CAPITOLO 23
LA LEGGE GENERALE DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA
1. DOMANDA CRESCENTE DI FORZA-LAVORO CHE ACCOMPAGNA
L’ACCUMULAZIONE DEL CAPITALE, EGUALE RIMANENDO LA COMPOSIZIONE DEL CAPITALE
STESSO.
In questo capitolo trattiamo
-dell’influenza che l’aumento del capitale esercita sulle sorti della
classe operaia:
il fattore più importante di questa indagine sono
-la composizione del capitale
-e le variazioni che subisce nel corso
del processo d’accumulazione.
La composizione del capitale
è da considerarsi in duplice senso:
dal lato del valore
essa si determina mediante la
proporzione in cui il capitale si suddivide
in capitale costante ossia valore dei mezzi di produzione
e in capitale variabile ossia valore della forza-lavoro,
somma complessiva dei salari;
dal lato della materia, quale essa opera nel processo di produzione, ogni capitale si suddivide in
-mezzi di produzione
-e in forza-lavoro vivente:
questa composizione si determina mediante il rapporto fra
-la massa dei mezzi di produzione usati
-e della quantità di lavoro necessaria per il loro uso.
Chiamerò
la prima composizione
del valore
la seconda composizione tecnica
del capitale:
fra entrambe esiste uno
stretto rapporto reciproco:
per esprimere quest’ultimo
chiamerò
la composizione del valore del capitale,
in quanto sia determinata dalla sua composizione
tecnica e rispecchi le variazioni di questa:
la composizione organica del capitale;
dove si parlerà, senz’altra specificazione,
della composizione del capitale s’ intende la composizione organica.
I capitali singoli investiti in un dato ramo della produzione
hanno una composizione differente l’un dall’altro
la media delle loro composizioni singole
ci dà la composizione del capitale complessivo di quel ramo della produzione.
la media complessiva delle composizioni
medie di tutti i rami della produzione
ci dà la composizione del capitale sociale di un paese,
e di questa solo si tratta nelle pagine che seguono.
L’aumento del capitale implica
l’aumento della sua parte costitutiva
variabile ossia convertita in forza-lavoro,
una parte del plusvalore trasformato in
capitale addizionale deve essere ritrasformata
in capitale variabile ossia in un fondo addizionale di lavoro.
217
Supponiamo che, insieme a circostanze altrimenti invariate
rimanga invariata la composizione del capitale
ossia che
una data massa di mezzi di produzione o di capitale costante richieda
la stessa massa di forza-lavoro per essere messa in moto
in tal caso la domanda di lavoro e il fondo di sussistenza degli operai
-aumentano in proporzione del capitale
-e aumentano tanto più rapidamente quanto più rapidamente
aumenterà il capitale.
-Siccome il capitale produce un plusvalore, di cui una parte viene unita
al capitale originario,
-siccome questo incremento stesso aumenta ogni anno aumentando
il volume del capitale già operante,
-siccome
per l’istinto dell’arricchimento, es. l’apertura di nuovi mercati ed investimenti di
capitale
la scala dell’accumulazione è elastica in virtù del
variare della ripartizione del plusvalore o plusprodotto in capitale e reddito,
i bisogni di accumulazione del capitale potranno superare l’aumento della
forza- lavoro o del numero degli operai,
la domanda di operai potrà superare la loro offerta, e quindi potranno
aumentare i salari.
questo dovrà accadere perdurando il presupposto di cui
sopra.
-siccome
ogni anno vengono occupati più operai che nell’anno
precedente
si dovrà arrivare al punto in cui i bisogni
dell’accumulazione cominciano a sorpassare l’offerta di lavoro,
in cui quindi subentra un aumento dei
salari:
le circostanze in cui i salariati si moltiplicano non cambiano nulla al
carattere fondamentale della produzione capitalistica.:
allo stesso modo che
la riproduzione semplice riproduce lo stesso rapporto capitalistico: capitalisti e
salariati
la riproduzione su scala allargata ossia l’accumulazione riproduce il
rapporto capitalistico su scala allargata:
a questo polo più capitalisti o grossi capitalisti
a quell’altro più salariati
La riproduzione della forza-lavoro
-che deve incorporarsi al capitale come mezzo di valorizzazione,
-che non può staccarsi da esso
-la cui servitù nei confronti del capitale viene nascosta
dall’alternarsi del capitalista individuale a cui essa si vende,
costituisce un elemento della
riproduzione dello stesso capitale:
quindi
accumulazione del capitale è aumento del proletariato.
218
L’economia classica aveva capito così bene questa proposizione
A. Smith, Ricardo identificano erroneamente, l’accumulazione con il consumo di tutta la parte
capitalizzata del plusprodotto ad opera di operai produttivi, ossia con
la sua trasformazione in salariati addizionali.
Fin dal 1696 John Bellers dice: «Se qualcuno avesse 100.000 acri e
altrettante lire sterline di denaro e bestiame,
che cosa sarebbe l’uomo ricco senza il lavoratore se
non egli stesso un lavoratore?
E come i lavoratori arricchiscono la gente, allo stesso modo
tanto più lavoratori, tanto più ricchi... Il lavoro del povero è la miniera del
ricco».
Così Bernard de Mandeville ai primi del secolo XVIII:
«dove la proprietà è sufficientemente difesa, sarebbe più facile vivere
senza denaro che senza poveri, giacché chi farebbe il lavoro?
Allo stesso modo che i lavoratori devono essere
protetti contro la morte per fame, essi non dovrebbero ricevere nulla che valga
di essere risparmiato. Se qualcuno della classe infima si eleva al di sopra
delle condizioni in cui è cresciuto, nessuno deve ostacolarlo;
anzi è il piano più saggio per ogni privato, per ogni
famiglia, essere frugale;
ma è interesse di tutte le nazioni ricche che la gran maggioranza dei
poveri non sia mai inattiva e che pur spenda costantemente quello che intasca.
Coloro che si guadagnano la vita con il loro lavoro quotidiano, non hanno
nulla che li stimoli ad essere servizievoli se non i loro bisogni che è
saggezza alleviare, ma sarebbe follia curare.
L’unica cosa che possa rendere assiduo l’uomo che lavora è un salario
moderato
un salario troppo esiguo lo rende o pusillanime o disperato,
un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro.
In una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la
ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi:
essi sono la fonte per la flotta e per l’esercito, senza di essi il
prodotto di nessun paese sarebbe valorizzabile.
Per rendere felice la società composta di coloro che non lavorano e per
render il popolo contento anche in condizioni povere,
è necessario che la grande maggioranza rimanga ignorante e povera.
Le cognizioni aumentano e moltiplicano i nostri desideri, e quanto meno un
uomo desidera, tanto più facilmente i suoi bisogni potranno essere soddisfatti».
Quello che il
Mandeville non capisce ancora è che il meccanismo dello processo di
accumulazione aumenta insieme col capitale la massa dei salariati, i quali
trasformano la propria forza-lavoro in una crescente forza di valorizzazione
del capitale crescente e in questo modo devono perpetuare il loro rapporto di dipendenza dal
proprio prodotto, personificato nel capitalista.
Riferendosi a questo rapporto di dipendenza
Sir F. M. Eden osserva «La nostra
zona richiede lavoro per il soddisfacimento dei bisogni, e perciò una parte della
società deve lavorare indefessamente.
Alcuni che non lavorano hanno ciò malgrado a loro
disposizione i prodotti dell’assiduità. Ma questo quei tali proprietari lo
devono soltanto all’incivilimento e all’ordine, essi sono creature pure e semplici
delle istituzioni civili. Poichè queste hanno riconosciuto che i frutti del
lavoro possono essere appropriati anche in maniera diversa che non con il
lavoro. La gente che ha un patrimonio indipendente deve questo patrimonio al
lavoro altrui, non alla propria capacità, che non è assolutamente migliore di
quella degli altri; non è il possesso della terra e del denaro che distingue i
ricchi dai poveri, ma il comando sul lavoro.
Quello che è accetto al povero non è una situazione abietta o servile, ma
un rapporto di dipendenza comodo e liberale
e alla gente che ha proprietà, influenza e autorità sufficienti su coloro
che lavorano per essi.
Tale rapporto di dipendenza è necessario, come sa ogni
conoscitore della natura umana, per il conforto degli stessi lavoratori».
Sir F. M. Eden, è l’unico scolaro di Adam Smith che durante il secolo
XVIII abbia fatto qualcosa d’importante.
Nelle condizioni dell’accumulazione fin qui presupposte, le più favorevoli
agli operai,
il rapporto di dipendenza degli operai dal capitale
riveste forme tollerabili:
invece di diventare più intenso con l’aumento del
capitale,
si fa solo più esteso, ossia la sfera di
sfruttamento e di dominio del capitale
si estende solo insieme con la dimensione di quest’ultimo
e col numero dei suoi sudditi.
Del loro proprio plusprodotto enfiantesi e che si
trasforma in capitale addizionale
rifluisce ad essi una parte maggiore sotto forma di
mezzi di pagamento,
cosicchè possono ampliare il loro fondo di consumo per
vestiti, mobili ecc. e costituire piccoli fondi di riserva di denaro.
Ma come trattamento migliori e maggiore denaro non aboliscono il rapporto
di dipendenza e lo sfruttamento dello schiavo,
così non aboliscono quello del salariato:
un aumento del prezzo del lavoro in seguito all’accumulazione del capitale
significa solo che volume e peso della catena del
salariato consentono una tensione allentata.
219
Nelle controversie su questo argomento
non si è tenuto conto della cosa principale cioè della differentia specifica della produzione
capitalistica:
qui la forza-lavoro non è comprata
per soddisfare col suo servizio o prodotto i bisogni personali del compratore:
lo scopo del compratore è
la valorizzazione del capitale, la
produzione di merci che contengano
- maggior quantità di lavoro di quella che paga,
- quindi una parte di valore che a lui non costa
nulla e che viene realizzata mediante la vendita delle merci.
La produzione di plusvalore è la legge
assoluta di questo modo di produzione:
la forza-lavoro è vendibile solo in quanto
- conserva i mezzi di produzione come capitale,
- riproduce il proprio valore come capitale
- fornisce nel lavoro non retribuito una fonte di capitale addizionale:
quindi
le condizioni della sua vendita implicano
-la necessità della sua rivendita
-e la sempre ampliata riproduzione della ricchezza
come capitale.
Come si è visto
il salario per sua natura, esige
la fornitura di una determinata quantità di lavoro non retribuito da parte
dell’operaio,
il suo crescere, non significa che il calare
quantitativo del lavoro non retribuito che l’operaio deve compiere: questo
calare non può mai continuare fino al punto in cui minaccerebbe il sistema.
l’aumento del prezzo del lavoro derivato dall’accumulazione del capitale presuppone la seguente alternativa:
-o il prezzo del lavoro continua a crescere perchè il
suo aumento non turba il progresso dell’accumulazione
in questo caso è evidente che
una diminuzione del lavoro non retribuito non
pregiudica l’estensione del dominio del capitale,
oppure
- nell’atro caso
-l’accumulazione si allenta in seguito all’aumento del
prezzo del lavoro perchè ottunde lo stimolo del guadagno mentre l’accumulazione
diminuisce
scompare la causa della sua diminuzione, ossia la sproporzione fra
capitale e forza-lavoro sfruttabile.
