stessa misura in cui vi si è sviluppata la produzione capitalistica.
Le differenti quantità di merce dello stesso genere prodotte in differenti paesi nell’identico periodo di lavoro, hanno dunque valori internazionali ineguali
che si esprimono in prezzi differenti ossia in somme di denaro differenti a seconda dei valori internazionali.

Il valore relativo del denaro

dunque
sarà minore nella nazione che ha un modo di produzione capitalistico più sviluppato
che non in quella che lo ha poco sviluppato,

quindi ne consegue che

il salario nominale, l’equivalente della forza-lavoro espresso in denaro
sarà più alto nella prima nazione che non nella seconda;
ciò non significa che questo valga anche per il salario reale
ossia per i mezzi di sussistenza messi a disposizione dell’operaio.

Anche astraendo da questa differenza relativa del valore del denaro nei differenti paesi,

si troverà che il salario giornaliero, settimanale, ecc.,
è più alto nella prima nazione che non nella seconda,

mentre
il prezzo relativo del lavoro, ossia il prezzo del lavoro
in rapporto sia con il plusvalore sia con il valore del prodotto,
è più alto nella seconda nazione che non nella prima.




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SEZIONE VII
IL PROCESSO DI ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE

La conversione di una somma di denaro in mezzi di produzione e in forza-lavoro
è il primo movimento compiuto dalla quantità di valore che deve funzionare come capitale,
e avviene sul mercato, nella sfera della circolazione:

la seconda fase del movimento cioè il processo di produzione, è conclusa
appena i mezzi di produzione sono convertiti in merce il cui valore superi il valore delle sue parti costitutive,
e che dunque contenga il capitale originariamente anticipato e inoltre un plusvalore.

Queste merci debbono, ora, venir gettate di nuovo nella sfera della circolazione:
bisogna venderle,
realizzarne in denaro il valore,
convertire di nuovo in capitale questo denaro
e così via:
questo movimento circolare che percorre sempre le identiche fasi successive
costituisce la circolazione del capitale.
La prima condizione dell’accumulazione
è che il capitalista sia riuscito a vendere le sue merci e a riconvertire in capitale il denaro così ricevuto.
Nella trattazione che segue
si presuppone che il capitale percorra il suo processo di circolazione in maniera normale:
il capitalista che produce il plusvalore, cioè estrae dagli operai lavoro non retribuito e lo fissa in merci,
-è il primo                  ad appropriarsi questo plusvalore,
ma non è l’ultimo    suo proprietario,
-in un secondo tempo
deve spartirlo con capitalisti, con i proprietari fondiari ecc. 
che compiono altre funzioni nel complesso della produzione sociale,
quindi
il plusvalore si scinde in parti differenti:
-che toccano a differenti categorie di persone
-che hanno forme differenti, autonome fra loro, come:
profitto, interesse, guadagno commerciale, rendita fondiaria ecc.
da una parte
supponiamo che il capitalista che produce la merce la venda al suo valore
dall’altra parte
considereremo il produttore capitalistico come proprietario di tutto il plusvalore
ossia come rappresentante di tutti coloro che partecipano con lui al bottino
In un primo momento consideriamo l’accumulazione astrattamente, cioè puro e semplice momento del processo di produzione,
inoltre,
il frazionarsi del plusvalore in parti differenti non ne cambia la natura,
né cambia le condizioni necessarie affinchè esso diventi elemento dell’accumulazione.
Il produttore capitalistico è sempre il primo ad appropriarsi del plusvalore, qualunque parte ne trattenga per se stesso o cede ad altri
dunque
Il presupposto della nostra esposizione dell’accumulazione è anche il presupposto del suo reale processo
lo scindersi del plusvalore e il movimento mediatore della circolazione oscurano
la forma fondamentale semplice del processo d’accumulazione:
quindi, se vogliamo analizzarlo allo stato puro
dobbiamo far astrazione da tutti i fenomeni che nascondono il giuoco interno del suo meccanismo.




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CAPITOLO 21
RIPRODUZIONE SEMPLICE


(NOTA nel cap 22 Marx scrive
“nel capitolo precedente  quindi cap.21 abbiamo considerato
il plusvalore e il plusprodotto, solo come fondo di consumo individuale del capitalista”)

Qualunque sia la forma sociale del processo di produzione, questo
o dev’essere continuativo
o deve tornare a percorrere gli stessi stadi:
come una società non può smettere di consumare, così non può smettere di produrre;
quindi
ogni processo sociale di produzione, considerato in un nesso continuo e nel fluire del suo rinnovarsi,
è insieme processo di riproduzione:
le condizioni della produzione sono insieme condizioni della riproduzione.
Nessuna società può produrre in continuazione, cioè riprodurre,
senza riconvertire in continuazione una parte dei suoi prodotti in mezzi di produzione ossia in elementi di una produzione nuova.
Rimanendo uguali le circostanze,
la società può riprodurre o conservare la propria ricchezza
solo reintegrando in natura
-mezzi di produzione cioè mezzi di lavoro,
-materie prime,
-materie ausiliarie consumati
con una quantità eguale di nuovi articoli dello stesso genere che vengono
-distaccati dalla massa annua dei prodotti
-e incorporati di nuovo nel processo di produzione:

dunque
una data quantità del prodotto annuo spetta alla produzione:
-destinata al consumo produttivo
-essa esiste in forme naturali che escludono il consumo individuale.