Dunque lo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico
elimina gli ostacoli che crea.
Il prezzo del lavoro ricade a un livello
corrispondente ai bisogni di valorizzazione del capitale,
sia esso più basso, più alto
del livello considerato normale prima dell’aumento dei
salari, sia esso eguale a questo;
nel primo caso non è la diminuzione dell’incremento assoluto o proporzionale della
forza-lavoro o della popolazione operaia che rende il
capitale eccedente,
viceversa è l’aumento del capitale che rende insufficiente la
forza-lavoro sfruttabile;
nel secondo caso non è l’aumento dell’incremento della forza-lavoro o della
popolazione operaia
che rende insufficiente il capitale,
viceversa,
la diminuzione del capitale rende eccedente la forza-lavoro sfruttabile
o, piuttosto, il suo prezzo:
sono questi movimenti assoluti entro l’accumulazione del capitale
che si rispecchiano come movimenti
relativi entro la massa della forza-lavoro sfruttabile
quindi sembrano dovuti al movimento proprio di quest’ultima.
220
Alla stessa maniera
nella fase di crisi del ciclo industriale
la caduta generale dei prezzi delle merci si esprime
come aumento del valore relativo del denaro,
e nella fase di prosperità
l’aumento generale dei prezzi delle merci si esprime
come caduta del valore relativo del denaro.
La cosiddetta currency-school ne deduce che quando i prezzi sono alti circola troppo
denaro, quando sono bassi ne circola troppo poco:
La sua ignoranza e il suo fraintendimento dei fatti trovano un degno parallelo
negli economisti i quali interpretano quei fenomeni dell’accumulazione nel senso che
la prima volta esistono troppo pochi operai salariati
e la seconda se ne hanno troppi.
La legge della produzione capitalistica che sta alla base della pretesa
«legge naturale della popolazione»,
si riduce semplicemente a questo:
il rapporto fra capitale, accumulazione e saggio del salario è solo
-il rapporto fra il lavoro non retribuito trasformato
in capitale
-e il lavoro addizionale richiesto dal movimento del
capitale addizionale;
dunque
non si tratta di un rapporto fra due grandezze indipendenti fra di loro:
da una parte la grandezza del capitale
e dall’altra il numero della popolazione operaia,
bensì
si tratta
solo del rapporto fra il lavoro non retribuito e quello retribuito di una
medesima popolazione operaia.
Se la quantità deI lavoro non retribuito, fornito dalla
classe operaia e accumulato dalla classe dei
capitalisti, cresce con rapidità sufficiente perchè si
possa trasformare in capitale con un’aggiunta straordinaria di lavoro
retribuito,
il salario cresce
e il lavoro non
retribuito diminuisce in proporzione;
non appena questa diminuzione
tocca il punto in cui il pluslavoro, che alimenta
il capitale, non viene offerto in quantità normale,
subentra una reazione:
-una parte minore del reddito viene capitalizzata,
-l’accumulazione viene paralizzata
-il movimento dei salari in aumento subisce un
contraccolpo.
dunque
l’aumento del prezzo del lavoro rimane
confinato entro limiti che
- lasciano intatta la base del sistema capitalistico,
- assicurano anche la sua riproduzione su scala
crescente.
Dunque la legge dell’accumulazione capitalistica mistificata in legge di
natura esprime in realtà
solo il fatto che la sua natura esclude
-ogni diminuzione del grado di sfruttamento del lavoro
-o ogni aumento del prezzo del lavoro
che siano tali da esporre a un serio
pericolo
-la riproduzione del rapporto capitalistico
-e la sua riproduzione su scala sempre più allargata.
221
2. DIMINUZIONE RELATIVA DELLA PARTE VARIABILE DEL CAPITALE DURANTE IL
PROGRESSO DELL’ACCUMULAZIONE E DELLA CONCENTRAZIONE AD ESSA CONCOMITANTE.
Secondo gli stessi economisti non è né il volume esistente della
ricchezza sociale né la grandezza del capitale già guadagnato che porta con sè
un aumento dei salari,
bensì solo il continuo crescere dell’accumulazione e il
grado di velocità della sua crescita (A. Smith).
Fin qui abbiamo considerato solo una fase particolare di questo processo,
fase in cui l’aumento di capitale si verifica eguali rimanendo la composizione
tecnica del capitale.
Il processo va al di là dei limiti di questa fase;
una volta date le basi del sistema capitalistico,
nel corso dell’accumulazione si giunge a un punto in cui
lo sviluppo della produttività del lavoro sociale diventa la leva più potente dell’accumulazione.
«La medesima causa», dice A. Smith, «che fa aumentare i salari, ossia
l’aumento del capitale,
tende ad aumentare le capacità produttive del lavoro
e permette a una minore quantità di lavoro di produrre una maggiore
quantità di prodotti».
il grado sociale di produttività del lavoro si esprime
nel volume della grandezza relativa dei mezzi di
produzione che un operaio trasforma in prodotto,
durante un dato tempo, e con la medesima tensione
della forza lavoro.
La massa dei mezzi di produzione con i quali egli opera cresce con la
produttività del suo lavoro,
questi mezzi di produzione intervengono in ciò con duplice
funzione:
l’aumento degli uni è la conseguenza,
quello degli altri la condizione della produttività crescente del
lavoro;
es.
con la divisione manifatturiera del lavoro e con l’uso delle macchine
viene lavorata, durante lo stesso tempo, una maggiore
quantità di materie prime
quindi nel processo lavorativo entra una maggiore massa di
materie prime ed ausiliarie:
questa è la conseguenza della produttività crescente del lavoro.
D’altra parte la massa delle macchine usate, del bestiame da lavoro, dei concimi, dei
tubi di drenaggio
è condizione della produttività crescente del lavoro,
così anche la massa dei mezzi di produzione concentrati
in locali, forni, mezzi di trasporto ecc.
che sia condizione o conseguenza,
la crescente grandezza di volume dei mezzi di produzione, paragonata alla forza-lavoro ad essi
incorporata, esprime la crescente produttività del lavoro.
Al sorgere della grande industria
si scopri un metodo per trasformare il ferro grezzo
fuso col coke in ferro lavorabile,
processo che consiste nella purificazione del ferro
fuso,
ha causato
un aumento tale dei mezzi di lavoro e di materie prime messe in opera
da una medesima quantità di lavoro,
che il ferro fu fornito con abbondanza a un prezzo basso da soppiantare la
pietra e il legno,
siccome ferro e carbone sono le grandi leve dell’industria moderna non si
sopravvaluterà mai abbastanza l’importanza di questa innovazione.
222
Dopo aver rivoluzionato l’industria del ferro
e provocato un grande ampliamento dei mezzi di lavoro
e del materiale da lavorarsi
il processo del puddling è diventato, nel corso dell’accumulazione, un ostacolo economico
che si cerca di eliminare con nuovi processi atti a spostare
i limiti che esso contrappone a un ulteriore aumento dei mezzi materiali della
produzione:
questa è la storia di tutte le scoperte e di tutte le invenzioni che
nascono al seguito dell’accumulazione:
quindi
«nel progresso dell’accumulazione
non si ha solo aumento quantitativo dei diversi elementi materiali del
capitale,
lo sviluppo delle forze produttive si manifesta in:
- mutamenti qualitativi,
- cambiamenti graduali della composizione tecnica del
capitale
in breve
la massa dei mezzi di lavoro e delle materie prime
aumentano sempre più
a paragone della somma di forza operaia necessaria al
loro uso:
quindi
nella misura in cui l’aumento del capitale rende il lavoro più produttivo,
esso diminuisce la domanda di lavoro in rapporto alla
grandezza del capitale»:
l’aumento di quest’ultima si manifesta
- nella diminuzione della massa di lavoro paragonata
alla massa dei mezzi di produzione
ossia
nella diminuzione della grandezza del
fattore soggettivo del processo di lavoro
a paragone dei suoi fattori oggettivi.
Questo mutamento nella composizione tecnica del capitale:
l’aumento della massa dei mezzi di
produzione a paragone della massa della forza-lavoro che li anima,
si rispecchia
nella composizione del valore del capitale
nell’aumento della parte costante del capitale a spese
della sua
parte variabile,
es.
in origine, di un capitale viene speso 50% in mezzi di produzione e il 50% in
forza-lavoro,
con lo sviluppo del grado di produttività del lavoro,
verrà speso l’80% in mezzi di produzione e il 20% in
forza-lavoro
questa legge dell’aumento crescente della
parte costante del capitale in proporzione alla
parte variabile
viene convalidata dall’analisi comparata dei prezzi
delle merci,
sia che paragoniamo epoche economiche diverse di un’unica
nazione sia
nazioni diverse in una medesima epoca.
la parte costante del capitale, sarà in proporzione diretta del progresso
dell’accumulazione
la parte variabile del capitale, sarà in
proporzione inversa di quel progresso,
la diminuzione della parte variabile del capitale nei confronti della
parte costante,
ossia la mutata composizione del valore del capitale,
però indica solo in via approssimativa il cambiamento nella
composizione delle sue parti costitutive materiali.
con la crescente produttività del lavoro
non solo aumenta il volume dei mezzi di produzione da esso consumati,
ma il valore di questi ultimi diminuisce a paragone del
loro volume:
dunque il loro valore aumenta in assoluto ma non in
proporzione del loro volume.
Quindi l’aumento della differenza tra capitale costante e
variabile è molto minore
dell’aumento della differenza fra la massa dei mezzi di produzione in cui
si converte il capitale costante
e la massa di forza-lavoro in cui si converte il capitale
variabile:
la prima delle due differenze aumenta insieme con la seconda, ma in un
grado minore.
Se il progresso dell’accumulazione diminuisce la grandezza relativa della
parte variabile del capitale
esso non esclude, per questo, l’aumento della sua grandezza assoluta.
223
RIASSUNTO nella quarta sezione abbiamo mostrato
come lo sviluppo della forza produttiva sociale del lavoro presupponga
una cooperazione su larga scala,
come solo con questo presupposto possano
essere organizzate la divisione e la combinazione del lavoro,
essere economizzati i mezzi di produzione concentrandoli in massa,
essere creati mezzi di lavoro già adoperabili solo in comune es. il
sistema delle macchine;
come forze immense della natura
possano essere costrette al servizio della produzione
e possa compiersi la trasformazione del processo di produzione
in applicazione tecnologica della scienza.
Sulla base della produzione delle merci
nella quale i mezzi di produzione sono proprietà di
persone private,
nella quale il lavoratore manuale o produce le merci
isolato e autonomo, oppure vende come merce la propria forza-lavoro perchè gli
mancano i mezzi per un’azienda autonoma,
quel presupposto si attua solo grazie all’aumento dei capitali individuali,
oppure si attua nella misura in cui i mezzi di produzione e di
sussistenza sociali vengono trasformati in proprietà privata di capitalisti.
Sul terreno della produzione delle merci la produzione su larga scala può allignare solo in forma
capitalistica; una certa accumulazione di capitale nelle mani di
produttori individuali di merci,
costituisce quindi
il presupposto del modo di produzione capitalistico.
Per questo eravamo stati costretti a presupporla trattando
della transizione dall’artigianato alla conduzione capitalistica.
Essa potrà essere chiamata l’accumulazione originaria perchè è
il fondamento storico della produzione specificamente capitalistica anzichè esserne il
risultato storico.
Come essa stessa nasca non occorrerà ancora indagare a
questo punto. Basti che costituisca il punto di partenza.
Tutti i metodi per incrementare la forza produttiva sociale
del lavoro che sorgano su questa base
sono insieme
-metodi per aumentare la produzione del plusvalore ossia del
plusprodotto, che è elemento costitutivo dell’accumulazione:
-metodi per la produzione di capitale mediante capitale o metodi per
l’acceleramento della sua accumulazione.
L’ininterrotta ritrasformazione del plusvalore in capitale
si rappresenta come grandezza crescente del capitale, che entra nel
processo di produzione:
questa diviene, a sua volta, base
-di una scala allargata di produzione,
-dei metodi per l’incremento della forza produttiva del
lavoro e per l’accelerazione della produzione di plusvalore;
se dunque
un certo grado dell’accumulazione capitalistica si
manifesta come condizione del modo di produzione capitalistico:
quest’ultimo ha, per ripercussione, un’accumulazione
accelerata del capitale,
quindi insieme con
l’accumulazione del capitale
si sviluppa il modo di produzione capitalistico e, insieme al modo capitalistico,
l’accumulazione
del capitale,
questi due fattori economici, per l’impulso che si danno a vicenda,
producono il cambiamento della composizione tecnica del capitale
in virtù del quale la parte variabile diventa sempre più
piccola di quella costante.
224
Ogni capitale individuale è una concentrazione di mezzi di produzione, con il comando
su un esercito di operai,
ogni accumulazione diventa il mezzo di accumulazione nuova:
essa allarga, con la ricchezza operante come capitale, la sua concentrazione nelle mani di
capitalisti individuali,
e con ciò la base della produzione su larga scala e dei metodi di produzione specificamente
capitalistici.
L’aumento del capitale sociale si compie con l’aumento di molti capitali individuali,
i capitali individuali e la concentrazione dei mezzi di produzione
crescono nella
proporzione in cui costituiscono parti aliquote del capitale
complessivo sociale;
dai capitali originari si staccano polloni che funzionano come capitali
nuovi autonomi
un’importante funzione esercita in questo la ripartizione
del patrimonio delle famiglie capitaliste:
quindi
con l’accumulazione del capitale cresce anche il numero dei capitalisti;
due punti caratterizzano questo tipo di concentrazione basata
sull’accumulazione, anzi identica ad essa:
primo:
la crescente concentrazione dei mezzi di produzione
sociali nelle mani di capitalisti individuali è limitata, in circostanze
altrimenti invariate, dal grado di aumento della ricchezza sociale.
secondo:
la parte del capitale sociale domiciliata in ogni
particolare sfera della produzione è ripartita su molti capitalisti,
i quali sono contrapposti e in concorrenza fra loro come
produttori di merci indipendenti:
l’accumulazione e la concentrazione ad essa concomitante,
-sono disseminate su molti punti
-l’aumento dei capitali operanti s’incrocia
con la formazione di capitali nuovi
e con la scissione di capitali vecchi;
quindi l’accumulazione si presenta
da un lato come concentrazione crescente dei mezzi di produzione e del comando sul
lavoro,
dall’altro come
ripulsione reciproca di molti capitali individuali:
contro questa dispersione del capitale complessivo
sociale in molti capitali individuali
oppure contro la ripulsione reciproca delle sue
frazioni agisce
l’attrazione di queste ultime.
Non si tratta più
di una concentrazione semplice dei mezzi di produzione e del comando sul
lavoro, identica con l’accumulazione:
si tratta
di concentrazione di capitali già formati,
del superamento della loro autonomia individuale,
dell’espropriazione del capitalista da parte del capitalista,
della trasformazione di molti capitali minori in pochi capitali più
grossi.
questo processo si distingue dal primo
per il fatto che esso presuppone solo una ripartizione mutata dei capitali già esistenti
e funzionanti
che il suo campo d’azione non è dunque limitato
dall’aumento assoluto della ricchezza sociale o dai limiti assoluti
dell’accumulazione;
il capitale qui in una
mano sola si gonfia da diventare una grande massa,
perchè là in molte mani va perduto:
è questa la centralizzazione vera e propria a differenza
dell’accumulazione e concentrazione.
225
Basterà un breve cenno sui fatti:
la lotta della concorrenza viene condotta rendendo più a buon mercato le merci,
il buon mercato delle merci dipende:
-dalla produttività del lavoro
-questa a sua volta dipende dalla scala della
produzione:
perciò i capitali più grossi sconfiggono quelli
minori.
Si ricorderà inoltre che
con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico
cresce il volume del capitale individuale, necessario per far lavorare
un’azienda,
perciò i capitali minori si affollano in sfere della produzione delle quali la
grande industria si sia impadronita fino allora in via sporadica o incompleta:
qui la concorrenza infuria
-in proporzione diretta del numero
-e in proporzione inversa
della grandezza dei capitali rivaleggianti
-essa termina con la rovina dei capitalisti minori
i cui capitali in parte passano nelle mani del vincitore
in parte scompaiono.
CREDITO
Con la produzione capitalistica si forma una potenza nuova: il sistema
del credito,
che ai suoi inizi
s’insinua furtivamente come ausilio dell’accumulazione,
attira i mezzi pecuniari disseminati nelle mani di
capitalisti individuali o associati,
diventando ben presto un’arma nuova e terribile nella lotta
della concorrenza
infine trasformandosi in un immane meccanismo
per la
centralizzazione dei capitali.
Nella misura in cui si sviluppano la produzione e l’accumulazione
capitalistica,
si sviluppano la concorrenza e il credito; le due leve più potenti della
centralizzazione;
allo stesso tempo il progresso dell’accumulazione aumenta
la
materia centralizzabile, ossia i
capitali singoli, mentre l’allargamento
della produzione capitalistica
crea qua il bisogno sociale,
là i mezzi tecnici di quelle potenti imprese industriali,
la cui attuazione è legata a una centralizzazione
del capitale avvenuta in precedenza.
Oggi quindi
-la reciproca forza d’attrazione dei capitali singoli
-e la tendenza alla centralizzazione sono più forti
che nel passato,
anche se l’estensione e l’energia del movimento centralizzatore
sono determinate in un certo grado
dalla grandezza già raggiunta dalla ricchezza
capitalistica e dalla superiorità del meccanismo economico,
ciò malgrado
il progresso della centralizzazione non dipende dall’aumento della
grandezza del capitale sociale:
è questo che distingue la centralizzazione
dalla concentrazione che è un’espressione diversa per indicare la
riproduzione su scala allargata.
226
La centralizzazione può avvenire
in virtù di un semplice cambiamento nella distribuzione di capitali già esistenti,
qua il capitale può crescere fino a diventare una massa
potente in una sola mano,
perchè là viene sottratto a molte mani individuali:
In un dato ramo d’affari
la centralizzazione raggiungerebbe l’estremo limite solo se tutti i
capitali ivi investiti si fondessero in un capitale singolo;
in una società data
questo limite sarebbe raggiunto nel momento in cui il
capitale sociale fosse riunito
nella mano di un singolo capitalista o in quella di
un’unica associazione di capitalisti,
la centralizzazione completa l’opera dell’accumulazione
mettendo in grado i capitalisti industriali di
allargare la scala delle loro operazioni:
che quest’ultimo risultato
sia conseguenza dell’accumulazione o della centralizzazione;
che la centralizzazione si compia con l’annessione,
o che avvenga la fusione di quantità di capitali formati o in formazione in virtù della
formazione di società per azioni
l’effetto economico rimane lo stesso.
La cresciuta estensione degli stabilimenti industriali costituisce il
punto di partenza
-di una più ampia organizzazione del lavoro
complessivo di molti,
-di uno sviluppo più largo delle loro forze motrici
materiali,
-ossia di una trasformazione di processi di produzione isolati
e compiuti secondo consuetudini,
in processi di produzione combinati socialmente e predisposti
scientificamente.
Ma è chiaro che
l’accumulazione è un procedimento lentissimo
a paragone della centralizzazione che deve solo mutare il raggruppamento
quantitativo delle parti integranti del capitale sociale.
Il mondo sarebbe
privo di ferrovie, se avesse dovuto aspettare che l’accumulazione avesse messo in grado alcuni capitali individuali di
poter affrontare la costruzione di una ferrovia.
227
La centralizzazione, invece, è
riuscita a farlo d’un tratto, mediante le società per azioni:
la centralizzazione
-aumenta ed accelera gli effetti dell’accumulazione
-allarga ed accelera i rivolgimenti nella composizione tecnica del
capitale
che ne aumentano la parte costante a spese di
quella variabile
e con ciò diminuiscono la domanda relativa di lavoro.
Le masse di capitale saldate mediante la centralizzazione
-si riproducono e aumentano ma più rapidamente delle
altre,
-diventando, in tal modo, nuove potenti leve dell’accumulazione
sociale:
dunque nel progresso dell’accumulazione sociale sono tacitamente compresi gli effetti della
centralizzazione.
I capitali addizionali, formati nel
corso dell’accumulazione normale (v. capitolo XXII, 1)
servono come veicolo per lo sfruttamento
di invenzioni, scoperte nuove, perfezionamenti industriali;
anche il vecchio capitale raggiunge il momento del proprio rinnovamento
-in cui cambia pelle e rinasce in una forma tecnica
perfezionata
-in cui una massa minore di lavoro basta per mettere
in moto una massa maggiore di macchine e di materie prime.
La diminuzione assoluta della domanda di lavoro che ne consegue
diventa tanto maggiore quanto più i capitali che
percorrono questo processo di rinnovamento
sono già accumulati in massa in
virtù del movimento centralizzatore:
da un lato
il capitale addizionale formato nel progredire dell’accumulazione
attrae, in rapporto alla propria grandezza, sempre
meno operai.
dall’altro
il capitale vecchio riprodotto periodicamente in nuova composizione
respinge un numero sempre maggiore di operai prima da
lui occupati.
228
3. PRODUZIONE PROGRESSIVA DI UNA SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA OSSIA DI UN
ESERCITO INDUSTRIALE DI RISERVA.