Se la produzione ha forma capitalistica, l’avrà anche la riproduzione:
il processo lavorativo si presenta solo come mezzo del processo di valorizzazione, nel modo di produzione capitalistico
la riproduzione si presenta come semplice mezzo per riprodurre come capitale
cioè come valore che si valorizza, il valore anticipato.
La maschera economica caratteristica di capitalista rimane aderente all’uomo
solo perché il suo denaro funziona in continuazione come capitale
es.
se quest’anno la somma di denaro anticipata si è convertita in capitale e ha prodotto un plusvalore
 essa deve ripetere la stessa operazione l’anno prossimo e così via.



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Il plusvalore, come incremento ossia frutto periodico periodico del valore del capitale
assume la forma di un reddito che nasce dal capitale:
se questo reddito serve al capitalista solo come fondo di consumo ossia se viene consumato periodicamente
ha luogo, eguali rimanendo le altre circostanze, la riproduzione semplice:
benchè la riproduzione semplice sia ripetizione del processo di produzione
questa ripetizione
-imprime al processo caratteri nuovi
-e dissolve i caratteri apparenti che esso aveva come processo isolato.

Il processo di produzione
ha inizio con l’acquisto della forza- lavoro per un tempo determinato,
l’inizio si rinnova costantemente,
appena
-scade il termine di vendita del lavoro,
-ed è trascorso un determinato periodo della produzione, settimana, mese, ecc.

Ma
l’operaio viene pagato solo dopo che la sua forza-lavoro ha realizzato in merci  il proprio valore ed il plusvalore:

quindi l’operaio ha prodotto

tanto il plusvalore, che per ora consideriamo solo come fondo di consumo del capitalista,
quanto il fondo del proprio pagamento, cioè il capitale variabile
prima che questo gli riaffluisca in forma di salario
come ricordato nel Cap 16 al numero II
di qui viene la formula degli economisti che presenta il salario come partecipazione al prodotto stesso

è una parte del prodotto riprodotto dall’operaio che gli ritorna in forma di salario,
il capitalista gli paga il valore in merci in denaro
questo denaro è solo la forma trasmutata di una parte del prodotto del lavoro
mentre l’operaio converte in prodotto una parte dei mezzi di produzione,
una parte della sua precedente produzione si riconverte in denaro:
è col suo lavoro, della settimana precedente che gli viene pagato il suo lavoro di oggi o del semestre successivo.

L’illusione generata dalla forma di denaro scompare
appena invece del singolo capitalista e del singolo operaio
vengono considerate la classe capitalista e la classe operaia:

la classe capitalista dà alla classe operaia in forma di denaro
assegni su una parte dei prodotti che questa ha prodotto e che la classe capitalista si è appropriata,
e l’operaio restituisce quegli assegni alla classe capitalista sottraendole così la parte del proprio prodotto che spetta a lui:
la forma di merce del prodotto e la forma di denaro della merce travestono la transazione.



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Dunque
il capitale variabile è solo una forma fenomenica storica particolare nella quale si presenta
il fondo dei mezzi di sussistenza ossia il fondo di lavoro
di cui l’operaio ha bisogno per il proprio mantenimento e la propria riproduzione
che egli deve riprodurre da sè in tutti i sistemi della produzione sociale:
il fondo di lavoro gli affluisce in forma di mezzi di pagamento del suo lavoro
perchè il proprio prodotto si allontana da lui in forma di capitale:
questa forma fenomenica del fondo di lavoro non cambia nulla al fatto che
 il capitalista anticipa all’operaio il lavoro oggettivato dell’operaio stesso.

Prendiamo un contadino soggetto a servitù feudali:
lavora coi propri mezzi di produzione
sul proprio campo es. 3 giorni alla settimana
negli altri 3 giorni lavora nelle terre del signore
riproduce il proprio fondo di lavoro,
non riceve a compenso del suo lavoro la forma di mezzi di pagamento anticipati da una terza persona
il suo lavoro coatto non retribuito non riceve la forma di lavoro volontario e retribuito,

se il signore si appropria i mezzi di produzione del contadino
costui deve vendere al signore la propria forza-lavoro:
come prima,
-lavorerà 6 giorni alla settimana, 3 per sè 3 per il padrone feudale che è trasformato in padrone che gli paga un salario,
-consumerà i mezzi di produzione come mezzi di produzione,
-a trasferire nel prodotto il loro valore,
-una parte del prodotto passerà nella riproduzione:
come il lavoro servile assume la forma del lavoro salariato,
così il fondo di lavoro, che il contadino continua a produrre e riprodurre,
assume la forma di un capitale anticipatogli da quello che era il suo signore feudale.
L’economista borghese non è in grado di separare la forma fenomenica da ciò che in essa si presenta,
chiude gli occhi dinanzi al fatto che il fondo di lavoro si presenta solo eccezionalmente nella forma di capitale.

Certo, il capitale variabile perde il significato d’un valore anticipato dal fondo proprio del capitalista
solo quando consideriamo il processo di produzione capitalistico nel fluire costante del suo rinnovarsi
ma questo processo deve pur cominciare a un certo momento e in qualche punto.
Quindi dal punto di vista tenuto finora
è verosimile che il capitalista, qualche volta, sia diventato possessore di denaro
mediante una qualche accumulazione originaria non dipendente da lavoro altrui non retribuito,
e che quindi
sia entrato nel mercato come acquirente di forza-lavoro:
però la semplice continuità del processo di produzione capitalistico ossia la riproduzione semplice
opera anche variazioni che non agiscono solo sulla parte variabile del capitale, ma anche sul capitale complessivo



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In generale:
il valore capitale anticipato, diviso per il plusvalore annualmente consumato,
il numero dei periodi di riproduzione trascorsi i quali il capitale anticipato
è stato consumato dal capitalista:

che il capitalista immagini di
-consumare il prodotto del lavoro altrui non retribuito, il plusvalore,
-e di conservare il valore capitale originario
non cambia il fatto che. dopo un certo numero d’anni,
il valore capitale del quale è proprietario
è eguale al totale del plusvalore che si è appropriato durante lo stesso numero d’anni,
e la somma di valore da lui consumata è eguale al valore capitale originario:
egli conserva un capitale la cui grandezza non si è cambiata
ma si tratta del valore del capitale e non delle sue parti costitutive materiali.
es.
se il capitalista ha consumato l’equivalente del suo capitale anticipato,
il valore di questo capitale rappresenta solo la somma totale del plusvalore che si è appropriato:
non esiste più un atomo del valore del suo vecchio capitale;

dunque, prescindendo da ogni accumulazione,
la semplice continuità del processo di produzione, ossia la riproduzione semplice
converte ogni capitale, dopo un certo periodo, in capitale accumulato cioè in plusvalore capitalizzato:
anche se questo capitale era proprietà personale al suo ingresso nel processo di produzione,
esso diventa valore appropriato senza equivalente ossia materializzazione di lavoro altrui non retribuito.
RIASSUNTO
Nel quarto capitolo abbiamo visto che
per trasformare denaro in capitale non bastava che ci fossero la produzione e la circolazione delle merci, bisognava prima che si trovassero l’uno di fronte all’altro come acquirente e venditore
qua il possessore di valore ossia denaro, il possessore della sostanza che crea il valore;
qua il possessore di mezzi di produzione e di mezzi di sussistenza, il possessore di nient’altro che forza-lavoro: dunque il punto di partenza del processo di produzione capitalistico
è stato il distacco fra il prodotto del lavoro e il lavoro stesso,
fra le condizioni oggettive del lavoro e la forza lavorativa soggettiva.
attraverso la continuità del processo cioè attraverso la riproduzione semplice,
ciò all’inizio era solo punto di partenza torna ad esser prodotto di nuovo
e viene perpetuato come risultato proprio della produzione capitalistica.
Da una parte il processo di produzione
converte in capitale, cioè in mezzi di valorizzazione per il capitalista, la ricchezza dei materiali
dall’altra parte l’operaio
esce dal processo come vi era entrato:
fonte di ricchezza, ma spoglio dei mezzi per realizzare per sè questa ricchezza;
poiché, prima della sua entrata nel processo
il suo lavoro
-è stato alienato a lui
-appropriato al capitalista e incorporato al capitale,
durante il processo il suo lavoro si oggettiva in prodotti altrui.



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Poichè
il processo di produzione è insieme processo di consumo della forza-lavoro da parte del capitalista,
il prodotto del lavoratore si converte
-in merce
-e in capitale:
valore che succhia la forza creatrice di valore,
mezzi di sussistenza che acquistano persone,
mezzi di produzione che adoperano il produttore;
quindi
-l’operaio produce
la ricchezza oggettiva in forma di capitale, potenza a lui estranea che lo domina e sfrutta,
-il capitalista produce la forza- lavoro
in forma di fonte soggettiva di ricchezza,
separata dai suoi mezzi di oggettivazione e di realizzazione, astratta, che esiste nella corporeità dell’operaio,
in breve:
il capitalista produce l’operaio come operaio salariato:
questa costante riproduzione ossia perpetuazione dell’operaio è il sine qua non della produzione capitalistica.

Il consumo dell’operaio è di duplice specie:
nella produzione,
l’operaio consuma, col suo lavoro, mezzi di produzione
e li trasforma in prodotti di valore superiore a quello del capitale anticipato:
questo è il consumo produttivo dell’operaio, che è insieme consumo della sua forza-lavoro da parte del capitalista che l’ha comprata.
dall’altra parte
l’operaio trasforma in mezzi di sussistenza il denaro pagatogli per l’acquisto della sua forza-lavoro:
questo è il suo consumo individuale;
dunque il consumo produttivo e il consumo individuale dell’operaio sono totalmente differenti:
nel primo egli agisce come forza motrice del capitale e appartiene al capitalista,
nel secondo appartiene a sè stesso e compie funzioni vitali estranee al processo di produzione.
il risultato del primo è la vita del capitalista, il risultato del secondo è la vita dell’operaio.