L’accumulazione del capitale che in origine si presentava solo come suo ampliamento
quantitativo
come abbiamo visto, si compie,
in un continuo cambiamento qualitativo della sua composizione, in un costante aumento
della sua parte costitutiva
costante a spese della sua parte
costitutiva variabile
Il modo di produzione specificamente capitalistico,
lo sviluppo della forza produttiva del lavoro
il cambiamento della composizione organica del capitale
non solo
vanno di pari passo con il progresso
dell’accumulazione o con l’aumento della ricchezza sociale
essi procedono con rapidità incomparabilmente maggiore
perchè l’accumulazione semplice ossia l’estensione
del capitale complessivo
è accompagnata dalla centralizzazione dei suoi
elementi individuali,
e la rivoluzione tecnica del capitale addizionale è
accompagnata dalla rivoluzione tecnica del capitale originario;
quindi
con il procedere dell’accumulazione varia la
proporzione fra la parte costante del capitale e quella
variabile: se in origine era di i 1:1 ora diventa 2 : 1, 3 :1, 4 1, 5 :
1, 7 : 1,
cosicchè, aumentando il capitale
invece della metà del suo valore complessivo, si
convertono in forza-lavoro solo 1/3, 1/4,
1/5, 1/6, 1/8
e di contro si convertono in mezzi di produzione 2/3, 3/4, 4/5, 5/6, 7/8,
Siccome la domanda di lavoro non è determinata dal volume del capitale complessivo
ma dal volume della sua parte costitutiva variabile,
quindi essa
diminuirà in proporzione progressiva con l’aumentare
del capitale complessivo
invece di aumentare in proporzione di esso, come è stato
presupposto prima
essa diminuisce in rapporto alla grandezza del
capitale complessivo
e diminuisce in progressione accelerata con
l’aumentare di essa.
Con l’aumentare del capitale complessivo
cresce la sua parte costitutiva variabile ossia la
forza-lavoro incorporatale,
ma cresce in proporzione costantemente decrescente.
229
Non solo si rende necessaria un’accumulazione del
capitale complessivo accelerata in progressione crescente
per assorbire un numero addizionale di operai di una
certa grandezza
o a causa della costante metamorfosi del vecchio capitale
anche solo per occupare il numero già operante;
a sua volta
questa crescente accumulazione e centralizzazione
si converte ancora
in nuovi cambiamenti nella composizione del capitale
o in una diminuzione di nuovo accelerata della sua
parte costitutiva variabile a paragone della costante.
Questa diminuzione relativa della parte costitutiva variabile,
accelerata con l’aumentare del capitale complessivo e
accelerata in misura maggiore del proprio aumento,
appare viceversa
come un aumento della popolazione operaia più rapido
dì quello del capitale variabile ossia dei mezzi che le danno occupazioni;
invece è l’accumulazione capitalistica che costantemente produce,
in proporzione della propria energia e del proprio
volume,
una popolazione operaia relativa cioè eccedente i bisogni medi di
valorizzazione del capitale
e quindi superflua ossia addizionale.
Per quanto riguarda il capitale sociale complessivo, il movimento della sua
accumulazione
ora provoca un cambiamento periodico
ora i suoi momenti si distribuiscono contemporaneamente
nelle sfere diverse della produzione:
in alcune sfere si verifica un
cambiamento nella composizione del capitale
senza aumento della sua grandezza assoluta, a seguito della concentrazione
in altre l’aumento assoluto del capitale è collegato
a una diminuzione assoluta della sua parte costitutiva
variabile, ossia della forza-lavoro
da essa assorbita;
in altre ora il capitale continua ad aumentare sulla propria base tecnica data
attraendo forza-lavoro addizionale in
proporzione del proprio aumento,
ora subentra un cambiamento organico e la sua parte costitutiva variabile si
contrae;
in tutte le sfere l’aumento della parte variabile del capitale e del numero
degli operai occupati
è legato a violente fluttuazioni e a una passeggera
produzione di sovrappopolazione
sia che questa assuma la forma vistosa respingendo gli operai occupati,
sia che assuma quella meno appariscente di difficoltà nell’assorbimento della popolazione
operaia addizionale.
230
Insieme
-con la grandezza del capitale sociale già in
funzione,
-col grado del suo aumento
-con l’estensione della scala
di produzione e della massa degli operai messi in moto,
-con lo sviluppo della forza produttiva del lavoro,
si estende anche la scala
in cui una maggiore attrazione degli operai da parte
del capitale è legata ad una maggiore ripulsione di essi aumenta la rapidità
dei cambiamenti. nella composizione organica del capitale e nella sua forma
tecnica,
e si dilata l’ambito delle sfere di produzione le
quali
ora ne sono prese contemporaneamente,
ora alternativamente.
quindi
la popolazione operaia produce i mezzi per render sè stessa
relativamente eccedente
mediante l’accumulazione del capitale da essa stessa
prodotta:
è questa una legge della popolazione peculiare del modo di produzione
capitalistico,
come ogni modo di produzione storico particolare ha le
proprie leggi della popolazione particolari, storicamente valide:
una legge astratta della popolazione esiste solo per le
piante e gli animali nella misura in cui l’uomo non interviene portandovi la
storia.
Se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario della accumulazione
viceversa,
questa sovrappopolazione
diventa
-la leva dell’accumulazione capitalistica
-una delle condizioni d’esistenza del modo di
produzione capitalistico,
costituisce
un esercito industriale di riserva disponibile che
appartiene al capitale in maniera completa
crea
per i bisogni di valorizzazione di esso
il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente
dai limiti del reale aumento della popolazione.
Insieme con l’accumulazione e con lo sviluppo della forza
produttiva del lavoro
cresce la forza d’espansione del capitale
non solo perchè crescono l’elasticità del capitale
funzionante e la ricchezza assoluta, di cui il capitale costituisce una parte
elastica,
non solo perchè il credito mette, ad ogni stimolo, una
parte straordinaria di questa ricchezza in veste di capitale addizionale, a
disposizione della produzione.
Le condizioni tecniche dello processo di
produzione, macchine, i mezzi di trasporto ecc.
consentono, sulla scala più larga, la più rapida
trasformazione del plusprodotto in mezzi addizionali di produzione.
231
La massa della ricchezza sociale col progredire dell’accumulazione
trabocca e diventa trasformabile in capitale addizionale
entra
-in rami vecchi della produzione il cui mercato
improvvisamente si allarga,
-o in rami dischiusi per la prima volta la cui
necessità sorge dallo sviluppo dei rami vecchi della produzione,
in tutti questi casi
grandi masse di uomini devono essere spostabili, nei
punti decisivi, in altre sfere:
le fornisce la sovrappopolazione;
il ciclo vitale caratteristico dell’industria moderna:
la forma di un ciclo decennale
di periodi di vivacità media,
produzione con pressione massima,
crisi e stagnazione, interrotto da piccole
oscillazioni,
si basa
sulla costante formazione,
sul maggiore o minore assorbimento
e sulla nuova formazione dell’esercito industriale di riserva
della sovrappopolazione.
Le alterne vicende del ciclo industriale
-reclutano la sovrappopolazione
-diventano uno degli agenti più energici della sua
riproduzione;
questo ciclo vitale dell’industria moderna che
-non incontriamo in alcun periodo anteriore
dell’umanità,
-era stato impossibile anche nell’infanzia della
produzione capitalistica
la composizione del capitale si è modificata solo molto gradualmente
quindi
alla sua accumulazione corrispondeva un aumento proporzionale
della domanda di lavoro;
per quanto fosse lento il progresso dell’accumulazione
del capitale
s’imbatteva in limiti naturali della popolazione
operaia sfruttabile.
232
L’espansione improvvisa e a scatti della scala di produzione è il presupposto
della sua contrazione:
quest’ultima provoca, di nuovo la prima
ma la prima non è possibile
-senza un materiale umano disponibile:
-senza un aumento degli operai indipendente dall’aumento assoluto della
popolazione;
l’aumento degli operai
viene creato mediante un processo che ne libera costantemente
una parte
in virtù di metodi che diminuiscono gli operai
occupati in rapporto alla produzione aumentata:
dunque
la forma del movimento dell’industria moderna nasce
dalla costante trasformazione di una parte della popolazione operaia in
braccia disoccupate o occupate a
metà.
La superficialità dell’economia politica risulta nel fatto che essa
fa dell’espansione e della contrazione del credito
che sono meri sintomi dei periodi alterni del ciclo
industriale,
la causa di quei periodi.
La produzione sociale, gettata nel movimento di espansione e di contrazione che si alternano,
lo ripete costantemente,
effetti diventano, a loro volta, cause
le alterne vicende del processo assumono la forma della periodicità:
una volta consolidata quest’ultima
perfino l’economia politica riesce a concepire
la produzione di una popolazione eccedente relativa, eccedente al
bisogno medio di valorizzazione del capitale,
come condizione vitale dell’industria moderna.
Alla produzione capitalistica
non basta la quantità di forza-lavoro disponibile che fornisce
l’aumento naturale della popolazione:
per avere mano libera essa abbisogna di un esercito
industriale di riserva indipendente da questo limite naturale.
Merivale, professore di economia politica a Oxford, dice I profitti dei nostri fabbricanti
dipendono dal loro potere di sfruttare il momento favorevole della forte
domanda e di risarcirsi in tal modo per il periodo della stagnazione. Questo
potere è assicurato loro solo dal comando sulle macchine e sul lavoro manuale. Essi devono essere in grado di aumentare o
diminuire la tensione nell’attività delle operazioni seconda dello stato del mercato, oppure si
trovano nell’impossibilità di sostenere l’incalzare della concorrenza, su cui è
fondata la ricchezza di questo paese».
Perfino Maltus riconosce nella sovrappopolazione una necessità
dell’industria moderna benché, secondo il suo modo di vedere ristretto, la faccia derivare da un
aumento eccessivo della popolazione operaia e non dal fatto che essa venga
posta in soprannumero,
L’economia politica, dopo aver definito
la produzione di una sovrappopolazione relativa di operai come una necessità
dell’accumulazione capitalistica, fa dire dal suo capitalista ai «soprannumero»
gettati sul lastrico dalla propria creazione di capitale addizionale: «Noi
fabbricanti facciamo per voi quello che possiamo aumentando il capitale dal
quale voi dovete trarre i mezzi di sussistenza; e voi dovete fare il resto adeguando
il vostro numero ai mezzi di sussistenza».
233
Finora è stato presupposto che
all’aumento o alla diminuzione del capitale variabile corrisponda
l’aumento o la diminuzione del numero degli operai occupati
ma, eguale restando o diminuendo il
numero degli operai,
il capitale variabile cresce più lentamente di quello che aumenti la massa
del lavoro, ?
quando l’operaio individuale fornisce più lavoro e il
suo salario quindi aumenta,
benché il prezzo del lavoro rimanga eguale o perfino
cali;
l’aumento del capitale variabile diventa, allora,
-indice di più lavoro,
-ma non di un maggiore numero di operai occupati:
il capitalista è interessato a spremere
una determinata quantità di lavoro
da un minore numero di operai
invece che
da un numero maggiore, a prezzo conveniente o
più conveniente:
in quest’ultimo caso
l’esborso
di capitale costante aumenta in rapporto alla massa del lavoro messa in moto,
nel primo caso aumenta molto più lentamente;
quanto più larga la scala di produzione,
tanto più decisivo è questo motivo:
il suo peso cresce insieme con l’accumulazione del capitale.
LA PRODUZIONE DI UNA SOVRAPPOPOLAZIONE
Si è visto che
-lo sviluppo del modo capitalistico di produzione e della forza produttiva del lavoro,
causa ed effetto allo stesso tempo dell’accumulazione,
consente al capitalista di rendere liquida, con lo
stesso esborso di capitale variabile, maggiore quantità di lavoro
sfruttando maggiormente le forze-lavoro individuali,
-il capitalista compra più forze-lavoro con il medesimo
valore capitale
sostituendo
forza-lavoro qualificata una non qualificata,
forza-lavoro matura con una immatura,
forza-lavoro maschile con la femminile,
forza-lavoro adulta con giovanile o infantil;
dunque nel progredire dell’accumulazione,
da un lato
un capitale variabile maggiore
rende liquida una maggior quantità di lavoro
senza arruolare un maggior numero di operai,
dall’altro
un capitale variabile, della medesima grandezza
rende liquida
-una maggiore
quantità di lavoro mediante una medesima massa di forza-lavoro
-un maggior
numero di forze-lavoro inferiori soppiantando quelle superiori.
La produzione di una sovrappopolazione relativa ossia la messa in
libertà di operai procede più rapida
-che non la rivoluzione tecnica del
processo di produzione accelerata col progredire dell’accumulazione
-che non la
corrispondente diminuzione proporzionale della parte variabile del capitale nei
confronti di quella costante.
234
Se i mezzi di produzione, via via che aumentano di volume e di efficacia,
diventano, in misura minore, mezzi d’occupazione degli operai,
questo stesso rapporto viene modificato
giacchè, nella misura in cui cresce la
forza produttiva del lavoro,
il capitale aumenta la sua offerta di lavoro con rapidità maggiore che non
la sua domanda di operai.
Il lavoro fuori orario della parte occupata della classe operaia ingrossa
le file della riserva operaia
viceversa,
la pressione che quest’ultima esercita,
con
la sua
concorrenza sulla prima,
costringe questa al lavoro fuori orario e alla
sottomissione al capitale:
il fatto che
una parte della classe operaia
è condannata a un ozio forzoso mediante il lavoro fuori orario
dell’altra parte
e viceversa
-diventa mezzo d’arricchimento del
capitalista singolo
-accelera allo stesso tempo la
produzione dell’esercito industriale di riserva
su una scala corrispondente al progresso
dell’accumulazione sociale.
questo elemento ha una grande importanza nella formazione della
sovrappopolazione relativa
I movimenti generali del salario sono
regolati esclusivamente
dall’espansione e dalla contrazione dell’esercito industriale di riserva,
le quali corrispondono all’alternarsi dei periodi del ciclo industriale:
dunque
non sono determinati dal movimento del
numero assoluto della popolazione operaia,
ma
-dalla mutevole proporzione in cui la classe operaia si scinde in esercito
attivo e in esercito di riserva dall’aumento
e dalla diminuzione della sovrappopolazione
-dal grado in cui questa viene assorbita o messa in libertà.
Per l’industria moderna
con il suo ciclo decennale e le sue fasi periodiche
che vengono intersecate dalle oscillazioni irregolari,
sarebbe bella una legge che regolasse l’offerta e la domanda di lavoro
non mediante l’espansione e la concentrazione del capitale
cosicché il mercato del lavoro appaia
-relativamente al di sotto del livello normale in
quanto il capitale si espande
-o
sovraccarico in quanto esso si contrae,
bensì, viceversa,
facesse dipendere il movimento del capitale dal
movimento della massa della popolazione.
235
ECONOMISTI
Questo è il dogma degli economisti per i quali
conseguenza dell’accumulazione del capitale è
l’aumento del salario che sprona a un più rapido aumento della popolazione
operaia
aumento che perdura finché il mercato del lavoro è
sovraccarico
e quindi il capitale è diventato insufficiente in
rapporto all’offerta di operai:
il salario diminuisce e allora si ha il
rovescio della medaglia;
con la diminuzione del salario la popolazione operaia viene decimata,
così il capitale ridiventa eccedente nei suoi confronti,
o secondo altri
il salario in diminuzione e l’aumento dello
sfruttamento dell’operaio accelerano di nuovo l’accumulazione,
mentre allo stesso tempo
il basso salario frena l’aumento della classe operaia;
così si ricostituisce la proporzione in cui l’offerta
di lavoro è più bassa della domanda, il salario sale:
Un bel metodo di movimento questo per la produzione capitalistica
sviluppata!
Quanto più basso è il salario tanto più alta è
l’espressione percentuale di ogni suo aumento per quanto insignificante.
I fittavoli attesero forse finché gli operai agricoli,
in seguito a questo brillante pagamento, si fossero moltiplicati al punto che
il loro salario dovesse di nuovo diminuire, secondo quanto avviene nel cervello
dogmatico dell’economista?
Introdussero più macchine, e in batter d’occhio gli
operai erano di nuovo in soprannumero in una proporzione che bastava perfino ai
fittavoli.
Ora si trovava investito nell’agricoltura più capitale
di prima e in una forma più produttiva:
con ciò la domanda di lavoro diminuì non solo
relativamente, ma in via assoluta.
Quella finzione economica
scambia le leggi che regolano il movimento generale del salario ossia
il rapporto fra classe operaia, cioè forza-lavoro
complessiva, e capitale complessivo sociale
con le leggi che distribuiscono la popolazione operaia fra le sfere
particolari della produzione
se per esempio a causa di una congiuntura favorevole
l’accumulazione è forte in una data sfera di
produzione,
i profitti vi sono maggiori di quelli medi e il
capitale addizionale preme per entrarvi,
la domanda dì lavoro e il salario saliranno naturalmente;
il salario più elevato attira nella sfera favorita una
parte maggiore della popolazione operaia,
finché la sfera sarà satura di forza-lavoro,
e finché il salario riscenderà al suo livello medio
anteriore o al di sotto di questo.
Allora l’immigrazione di operai nel ramo d’industria
in questione non solo finisce,
ma cede il suo posto alla loro emigrazione.
236
ECONOMISTI
Qui l’economista politico crede di vedere « dove e come »
-con l’aumento del salario si abbia un aumento
assoluto di operai,
-e con l’aumento assoluto degli operai una diminuzione
del salario,
ma in effetti vede soltanto
-l’oscillazione locale del mercato del lavoro entro
una sfera della produzione,
-fenomeni della
ripartizione della popolazione operaia nelle differenti sfere d’investimento
del capitale,
a seconda degli alterni bisogni di quest’ultimo.
L’esercito industriale di riserva
-preme nei periodi di stagnazione e di prosperità media
sull’esercito operaio attivo
-ne frena, nei periodi di sovrappopolazione, le
rivendicazioni:
quindi
la sovrappopolazione relativa è lo sfondo su cui si muove la legge della domanda e dell’offerta del lavoro:
essa costringe l’azione di questa legge entro i limiti
convenienti allo sfruttamento e al dominio del capitale.
L’APOLOGETA ECONOMICO
Si ricorderà che, se con l’introduzione di macchine nuove o con l’estensione delle vecchie
una porzione di capitale variabile viene trasformata in capitale costante,
l’apologeta economico
interpreta questa operazione, che «vincola» del capitale e «mette in libertà» operai,
nel senso che, viceversa, essa libera
del capitale a favore degli operai;
quello che viene messo in libertà sono
-gli operai soppiantati direttamente dalla macchina,
-il contingente di riserva e il contingente
addizionale assorbito durante l’estensione dell’azienda sulla vecchia base:
-tutti sono «messi in libertà»
-ogni capitale nuovo può disporre di essi
-che attragga questi o altri, l’effetto sulla domanda generale del lavoro sarà eguale
a zero,
finchè il capitale sarà sufficiente a liberare il mercato
dello stesso numero di operai che le macchine vi hanno
gettato:
se il capitale
ne occuperà un numero minore, la massa degli operai in
soprannumero crescerà;
-se ne occuperà un numero maggiore, la domanda generale
del lavoro crescerà solo dell’eccedenza degli operai occupati su quelli «messi
in libertà»;
l’impulso che i capitali addizionali alla ricerca d’investimenti avrebbero
dato alla domanda generale del lavoro
in ogni caso dunque
è neutralizzato dal numero degli operai
gettati sul lastrico dalla macchina:
cioè il meccanismo della produzione capitalistica fa in modo che
l’aumento del capitale non sia accompagnato da un
corrispondente aumento della domanda generale di lavoro,
questo l’apologeta lo chiama
una compensazione
della miseria, delle sofferenze degli
operai spostati nell’esercito industriale di riserva!
237
La domanda di lavoro non è tutt’uno con l’aumento
del capitale,
l’offerta di lavoro non è tutt’uno con
l’aumento della classe operaia,
in modo che due potenze indipendenti fra
di loro agiscano l’una sull’altra;
il capitale agisce contemporaneamente da tutte e due le parti:
da un lato
la sua accumulazione aumenta la domanda di lavoro
dall’altro
essa aumenta l’offerta di operai mediante la loro
«messa in libertà»,
allo stesso tempo
la pressione dei disoccupati costringe gli operai
occupati a render liquida una maggiore quantità di lavoro
in tal modo rendendo
l’offerta di lavoro in una certa misura indipendente
dall’offerta di operai.
Il movimento della legge della domanda e dell’offerta di lavoro porta a
compimento il dispotismo del capitale.
Quindi, non appena gli operai
-si rendono conto come, nella stessa misura in cui lavorano di più,
producono una maggiore ricchezza altrui
e la loro funzione, come mezzo di valorizzazione del capitale, diventa sempre
più precaria
-scoprono che il grado d’intensità della concorrenza
fra di loro dipende dalla pressione della sovrappopolazione
-cercano di organizzare una cooperazione fra operai
occupati e disoccupati
per spezzare o affievolire le conseguenze che la legge
della produzione capitalistica ha per la loro classe,
il capitale e l’economista, strepitano
sulla violazione della « sacra » legge
della domanda e dell’offerta,
infatti ogni solidarietà fra gli operai occupati e quelli disoccupati
turba l’azione «pura» di quella legge.
es.
non appenanelle colonie, circostanze avverse impediscono
la creazione dell’esercito industriale di riserva e la
dipendenza assoluta della classe operaia dalla classe dei capitalisti,
il capitale si ribella contro la «sacra» legge della domanda e dell’offerta e
cerca di raddrizzarla con mezzi coercitivi.
238
4. FORME DIFFERENTI DI ESISTENZA DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA. LA
LEGGE GENERALE DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.