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Quando abbiamo esaminato la giornata lavorativa si è visto che
l’operaio è costretto a far del proprio consumo individuale un incidente del processo di produzione:
in questo caso
egli si dà mezzi di sussistenza per tenere in moto la propria forza-lavoro
e allora
i mezzi di consumo dell’operaio sono
-mezzi di consumo di un mezzo di produzione
-di consumo individuale dell’operaio e consumo direttamente produttivo:
eppure questo fatto
appare non essenziale per il processo di produzione capitalistico;

la cosa assume un altro aspetto
appena
-non consideriamo più il singolo capitalista e il singolo operaio
ma la classe capitalista e la classe operaia,
-non più il processo isolato di produzione della merce
ma il processo di produzione capitalistico;  

quando il capitalista converte una parte del suo capitale in forza-lavoro,
valorizza, con questa conversione, il suo capitale complessivo
prende due piccioni con una fava:
trae profitto
-da ciò che riceve dall’operaio
-e da quello che gli dà
il capitale alienato in cambio di forza- lavoro
viene convertito in mezzi di sussistenza il cui consumo serve a riprodurre gli operai esistenti e a generarne di nuovi;
dunque, entro i limiti di quanto è necessario,
il consumo individuale della classe operaia
-è riconversione dei mezzi di sussistenza alienati dal capitale in cambio di forza-lavoro di nuovo sfruttabile dal capitale
-è produzione e riproduzione del mezzo di produzione più indispensabile per il capitalista: dell’operaio;

il consumo individuale dell’operaio è un momento della produzione e della riproduzione del capitale,
tanto che avvenga dentro o fuori dell’officina o fabbrica, del processo lavorativo.
la conservazione e riproduzione della classe operaia è condizione della riproduzione del capitale;



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Se l’accumulazione del capitale
determinasse un aumento del salario
e quindi
un accrescimento dei mezzi di consumo dell’operaio,
senza consumo di più forza-lavoro da parte del capitale,
il capitale addizionale sarebbe consumato improduttivamente.
E di fatto
il consumo individuale dell’operaio
è improduttivo per l’operaio       perchè riproduce solo l’individuo pieno di bisogni;
è produttivo per il capitalista      perchè è produzione di quella forza che produce la ricchezza degli altri.
Dunque dal punto di vista sociale
la classe operaia, anche al di fuori del processo lavorativo, è un accessorio del capitale.
il suo consumo individuale è, entro certi limiti, un momento del processo di riproduzione del capitale,
il processo provvede a spostare il loro prodotto dal loro polo
al polo opposto: quello del capitale:
il consumo individuale
da una parte
provvede alla loro conservazione e riproduzione,
dall’altra,
distruggendo mezzi di sussistenza, provvede al loro costante riapparire sul mercato del lavoro.
Lo schiavo romano     era legato da catene al suo proprietario,
il salariato                   è legato al suo da fila invisibili:
l’apparenza della sua autonomia viene mantenuta
dal costante variare del padrone individuale
e dalla fictio juris del contratto.
Dunque
il processo di produzione capitalistico riproduce la separazione fra forza-lavoro e condizioni di lavoro:
così
riproduce e perpetua le condizioni per lo sfruttamento dell’operaio:
costringe l’operaio a vendere la sua forza-lavoro per vivere
mette il capitalista in grado di acquistarla, per arricchirsi:
non è più il caso che pone capitalista e operaio sul mercato delle merci come compratore e venditore,
è il doppio mulinello del processo
che torna a gettare l’operaio sul mercato delle merci come venditore della propria forza-lavoro
a trasformare il suo prodotto in mezzo d’acquisto del capitalista.
In realtà,
l’operaio appartiene al capitale anche prima di essersi venduto al capitalista:
la sua servitù economica è mediata e dissimulata
dal rinnovamento periodico della sua vendita di sè stesso,
dal variare del suo padrone
dall’oscillazione nel prezzo di mercato del lavoro.
Il processo di produzione capitalistico considerato nel suo nesso complessivo cioè come processo di riproduzione,
dunque non produce solo merce e plusvalore
produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso:
da una parte il capitalista, dall’altra l’operaio salariato.



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CAPITOLO 22
TRASFORMAZIONE DEL PLUSVALORE IN CAPITALE
PROCESSO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO SU SCALA ALLARGATA. CONVERSIONE DELLE LEGGI DELLA PROPRIETÀ DELLA PRODUZIONE DELLE MERCI IN LEGGI DELL’APPROPRIAZIONE CAPITALISTICA.

In precedenza avevamo da considerare come il plusvalore nasca dal capitale
ora dobbiamo vedere come il capitale nasce dal plusvalore:
adoperare plusvalore come capitale
ossia ritrasformare plusvalore in capitale significa accumulazione del capitale;
esaminiamo questo procedimento dalla visuale del singolo capitalista:
per es. supponiamo che un padrone di filanda abbia anticipato un capitale di 120.000 €,
quattro quinti in cotone, macchine l’ultimo quinto  produce 240.000 qli di refe all’anno, per un valore di 144.000  
se il saggio del plusvalore è del 100%,
il plusvalore sta
nel plusprodotto ossia prodotto netto di 40.000qli di refe, cioè sta in un sesto del prodotto lordo,
del valore di 24.000 € che verranno realizzate dalla vendita.
Una somma di valore di 24.000 € è una somma di valore di 24.000 € non si vede dal suo aspetto che esso è plusvalore:
il carattere di plusvalore di un valore mostra come esso sia arrivato al suo proprietario
ma non cambia nulla alla natura del valore o del denaro.
Dunque il filandiere, per trasformare in capitale la nuova somma aggiuntasi di 24.000 €
ne anticiperà quattro quinti in acquisto di cotone ecc. e un quinto in acquisto di nuovi operai filatori i quali troveranno sul mercato i mezzi di sussistenza il cui valore è stato loro anticipato dal padrone della filanda,
 a questo punto il nuovo capitale di 2000 sterline entra in funzione nella filanda
e rende a sua volta un plusvalore di 400 sterline.
Il valore capitale era anticipato originariamente in forma di denaro
invece il plusvalore esiste fin da principio come valore di una parte determinata del prodotto lordo
se quest’ultimo viene venduto, trasformato in denaro,
il valore capitale riacquista la sua forma originaria
ma il plusvalore cambia la sua forma originaria d’esistenza:
da questo momento in poi
valore capitale e plusvalore
-sono somme di denaro
-la loro ritrasformazione in capitale avviene alla stessa maniera:
il capitalista investe le due somme di denaro nell’acquisto di merci per ricominciare la fabbricazione del suo articolo, e su scala allargata,
ora le sue merci, i filati,
-circolano sul mercato solo perchè porta sul mercato il suo prodotto annuo:
le merci, prima che sul mercato, erano nel fondo annuo di produzione
cioè
nella massa complessiva degli oggetti nei quali si trasforma il capitale sociale complessivo (ossia il totale dei capitali singoli) e della quale ogni singolo capitalista detiene solo una parte aliquota.
sul mercato si ha
la vendita dei singoli elementi costitutivi della produzione annua
li fa passare di mano in mano,
ma non aumenta la produzione annua complessiva, non cambia la natura degli oggetti prodotti,
dunque
l’uso che si fa del prodotto complessivo annuo,
dipende dalla composizione di questo
non dipende dalla circolazione;



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in primo luogo
la produzione annua deve fornire gli oggetti (valori d’uso) coi quali si debbono reintegrare le parti materiali del capitale consumate:
detratti questi,
rimane il prodotto netto o plusprodotto nel quale ha sede il plusvalore.

In che cosa consiste questo plusprodotto
per accumulare si deve trasformare in capitale una parte del plusprodotto:
ma si possono trasformare in capitale
-solo le cose adoperabili nel processo lavorativo: cioè mezzi di produzione
-e le cose i mezzi di sussistenza per l’operaio,
di conseguenza,
una parte del pluslavoro annuo deve essere stata adoperata nella produzione di
-mezzi addizionali di produzione
-e di sussistenza
-ed in più della quantità richiesta per la reintegrazione del capitale anticipato
in una parola:
il plusvalore è trasformabile in capitale
per la ragione che il plusprodottodel quale
il plusvalore costituisce il valore
contiene già le parti costitutive materiali di un nuovo capitale.

Ora,
per far funzionare come capitale quelle parti costitutive
la classe capitalista ha bisogno di un supplemento di lavoro:
se lo sfruttamento degli operai occupati non deve crescere in estensione o in intensità,
vanno assunti operai supplementari,
il meccanismo della produzione capitalistica ha già provveduto a questo:
nel riprodurre la classe degli operai dipendente dal salario lavorativo,
il cui salario è sufficiente
-ad assicurarne il sostentamento
-e la moltiplicazione:
queste forze-lavoro addizionali fornite dalla classe operaia
debbono solo essere incorporate dal capitale ai mezzi di produzione addizionali già contenuti nella produzione,
e la metamorfosi del plusvalore in capitale è fatta,
l’accumulazione si risolve in riproduzione del capitale su scala progressiva,
il ciclo della riproduzione semplice si scambia
e si trasforma, per dirla con Sismondi, in una spirale.
il capitale originario, accanto ai capitali di nuova formazione
-continua a riprodursi e a produrre plusvalore
-e questo vale per ogni capitale accumulato in rapporto al capitale addizionale prodotto.
il capitale originario si è formato per mezzo dell’anticipo di una somma:
i corifei dell’economia politica dicono che il possessore ha ottenuto questa somma
col lavoro suo e con quello dei suoi avi e la loro ipotesi sembra l’unica che s’accordi con le leggi della produzione delle merci.



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Conosciamo con precisione che
il processo di formazione del capitale addizionale è plusvalore capitalizzato:
dall’origine non contiene un atomo di valore che non derivi da lavoro altrui non retribuito,

-tanto i mezzi di produzione ai quali viene incorporata la forza-lavoro addizionale,
-quanto i mezzi di sussistenza coi quali questa si mantiene,
sono parti costitutive integranti del plusprodotto
cioè del tributo strappato alla classe operaia da parte della classe dei capitalisti:
la classe dei capitalisti, con una parte del tributo strappato alla classe operaia,
compera da essa forza-lavoro addizionale (anche prezzo pieno e così si ha scambio di equivalente con equivalente)
si ha l’antico procedimento del conquistatore che acquista merci dai vinti pagandole con il denaro rubato ad essi,
se il capitale addizionale impiega il suo stesso produttore, questi
-deve continuare a valorizzare il capitale originario
-deve ricomprare il frutto del suo lavoro passato, con più lavoro di quel che è costato.
non cambia niente il fatto che col lavoro non retribuito degli operai occupati si occupino operai supplementari,
in tutti i casi
la classe operaia ha creato, col proprio pluslavoro di quell’anno
il capitale che nell’anno successivo occuperà lavoro supplementare:
questo è quel che si chiama: generare capitale mediante capitale.