Fatta astrazione dalle grandi forme,
-che si ripresentano periodicamente
-che le imprime l’alternarsi delle fasi del ciclo
industriale
in modo che essa appaia
ora acuta al momento delle crisi
ora cronica in epoca di affari fiacchi
la sovrappopolazione relativa esiste in tutte le sfumature possibili:
(ne fa parte ogni operaio durante il periodo in cui è
occupato a metà o non è occupato affatto)
ha tre forme: fluida, latente e stagnante:
nei centri dell’industria moderna- fabbriche, manifatture, ferriere
gli operai sono ora respinti, ora di nuovo attratti in
massa maggiore
cosicchè il numero degli operai occupati aumenta, seppur
in proporzione decrescente della scala di produzione, qui la
sovrappopolazione esiste in forma fluttuante;
nelle fabbriche e grandi officine, in cui sia attuata la moderna divisione
del lavoro
si fa uso di operai maschi fino al momento in cui essi
abbiano compiuto l’età giovanile,
raggiunto questo termine,
-solo un numero esiguo rimane usabile nei medesimi
rami d’industria
-mentre la maggioranza viene licenziata:
essa costituisce un elemento della sovrappopolazione fluida
una parte di essa emigra e in realtà segue il capitale
emigrante,
ne consegue che la popolazione femminile aumenta più
rapidamente di quella maschile.
Il fatto che l’aumento della massa operaia
-non saturi i bisogni di accumulazione del capitale
-e tuttavia li superi
costituisce una contraddizione del movimento stesso del capitale che ha
bisogno:
-di maggiori masse di operai di età giovanile,
-di masse minori di operai in età virile;
la contraddizione non è più stridente del fatto che, in uno stesso periodo
di tempo,
si lamenti la mancanza di braccia
e migliaia si trovino sul lastrico
perchè la divisione del lavoro li incatena a un
determinato ramo d’industria;
il consumo della forza-lavoro è talmente rapido che l’operaio di età media
-è già più o meno alla fine della sua vita.
-precipita nelle file degli operai in soprannumero
-o viene spinto da un grado alto a un grado in basso
fra gli operai della grande industria incontriamo la
più breve durata di vita.
« Il dott. Lee, funzionario dell’Ufficio d’igiene di Manchester, ha
constatato che la durata media della vita è di 38 anni per la classe benestante
e di soli 17 per la classe operaia. A Liverpool la durata media è di 35 anni per la
prima, di 15 per la seconda. In queste condizioni l’aumento assoluto di questa
frazione del proletariato richiede una forma che ingrossi il suo numero, benché
i suoi elementi si consumino presto.Dunque, si ha un rapido darsi il cambio
delle generazioni operaie. La stessa legge non ha vigore per le altre classi
della popolazione.
239
Non appena la produzione capitalistica si è impadronita dell’agricoltura,
la domanda di popolazione agricola diminuisce via via
che aumenta l’accumulazione del capitale in funzione,
senza che la sua ripulsione venga integrata da una
maggiore attrazione,
quindi una parte della popolazione rurale
si trova costantemente sul punto di passare fra il
proletariato urbano o il proletariato delle manifatture,
fluisce costantemente
il suo flusso verso le città presuppone nelle campagne
una sovrappopolazione latente
il cui volume si fa visibile nel momento in cui i canali
di deflusso si schiudono:
perciò l’operaio agricolo
-viene depresso al minimo del salario
-si trova nel pauperismo.
La terza categoria della sovrappopolazione relativa, quella stagnante,
costituisce
-una parte dell’esercito operaio attivo, ma con
un’occupazione irregolare,
in tal modo
-offre al capitale un serbatoio inesauribile di
forza-lavoro disponibile,
-le sue condizioni di vita scendono al di sotto del
livello medio della classe operaia,
-e questo ne fa la larga base di particolari rami di
sfruttamento del capitale;
le sue caratteristiche sono:
-massimo di tempo di lavoro e minimo di salario,
-la sua forma principale è nel lavoro a domicilio:
prende le reclute fra gli operai in soprannumero della
grande industria e della grande agricoltura
specialmente fra quelli dei rami industriali in rovina
nei quali
-l’artigiano soccombe alla manifattura
-quest’ultima soccombe alle macchine;
essa costituisce un elemento della classe operaia che
-si riproduce
-si perpetua
-partecipa all’aumento della classe operaia
in misura maggiore che non gli altri suoi elementi,
la grandezza assoluta delle famiglie è in proporzione inversa
del livello del salario
quindi
della massa dei mezzi di sussistenza di cui dispongono
le differenti categorie operaie.
Questa legge della società capitalistica suonerebbe assurda fra i selvaggi
o anche fra colonizzatori inciviliti:
essa ricorda la riproduzione in massa di alcune specie di animali
individualmente deboli e spietatamente cacciati;
240
Il sedimento più basso della sovrappopolazione relativa alberga nella
sfera del
pauperismo
-la sua produzione è compresa nella produzione della sovrappopolazione
relativa,
la sua necessità nella necessità di questa,
costituisce
-una condizione d’esistenza della produzione capitalistica e dello
sviluppo della ricchezza
-il ricovero degli invalidi dell’esercito operaio attivo
-il peso morto dell’esercito industriale di riserva:
-consiste di tre categorie:
prima: persone capaci di lavorare, la sua massa si ingrossa ad ogni crisi e
diminuisce ad ogni ripresa degli affari.
seconda: orfani e figli di poveri, sono i candidati dell’esercito industriale di
riserva
e, in epoche di grande slancio, vengono arruolati in
massa nell’esercito operaio attivo,
terza: : individui mandati in rovina dalla mancanza di mobilità causata dalla
divisione del lavoro:
le vittime dell’industria, il cui numero cresce con il
crescere del macchinario pericoloso, dello sfruttamento delle miniere, gente
finita male, incapace di lavorare, mutilati;
Quanto maggiori sono
-la ricchezza sociale,
-il capitale in funzione,
-il volume del suo aumento,
-la grandezza del proletariato e la forza produttiva
del suo lavoro,
tanto maggiore è l’esercito industriale di riserva;
la forza-lavoro disponibile è sviluppata dalle stesse cause che sviluppano
la forza d’espansione del capitale:
dunque
la grandezza dell’esercito industriale di riserva cresce insieme con le
potenze della ricchezza,
quanto maggiore sarà l’esercito di riserva in
rapporto all’esercito operaio attivo,
tanto più in massa si consoliderà la sovrappopolazione
infine
quanto maggiori lo strato dei Lazzari della classe operaia e l’esercito
industriale di riserva
tanto maggiore il pauperismo.
Questa è la legge assoluta, generale dell’accumulazione capitalistica.
Quindi
si capisce la follia di quella sapienza economica
che predica agli operai di adeguare il loro numero ai
bisogni di valorizzazione del capitale:
il meccanismo della produzione e dell’accumulazione
capitalistica adegua
questo numero a questi bisogni di valorizzazione
tramite
-la creazione di una sovrappopolazione relativa ossia
di un esercito industriale di riserva
-la miseria di strati sempre crescenti dell’esercito
operaio attivo e il peso morto del pauperismo.
241
La legge per la quale una massa crescente di mezzi di
produzione,
grazie al progresso della produttività del lavoro
sociale,
può essere messa in moto mediante un dispendio di forza umana
progressivamente decrescente,
questa legge si esprime su base capitalistica
quindi
-non è l’operaio che impiega i mezzi di lavoro
-bensì sono i mezzi di lavoro che impiegano l’operaio
in questo modo:
quanto più alta è la forza produttiva del lavoro,
tanto più grande è la pressione degli operai sui mezzi
della loro occupazione
quindi
tanto più precaria la loro condizione d’esistenza:
vendita della propria forza per l’aumento della
ricchezza altrui ossia per l’autovalorizzazione del capitale.
L’aumento dei mezzi di produzione e della produttività
del lavoro più rapido di quello della popolazione produttiva si esprime quindi
capitalisticamente, viceversa, nell’affermazione che la popolazione operaia
cresce sempre più rapidamente del bisogno di valorizzazione del capitale.
Abbiamo visto nella quarta sezione, nell’analisi della produzione del
plusvalore relativo, che
entro il sistema capitalistico
tutti i metodi per incrementare la forza produttiva
sociale del lavoro si attuano a spese dell’operaio
tutti i mezzi per lo sviluppo della produzione
-si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento,
-mutilano l’operaio facendone un uomo parziale,
-lo avviliscono a insignificante appendice della macchina,
-gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in
cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza autonoma;
-deformano le condizioni nelle quali egli lavora,
-lo assoggettano a un dispotismo durante il processo
lavorativo,
-trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro.
Tutti i metodi per la produzione di plusvalore sono, al tempo stesso,
metodi dell’accumulazione
e ogni estensione dell’accumulazione
diventa, viceversa, mezzo per lo sviluppo di quei metodi:
ne consegue che nella misura in cui il capitale si accumula,
-la situazione dell’operaio, qualunque sia la sua
retribuzione, deve peggiorare.
la legge che equilibra
-l’esercito industriale di riserva
-e volume e energia dell’accumulazione
incatena l’operaio al capitale in maniera più salda
determina un’accumulazione di miseria proporzionata
all’accumulazione di capitale;
dunque l’accumulazione di ricchezza da parte del capitalista
è, dalla parte della
classe accumulazione di miseria, schiavitù, degradazione morale.
242
CAPITOLO 24
LA COSIDDETTA ACCUMULAZIONE ORIGINARIA
L’ARCANO DELL’ACCUMULAZIONE ORIGINARIA.
Abbiamo visto
come il denaro viene trasformato in capitale,
come col capitale si fa il plusvalore,
come dal plusvalore si
trae più
capitale,
l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore
il plusvalore presuppone la produzione capitalistica
questa presuppone la presenza di capitale e di forza-lavoro di notevole entità in mano ai
produttori di merci:
dunque
tutto questo movimento sembra aggirarsi in un circolo
vizioso dal quale riusciamo ad uscire solo supponendo
un’accumulazione «originaria» (Smith) precedente
l’accumulazione capitalistica:
una accumulazione è il punto di partenza
del modo di produzione capitalistico.
Nell’economia politica quest’accumulazione originaria fa la parte del peccato originale nella
teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò il peccato colpì il genere
umano.
Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato.
C’era una volta, da una parte un’élite diligente e risparmiatrice,
e dall’altra degli sciagurati oziosi che sperperavano il proprio e anche
più.
Però la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l’uomo
sia stato condannato a mangiare il suo pane nel sudore della fronte;
invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia
della gente che non ha affatto bisogno di faticare.
i primi hanno accumulato ricchezza e che gli altri hanno avuto da vendere
che sè stessa nonostante il suo lavoro,
la ricchezza dei pochi cresce continuamente, benché essi abbiano cessato
di lavorare.
Thiers tali insipide bambinate con solennità dell’uomo di
Stato, allo scopo di difendere la p r o p r i é t é.