-presupposto dell’accumulazione del primo capitale addizionale
 era una somma di valore anticipata dal capitalista a lui appartenente in virtù del suo «lavoro originario».
 invece
-presupposto del secondo capitale addizionale
è la precedente accumulazione del primo dei quali esso costituisce il plusvalore capitalizzato.
nel presente
unica condizione per appropriarsi lavoro non retribuito  
sembra essere la proprietà di lavoro non retribuito passato:
quanto più il capitalista ha accumulato
tanto più egli può accumulare.
in quanto
il plusvalore, del quale consiste il capitale addizionale n. 1,
era risultato dell’acquisto della forza-lavoro per mezzo di una parte del capitale originario,
acquisto che corrispondeva alle leggi dello scambio di merci,
e non presuppone
-da parte dell’operaio altro che la libera disponibilità delle proprie capacità,
-da parte del possessore di denaro o di merci altro che la libera disponibilità dei valori che gli appartengono;
-in quanto
il capitale addizionale n. 2 è risultato del capitale addizionale n. 1
quindi, conseguenza di quel primo rapporto,
-in quanto ogni singola transazione corrisponde alla legge dello scambio di merci:
il capitalista compra sempre la forza-lavoro
l’operaio sempre la vende:
la legge dell’appropriazione poggiante su produzione e su circolazione delle merci
ossia legge della proprietà privata
si converte nel proprio diretto opposto per la sua intima inevitabile dialettica.



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Lo scambio di equivalenti, che pareva essere l’operazione originaria, si è rigirato
in modo che ora si fanno scambi solo per l’apparenza
in quanto
in primo luogo,
la parte di capitale scambiata con forza-lavoro è solo una parte del prodotto lavorativo altrui appropriato senza equivalente,
in secondo luogo, essa
deve essere reintegrata dal suo produttore, l’operaio,
deve essere reintegrata con un nuovo sovrappiù,
dunque,
il rapporto dello scambio fra capitalista ed operaio diventa solo
parvenza, pura forma, mistificazione del processo di circolazione
la forma è                    la compravendita costante della forza-lavoro
il contenuto è              che il capitalista torna a permutare, contro maggiore quantità di lavoro altrui,
                                     una parte del lavoro altrui già oggettivato che egli si appropria senza equivalente.
Originariamente
il diritto di proprietà ci si è presentato come fondato sul proprio lavoro.
abbiamo tenuto valida questa ipotesi:
perchè
-si trovano l’uno di fronte all’altro solo possessori di merci a pari diritti
-il mezzo per appropriarsi merce altrui è solo l’alienazione della propria merce
-questa si può produrre solo mediante lavoro;
adesso
la proprietà si presenta
-dalla parte del capitalista     come diritto di appropriarsi il prodotto di lavoro altrui non retribuito
-dalla parte dell’operaio        come impossibilità di appropriarsi il proprio prodotto.

La separazione fra proprietà e lavoro diventa conseguenza necessaria di una legge che in apparenza partiva dalla loro identità
per quanto
il modo di appropriazione capitalistico sembri fare a pugni con le leggi primordiali della produzione delle merci, esso non deriva
dall’ infrazione di queste leggi
ma dall’applicazione di esse.
RIASSUNTO
Uno sguardo retrospettivo alla serie delle fasi del movimento che si conclude con l’accumulazione capitalistica,
chiarirà ciò:
abbiamo visto che
la trasformazione originaria di una somma di valore in capitale si compie conformemente alle leggi dello scambio:
uno dei contraenti vende la sua forza-lavoro
l’altro                      la compera
il primo riceve il valore della sua merce,
con il che il suo valore d’uso - il lavoro - è alienato al secondo:
questi converte mezzi di produzione,       che già gli appartengono,
con l’aiuto del lavoro                                 che pure gli appartiene,
in un nuovo prodotto                                 che gli appartiene per diritto



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il valore di questo prodotto include:
-il valore dei mezzi di produzione consumati: il lavoro utile non può consumare questi mezzi di produzione senza trasferirne il valore nel nuovo prodotto;
-per poter essere venduta, la forza-lavoro dev’essere in grado di fornire lavoro utile
-l’equivalente del valore della forza-lavoro ed un plusvalore
ciò perchè la forza-lavoro venduta per un periodo di tempo determinato, giorno, settimana
possiede meno valore di quanto ne crei il suo uso durante questo periodo,
ma all’operaio
-è stato pagato il valore di scambio della sua forza-lavoro
-e con ciò egli ne ha alienato il valore d’uso: il che accade per ogni compravendita.

La legge generale della produzione delle merci viene intaccata dal fatto che
la merce particolare che è la forza-lavoro
ha il valore d’uso peculiare di fornire lavoro, cioè di crear valore.
Se la somma di valore anticipata nel salario
-non si ritrova nel prodotto
-ma la si trova aumentata di un plusvalore,
ciò non deriva da una soperchieria fatta al venditore, che ha infatti ricevuto il valore della sua merce,
ma ciò deriva solo dal consumo di questa merce da parte del compratore.

La legge dello scambio porta con sè
-l’eguaglianza solo dei valori di scambio delle merci
-e la differenza dei loro valori d’uso;
non ha nulla a che fare con il consumo di quelle merci,
che inizia solo quando la transazione è stata conclusa.
Dunque
la trasformazione originaria del denaro in capitale si compie
in accordo con le leggi economiche della produzione delle merci e col diritto di proprietà
ciò malgrado essa ha per risultato:
1. che il prodotto appartiene al capitalista e non all’operaio;
2. che il valore di questo prodotto include, oltre il valore del capitale anticipato,
un plusvalore che
- che all’operaio è costato lavoro
- che al capitalista non è costato nulla
-che diventa proprietà legittima del capitalista;
3. che l’operaio ha conservato la sua forza-lavoro e la può vendere di nuovo.
La riproduzione semplice è solo la ripetizione periodica di questa prima operazione;
ogni volta si trasforma denaro in capitale, sempre di nuovo:
dunque  la legge non viene infranta
al contrario, ha l’occasione di attuarsi durevolmente.