Nella storia reale la parte importante è rappresentata, come è noto, dalla
conquista, dal soggiogamento, dall’assassinio e dalla rapina, in breve dalla
violenza.
Per l’economia politica
diritto e lavoro sono gli unici mezzi d’arricchimento
di fatto
denaro, merce, mezzi di produzione e di sussistenza: non sono
capitale fin da principio,
occorre che siano trasformati in
capitale,
questa trasformazione può avvenire a
certe condizioni:
debbono mettersi in contatto due specie di possessori di merce:
da una parte
proprietari di denaro, mezzi di produzione e di sussistenza,
ai quali importa valorizzare, mediante l’acquisto di forza-lavoro altrui,
i valori posseduti;
dall’altra parte operai liberi, venditori della propria forza-lavoro quindi
venditori di lavoro:
operai liberi nel duplice senso che
-non fanno parte dei mezzi di produzione come schiavi
e i servi della gleba
-ad essi appartengono i mezzi di produzione come al
contadino coltivatore diretto
- anzi ne sono privi.
243
Con questa polarizzazione del mercato delle merci
si hanno le condizioni fondamentali della produzione capitalistica:
il rapporto capitalistico ha come presupposto:
-la separazione fra i lavoratori e la proprietà delle
condizioni di realizzazione del lavoro
-la produzione capitalistica mantiene quella
separazione e la riproduce su scala sempre crescente;
dunque
il processo che crea il rapporto capitalistico
è il processo di separazione dalla proprietà delle proprie condizioni di
lavoro
questo processo trasforma
-in capitale i mezzi sociali di sussistenza e di
produzione,
-i produttori diretti in operai salariati:
dunque
l’accumulazione originaria è il processo storico di separazione del produttore dai mezzi
di produzione,
il processo appare originario perchè
costituisce
la preistoria del capitale e del modo di
produzione ad esso corrispondente.
La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla
struttura economica della società feudale:
la dissoluzione di questa ha liberato gli elementi di quella:
l’operaio, ha potuto disporre della sua persona
dopo aver cessato
-di essere legato alla gleba
-di essere servo di un’altra persona
inoltre
l’operaio per divenire libero venditore di forza-lavoro che porta la sua
merce in un mercato
ha dovuto sottrarsi
-al dominio delle corporazioni:
-ai loro ordinamenti su apprendisti garzoni
-all’impaccio delle loro prescrizioni per il lavoro;
il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si
presenta
da un lato
come loro liberazione dalla servitù e dalla
coercizione corporativa
dall’altro lato
questi affrancati diventano venditori di sè stessi solo
dopo essere stati spogliati
-dei loro mezzi di produzione
-delle garanzie d’esistenza offerte dalle istituzioni
feudali.
I capitalisti industriali
hanno dovuto soppiantare i maestri artigiani delle corporazioni e i
signori feudali possessori delle fonti di ricchezza:
da questo lato l’ascesa dei capitalisti si presenta
come frutto di una lotta
-contro il potere feudale e i suoi privilegi,
-contro le corporazioni e i vincoli posti da queste al
libero sviluppo della produzione e allo sfruttamento dell’uomo da parte
dell’uomo.
244
Il punto di partenza dello sviluppo che genera tanto l’operaio salariato quanto il capitalista è stato
-la servitù del lavoratore,
la sua continuazione è consistita
-in un cambiamento di forma di tale asservimento:
-nella trasformazione dello sfruttamento feudale in
sfruttamento capitalistico.
Benché i primi inizi della produzione capitalistica si incontrino fin dai
secoli XIV e XV in alcune città del Mediterraneo,
l’era capitalistica data solo dal secolo XVI:
-l’abolizione della servitù della gleba è compiuta
-va impallidendo l’esistenza di città sovrane.
Nella storia dell’accumulazione originaria fanno epoca dal punto
di vista storico
-i rivolgimenti che servono di leva alla classe dei
capitalisti in formazione
-i momenti in cui grandi masse di uomini sono separate
dai loro mezzi di sussistenza e gettate sul mercato del lavoro come
proletariato
il fondamento di tutto il processo è costituito da
l’espropriazione dei contadini e la loro espulsione dalle terre
Solo nell’Inghilterra, che perciò prendiamo come esempio, essa possiede
forma classica.
Il furto dei beni ecclesiastici,
l’alienazione fraudolenta dei beni dello Stato,
il furto della proprietà comune,
la trasformazione usurpatoria della proprietà feudale
e della proprietà dei clan in proprietà privata moderna:
ecco altrettanti metodi idillici dell’accumulazione originaria.
Questi metodi
conquistarono il campo all’agricoltura capitalistica,
incorporarono la terra al capitale
e crearono all’industria delle città la necessaria fornitura di
proletariato.
245
2. ESPROPRIAZIONE DELLA POPOLAZIONE RURALE E SUA ESPULSIONE DALLE TERRE.
Nell’ultima parte del secolo XIV la servitù della gleba era scomparsa in
Inghilterra:
la maggioranza della popolazione consisteva di liberi
contadini autonomi,
il libero fittavolo aveva soppiantato nei fondi il castaldo
anticamente anch’egli servo della gleba.
gli operai salariati dell’agricoltura consistevano
-in parte di contadini che valorizzavano il loro tempo
libero lavorando presso i proprietari fondiari,
-in parte di una classe poco numerosa di veri operai
salariati, indipendenti
in quanto
-veniva loro assegnato, oltre al salario,
terreno arabile
e cottages
-godevano, come i contadini, dell’usufrutto delle
terre comunali sulle quali pascolava il loro bestiame.
Nei paesi d’Europa la produzione feudale è caratterizzata dalla
spartizione delle terre fra i contadini obbligati
la potenza del signore feudale, come quella di ogni
sovrano
-non poggiava sulle sue rendite
-ma sul numero dei suoi sudditi e questo dipendeva dal numero dei
coltivatori autonomi;
quindi benché
il suolo inglese venisse diviso, dopo la conquista normanna, in baronie
era disseminato di piccoli poderi di contadini, interrotti
da fondi signorili di una certa entità;
tale situazione, accompagnata dalla fioritura delle città che
contraddistingue il secolo XV, consentì
-una ricchezza popolare
-ma escludeva la ricchezza capitalistica.
Il preludio del rivolgimento che creò il fondamento del modo di produzione
capitalistico
si ha nell’ultimo terzo del secolo XV e nei primi decenni del XVI:
lo scioglimento dei seguiti feudali gettò sul mercato del lavoro una massa
di proletari,
benché il potere regio affrettasse lo scioglimento di quei seguiti, non ne fu
l’unica causa;
il grande signore feudale, in opposizione alla monarchia e al parlamento,
creò un proletariato incomparabilmente più grande
scacciando i contadini dalle terre sulle quali avevano titolo giuridico
feudale
e usurpando le loro terre.
In Inghilterra l’impulso a quest’azione fu dato
dalla fioritura della manifattura laniera fiamminga e dal corrispondente
aumento dei prezzi della lana:
le guerre feudali avevano inghiottito la vecchia
nobiltà feudale
e la nuova era figlia del proprio tempo per il quale
il denaro era il potere dei poteri:
quindi la sua parola d’ordine fu: trasformare i campi in pascoli da
pecore.
Lo Harrison, descrive come l’espropriazione dei piccoli contadini manda in
rovina il paese: Le abitazioni dei contadini e i cottages degli operai
agricoli vennero abbattuti con la violenza o abbandonati allarovina. sono
scomparse innumerevoli case e piccole
proprietà contadine, la terra nutre meno gente, molte città sono decadute, benché ne
fioriscano alcune nuove.città e villaggi distrutti per farne pasture per le
pecore, e dove rimangono solo le case dei signori». La legislazione era spaventata
dinanzi a questo rivolgimento: Bacone dice: «aumentarono le lamentele
sulla trasformazione di terreno arabile in pascoli curati da pochi pastori; e
le affittanze a tempo, a vita e a disdetta annua (delle quali viveva una gran
parte di Piccoli contadini indipendenti vennero trasformate in tenute gestite
dal proprietario fondiario. Questo provocò una decadenza della popolazione e un
declino delle città, delle chiese, delle decime». Un Atto di Enrico VII, proibì la distruzione di ogni abitazione di
contadini che fosse legata a almeno venti acri di terreno. vi si dice «vanno
accumulandosi in poche mani molte affittanze e grandi mandrie di bestiame, con
il che le rendite fondiarie sono molto cresciute e la aratura è molto decaduta,
chiese e case abbattute, una massa di popolazione è stata privata della
possibilità di mantenersiQuindi la legge ordina la ricostruzione degli
edifici di fattorie distrutti, fissa quale dev’essere il rapporto fra terra da
grano e terra da pascolo, lamentele popolari e legislazione contro
l’espropriazione dei piccoli fittavoli e contadini, legislazione che dura per
150 anni da Enrico VII in poi, rimasero senza effetto.
246
Viceversa
il sistema capitalistico chiedeva
-una condizione servile della massa del popolo;
-la trasformazione di questa in mercenari,
- la trasformazione dei suoi mezzi di lavoro in
capitale.
Nuovo impulso ebbe il processo d’espropriazione forzosa della massa della
popolazione nel secolo XVI, dalla Riforma e dal colossale furto dei beni
ecclesiastici.
Al momento della Riforma la Chiesa cattolica era proprietaria feudale di
gran parte del suolo inglese:
la soppressione dei conventi ne gettò gli abitanti nel
proletariato
i beni ecclesiastici
-vennero donati a rapaci favoriti regi
-o venduti a prezzo irrisorio a fittavoli e cittadini
speculatori, che scacciavano gli antichi fittavoli riunendo i loro poderi in
grandi unità: la proprietà che la legge garantiva agli agricoltori venne
tacitamente confiscata:
infine, durante il regno di Elisabetta
si fu costretti a riconoscere ufficialmente il
pauperismo con l’introduzione della tassa dei poveri,
la proprietà ecclesiastica costituiva il baluardo dell’antico
ordinamento della proprietà fondiaria,
e caduta la proprietà ecclesiastica: neppur questo ordinamento
si potè più sostenere;
ancora negli ultimi decenni del secolo XVII
i contadini indipendenti erano più
numerosi dei fittavoli.
prescindiamo dai motivi propulsori della rivoluzione agricola che hanno
carattere economico:
qui cerchiamo le sue leve violente:
sotto gli Stuart
i proprietari fondiari imposero in forma legale
un’usurpazione:
-abolirono la costituzione feudale del suolo, cioè
scaricarono sullo Stato gli obblighi di servizio che essa comportava,
-indennizzarono Io Stato per mezzo di tasse sui
contadini e sulla restante popolazione,
-rivendicarono la proprietà privata moderna su quei
fondi, sui quali avevano solo titoli feudali,
-e si degnarono di concedere benignamente le leggi sul
domicilio;
con Guglielmo III di Orange,
salirono al potere
i facitori di plusvalore, fondiari e capitalistici,
che inaugurarono l’era col furto ai danni dei beni
demaniali:
-le terre demaniali venivano regalate,
-vendute a prezzo irrisorio,
-o annesse a fondi privati per usurpazione diretta
senza osservare l’etichetta legale:
i beni statali appropriati costituiscono col furto dei beni della chiesa
la base degli odierni domini principeschi dell’oligarchia inglese;
i capitalisti borghesi favorivano l’operazione
fra l’altro allo scopo
-di trasformare i beni fondiari in un articolo di
commercio
-di estendere il settore della grande impresa
agricola,
-di aumentare l’approvvigionamento di proletari provenienti
dalle campagne,
inoltre, la nuova aristocrazia fondiaria era alleata
con la nuova alta finanza e col grande manifatturiero
che si appoggiava ai dazi protettivi.