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E tuttavia abbiamo visto che
la riproduzione semplice è sufficiente per imprimere a questa prima operazione- in quanto concepita come processo isolato - un carattere totalmente mutato.
«Fra coloro che si dividono il reddito nazionale, gli uni (gli operai) acquistano ogni anno con nuovo lavoro un nuovo diritto su di esso, gli altri (i capitalisti) hanno già acquisito un diritto permanente su di esso con un lavoro originario» (Sismondi).

Non cambia niente il fatto che la riproduzione semplice
venga sostituita dalla riproduzione su scala allargata, dall’accumulazione:
con la prima il capitalista dà fondo all’intero plusvalore,
con la seconda dà prova della sua virtù civica, consumandone una parte e trasformando il resto in denaro.

Il plusvalore è sua proprietà, se il capitalista lo anticipa per la produzione:
fa anticipi dai suoi propri fondi, come il primo giorno in cui si è presentato sul mercato:
che questa volta
questi fondi derivino dal lavoro non retribuito dei suoi operai, qui non c’entra affatto:
è vero che l’operaio B viene occupato servendosi del plusvalore prodotto dall’operaio A,
ma
A ha fornito questo plusvalore senza che gli sia stato decurtato d’un centesimo il prezzo della sua merce,
e
tutto ciò non riguarda B,
B chiede e ha diritto di chiedere che il capitalista gli paghi il valore della sua forza-lavoro.

«Entrambi guadagnavano ancora: l’operaio, perchè gli venivano anticipati i frutti del suo lavoro (bisognerebbe dire: del lavoro non retribuito di altri operai) prima che fosse compiuto (bisognerebbe dire: prima che il suo avesse dato i suoi frutti); l’imprenditore, perchè il lavoro di questo operaio era di maggior valore del suo salario (cioè: ha generato un valore maggiore di quello del suo salario)» (Sismondi).

La cosa si presenta in maniera del tutto differente
se consideriamo         la produzione capitalistica nel flusso del suo rinnovarsi
se non consideriamo il capitalista l’operaio singolo
se consideriamo        la classe dei capitalisti e la classe degli operai:
con ciò applicheremmo una scala estranea alla produzione delle merci.

Nella produzione delle merci stanno di fronte indipendenti l’uno dall’altro
il venditore e il compratore:
le loro relazioni terminano con la scadenza del contratto concluso fra di loro,
l’affare può ripetersi ma in seguito a un nuovo contratto (che non ha nulla a che fare col precedente)
nel quale compratore e venditore si ritrovano solo per caso.
Se dunque
la produzione delle merci o un processo ad essa pertinente debbono venir giudicati
secondo le loro leggi economiche,
dobbiamo considerare ogni atto di scambio
-per sè stesso
- al di fuori di ogni nesso con l’atto di scambio che lo ha preceduto e gli succede;
compere e vendite vengono concluse solo fra individui singoli,
quindi
è fuori posto cercarvi rapporti fra intere classi sociali.



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Per quanto lunga sia
la serie delle riproduzioni periodiche e delle precedenti accumulazioni attraversate dal capitale:
questo conserva la sua verginità originaria,
finchè in ogni atto di scambio-preso singolarmente- vengono osservate le leggi dello scambio,
il modo di appropriazione può subire un rovesciamento totale
senza intaccare il diritto di proprietà corrispondente alla produzione delle merci;
questo stesso diritto è in vigore, come all’inizio:
quando il prodotto appartiene al produttore,
quando questi, scambiando equivalente con equivalente, si può arricchire solo col proprio lavoro,

così anche nel periodo capitalistico, nel quale la ricchezza sociale diventa
proprietà di coloro che possono riappropriarsi il lavoro non retribuito di altri:

questo risultato diventa inevitabile appena la forza-lavoro è liberamente venduta come merce dall’operaio stesso
a partire da quel momento
-la produzione delle merci si generalizza: diventando forma tipica della produzione,
-ogni prodotto viene prodotto per la vendita
-tutta la ricchezza prodotta passa per la circolazione.

Solo dove il lavoro salariato costituisce il suo fondamento
la produzione delle merci
-s’impone, con la forza, alla società nel suo insieme,
-dispiega tutte le sue potenze arcane.

Nella stessa misura in cui la produzione delle merci si sviluppa in produzione capitalistica,
le sue leggi della proprietà si convertono in leggi dell’appropriazione capitalistica.



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DIVISIONE DEL PLUSVALORE IN CAPITALE E REDDITO. LA TEORIA DELL’ASTINENZA.

il plusvalore e il plusprodotto, è stato considerato come fondo di consumo individuale del capitalista
                                                                                                                                                             nel capitolo precedente
solo come un fondo di accumulazione                                                              in questo capitolo finora    
però esso
non è né l’uno né l’altro,
ma l’uno e l’altro allo stesso tempo:
una parte del plusvalore                     viene consumata dal capitalista come reddito,
un’altra                                                 viene adoperata come capitale, cioè accumulata.
data la massa del plusvalore
l’una di queste parti                             sarà tanto più grande
quanto più piccola                                sarà l’altra;
la proporzione nella quale si compie tale divisione determina la grandezza dell’accumulazione:
questa divisione è compiuta dal proprietario del plusvalore, il capitalista: è atto della volontà del capitalista.

Solo in quanto
-è capitale personificato, il capitalista ha valore storico e possiede quel diritto storico all’esistenza,
- è capitale personificato, la sua necessità transitoria è insita nella necessità transitoria del modo di produzione capitalistico;
ma i motivi che lo spingono non sono il valore d’uso o il godimento
sono il valore di scambio e la moltiplicazione di quest’ultimo;
il capitalista come fanatico della valorizzazione del valore
costringe l’umanità alla produzione per la produzione,
la spinge a uno sviluppo delle forze produttive sociali e alla creazione di condizioni materiali di produzione
che sole possono costituire la base reale d’una forma superiore di società
il cui principio sia lo sviluppo pieno e libero di ogni individuo;
il capitalista
condivide l’istinto per l’arricchimento
del tesaurizzatore che però presenta una mania individuale,
mentre nel capitalista l’istinto per l’arricchimento
-è effetto del meccanismo sociale,
-ed è lo sviluppo della produzione capitalistica che rende necessario un aumento continuo del capitale investito  
poi la concorrenza
-impone a ogni capitalista le leggi del modo di produzione capitalistico come leggi coercitive esterne,
-lo costringe ad espandere il suo capitale per mantenerlo:
 e l’espansione è possibile solo per mezzo dell’accumulazione progressiva.
dunque
il proprio consumo privato è considerato dal capitalista come furto ai danni dell’accumulazione del suo capitale,
in quanto il suo fare è solo funzione del capitale
l’accumulazione è la conquista del mondo della ricchezza sociale, essa estende
-la massa del materiale umano sfruttato
-e il dominio diretto e indiretto del capitalista
Con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico,dell’accumulazione, della ricchezza
il capitalista cessa di essere una pura e semplice incarnazione del capitale.
Mentre il capitalista classico bolla a fuoco il consumo individuale
-come peccato contro la propria funzione
 -e come un «astenersi» dall’accumulazione,
il capitalista modernizzato è in grado di concepire l’accumulazione
come «rinuncia» del proprio istinto di godimento.


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Agli inizi storici del modo di produzione capitalistico predominano l’istinto d’arricchimento e l’avarizia,
ma il progresso della produzione capitalistica non crea solo un mondo di godimenti,
apre anche mille fonti di arricchimento.  con la speculazione e col credito.
A un certo livello di sviluppo un grado convenzionale di sperpero, che è allo stesso tempo ostentazione della ricchezza e quindi mezzo di credito, diventa addirittura necessità di mestiere per il capitalista.
Il lusso rientra nelle spese di rappresentanza del capitale.
Inoltre, il capitalista non si arricchisce come il tesaurizzatore in proporzione del suo lavoro e della sua frugalità personale, ma nella misura nella quale succhia forza-lavoro altrui,
Dunque, benché la prodigalità del capitalista non abbia mai il carattere di buona fede che ha la prodigalità del signore feudale, e benché  nello sfondo stiano in agguato l’avarizia e il calcolo più, tuttavia la sua prodigalità cresce col crescere della sua accumulazione.
Ma con il crescere dell’accumulazione nel capitalista si accende un conflitto faustiano fra istinto d’accumulazione e istinto di godimento.
«L’industria di Manchester», è detto dal dott. Aikin, «può essere suddivisa in quattro periodi.
Nel primo
i fabbricanti erano costretti a lavorare duramente per il loro sostentamento».
Si arricchirono derubando i genitori che collocavano da loro i figli come apprendisti e in cambio dovevano sborsare un bel po’ di quattrini, mentre gli apprendisti morivano di fame.
Dall’altra parte i profitti medi erano bassi e l’accumulazione esigeva grande economia: vivevano da tesaurizzatori e ci mancava molto che consumassero per intero gli interessi del loro capitale.
«Nel secondo periodo, quando ebbero cominciato a farsi dei piccoli patrimoni, lavoravano duramente come prima»,
poichè lo sfruttamento diretto del lavoro costa lavoro «e continuarono a vivere nello stesso stile frugale di prima.
Nel terzo periodo cominciò il lusso, e l’industria venne estesa mandando cavalieri in cerca di ordinazioni in ogni città che avesse un mercato.  
Tuttavia intorno a 1690 o più tardi gli industriali avevano accumulato denaro e cominciarono a costruire case di pietra invece di quelle di legno e di malta.
«Il quarto periodo», l’ultimo terzo del secolo XVIII, «è quello del gran lusso e della prodigalità, sostenuti dall’estendersi dell’industria).
«L’industria fornisce il materiale che il risparmio accumula».
Dunque, risparmiate cioè riconvertite in capitale la maggior parte possibile del plusvalore o plusprodotto!
Accumulazione per l’accumulazione, produzione per la produzione, in questa formula l’economia classica ha espresso la missione storica del periodo dei borghesi.
per l’economia classica il proletario conta solo come macchina per la produzione di plusvalore,
ma anche il capitalista conta per essa solo come macchina per la conversione di questo plusvalore in pluscapital.





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