247
Si è visto come
l’usurpazione violenta della proprietà comune,
accompagnata dalla trasformazione del terreno arabile
in pascolo,
cominci alla fine del secolo XV e continui nel secolo XVI.
allora
il processo si attuò come azione violenta individuale
adessso
la legge diventa
veicolo di rapina delle terre del popolo: la forma parlamentare del furto è
quella dei decreti
per mezzo dei quali i signori dei fondi regalano a sè,
come proprietà privata, terra del popolo,
sono decreti di espropriazione del popolo.
Il furto dei beni dello Stato e della proprietà comunale consentirono le grandi
affittanze di capitale o di mercanti
che della popolazione rurale proletariato per l’industria.
Il secolo XVIII non ha compreso l’identità fra
ricchezza nazionale e povertà popolare
così a fondo come il secolo XIX, quindi
nella letteratura economica di quel tempo si ha una polemica sulla Inclosure of
Commons,
riporto alcuni passi poichè la situazione vi è resa
vividamente:
«In molte parrocchie dello Hertfordshire»
«ventiquattro fattorie che contavano in media da 50 a 150 acri l’una, sono
state fuse in tre fattorie» «Nel
Northamptonshire e nel Lincolnshire la recinzione delle terre comuni ha
avuto luogo su larga scala, e la maggior parte dei nuovi fondi signorili sorti
con le recinzioni sono ora trasformati in pascoli; Rovine di vecchie case di
abitazione, di granai, stalle sono l’unica traccia dei vecchi abitanti.
Nella maggior parte delle parrocchie dove le recinzioni
sono state introdotte solo da quindici o vent’anni, i proprietari fondiari sono
pochissimi in confronto della gente che lavorava la terra quando vi erano i
campi aperti.
Non è cosa insolita vedere che ricchi allevatori di
bestiame usurpano grandi signorie da poco recinte che prima si trovavano in
mano a 20-30 fittavoli e di proprietari minori e contadini. Tutti costoro sono
stati gettati fuori dei loro possessi assieme alle famiglie, oltre a molte
altre famiglie che trovavano occupazione e sostentamento per mezzo loro».
Anche gli scrittori che difendono le inclosures ammettono che queste
ultime aumentano il monopolio delle grandi fattorie, fanno salire i prezzi dei
mezzi di sussistenza e producono lo spopolamento... e anche la recinzione di
terre deserte, come viene condotta oggi, ruba al povero una parte dei suoi
mezzi di sussistenza e fa ingrossare fattorie che sono già troppo grandi»
Il dott. Price dice: « Se la terra capita in mano a pochi grossi fittavoli,
i piccoli fittavoli e piccoli proprietari vengono trasformati in gente che
deve guadagnare la propria sussistenza lavorando per altri e che è costretta ad
andar al mercato per tutte le cose di cui ha bisogno.
Cresceranno città e manifatture, perchè viene cacciata
nelle città e nelle manifatture più gente che cerca occupazione
così riassume l’effetto delle recinzioni: « la
situazione delle classi inferiori della popolazione è peggiorata sotto ogni
punto di vista; i proprietari fondiari e fittavoli minori sono stati abbassati
allo stato di giornalieri e mercenari è diventato più difficile guadagnarsi la
vita in questa situazione.
Sentiamo un difensore delle inclosures e avversario del dott. Price:
«Non è esatto che si abbia spopolamento perchè non si
vede più gente sciupare il proprio lavoro in campi aperti.
Se dopo la trasformazione dei piccoli contadini in
gente che deve lavorare per altri, viene resa liquida una maggiore quantità di
lavoro, questo è un vantaggio che la
nazione deve augurarsi. Il prodotto sarà maggiore se il loro lavoro combinato
sarà adoprato in una sola affittanza; così si forma il plusprodotto per le
manifatture, e con ciò le manifatture, che sono una delle miniere d’oro di
questa nazione, vengono accresciute in proporzione della quantità di grano
prodotta»
248
Nel secolo XIX s’è perduta perfino la memoria del nesso fra agricoltura e
proprietà comune:
l’ultimo grande processo di espropriazione degli
agricoltori con la loro espulsione dalle terre
è stato l’estromissione dei piccoli fittavoli dalle
grandi proprietà,
tutti i metodi inglesi esaminati finora sono culminati
nel clearing
quel che significhi clearing in senso proprio lo apprendiamo
nell’Alta Scozia:
qui
il processo si contraddistingue per il suo carattere
sistematico,
-per la grandezza della scala su cui è compiuto d’un
tratto
-per la forma particolare della proprietà fondiaria
sottratta con la truffa:
i celti dell’Alta Scozia erano composti di clan,
ognuno dei quali era proprietario del suolo dove si era stabilito,
il rappresentante del clan, il suo capo era solo
proprietario titolare di questo suolo
quando il governo inglese riuscì a sopprimere le guerre
interne di questi e le loro incursioni nella Bassa Scozia
i capi dei clan non abbandonarono il loro antico
mestiere di briganti
si limitarono a cambiarne la forma:
trasformarono il loro diritto di proprietà titolare in diritto di proprietà privata
e poichè incontrarono resistenza fra la gente dei clan
la cacciarono a viva forza.
Nel secolo XVIII venne proibita l’emigrazione ai
gaelici scacciati dalle campagne,
per spingerli con la forza a Glasgow e in altre città
manifatturiere;
esempio del metodo dominante nel secolo XIX i clearing
della
duchessa di Sutherland
che risolsedi trasformare in pastura per le pecore
l’intera contea, la cui popolazione si era già ridotta attraverso precedenti
processi del genere
3.000 famiglie vennero cacciati e sterminati
i loro villaggi distrutti e rasi al suolo
i loro campi furono trasformati in praterie:
così quella dama si appropriò 794.000 acri di terra che da tempi
immemorabili apparteneva al clan.
Agli abitanti che aveva cacciato assegnò all’incirca 6.000 acri, due acri
per famiglia, in riva al mare.
la duchessa giunse perfino ad affittarli alla gente del clan che da secoli
aveva versato il proprio sangue per la famiglia dei Sutherland,
poi divise tutta la terra del clan, che aveva rubato, in 29 grandi pascoli
per le pecore, ognuno abitato da una sola famiglia, per lo più servi di
fattoria inglesi:
15.000 gaelici erano già sostituiti da 131.000 pecore.
La parte gettata sulla riva del mare cercò di vivere di pesca; divennero
anfibi e vissero metà sul mare metà sulla terra
gli uomini grandi vi annusarono qualcosa di profittevole e affittarono la
riva del mare ai grandi commercianti di pesce londinesi: i gaelici vennero
cacciati per la seconda volta.
« Nell’Altopiano », dice il Somers nel 1848, « abbiamo ora una linea
ininterrotta di boschi, mentre in altre parti dell’Altopiano si trovano i nuovi
parchi La
trasformazione delle loro terre in pascoli per le pecore... ha cacciato i
gaelici su terre aride. Adesso cervi e caprioli cominciano a sostituire le
pecore, e spingono i gaelici in una miseria ancor più schiacciante.
Le boscaglie da selvaggina non possono coesistere con
la popolazione: in ogni caso o le une o l’altra devono cedere il posto.
Questo movimento fra i proprietari dell’Altopiano è
dovuto in parte alla moda, al solletico aristocratico, alla passione per la
caccia, ma in parte quei proprietari esercitano il commercio della selvaggina
con esclusiva mira al profitto. Cervi e caprioli hanno avuto maggiore spazio a
disposizione, mentre gli uomini sono stati cacciati in un cerchio sempre più
ristretto. Si è rubata al popolo una libertà dopo l’altra. I proprietari
perseguono come principio la loro azione di dispersione del popolo, come se si
trattasse di una necessità dell’agricoltura».
249
3. LEGISLAZIONE SANGUINARIA CONTRO GLI ESPROPRIATI DALLA FINE DEL SECOLO
XV IN POI. LEGGI PER L’ABBASSAMENTO DEI SALARI.
Non era possibile che gli uomini scacciati dalla terra
per lo scioglimento dei seguiti feudali e per l’espropriazione violenta,
fossero assorbiti dalla manifattura con la stessa
rapidità con la quale quel proletariato veniva messo al mondo;
neppure quegli uomin, lanciati all’improvviso fuori
dall’orbita abituale della loro vita,
potevano adattarsi con rapidità alla disciplina della
nuova situazione:
si trasformarono così in mendicanti, briganti,
vagabondi nella maggior parte dei casi sotto la pressione delle circostanze;
alla fine del secolo XV e durante tutto il secolo XVI
si ha perciò in tutta l’Europa
una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio:
i padri dell’attuale classe operaia furono puniti per
la trasformazione in vagabondi e in miserabili subita,
la legislazione li
trattò come delinquenti «volontari »
partì dal presupposto
che dipendesse dalla loro buona volontà
il continuare a
lavorare o meno nelle antiche condizioni non più esistenti.
Così la popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata
dalla sua terra, e resa vagabonda,
veniva spinta con leggi a sottomettersi, a forza di
frusta, di marchio a fuoco, di torture,
a quella disciplina necessaria al sistema del lavoro
salariato.
Non basta
che le condizioni di lavoro si presentino come
capitale a un polo e che all’altro polo si presentino uomini che non hanno
altro da vendere che la propria forza-lavoro,
non basta
costringere questi uomini a vendersi volontariamente.
Man mano che la produzione capitalistica procede,
si sviluppa una classe operaia che, per educazione,
tradizione, abitudine
riconosce come leggi naturali le esigenze di quel modo
di produzione;
l’organizzazione del processo di produzione capitalistico spezza ogni resistenza,
l’organizzazione del processo di produzione capitalistico spezza ogni resistenza,
la produzione di una sovrappopolazione relativa
tiene la legge dell’offerta e della domanda di lavoro,
e quindi il salario lavorativo
entro un binario che corrisponde ai bisogni di
valorizzazione del capitale,
l’operaio può rimanere affidato alle «leggi naturali
della produzione» cioè alla sua dipendenza dal capitale
che nasce dalle stesse condizioni della produzione
e che viene garantita e perpetuata da esse.
Altrimenti vanno le cose durante la genesi storica della produzione
capitalistica:
la borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere
dello Stato
e ne fa uso,
per « regolare » il salario cioè per costringerlo
entro limiti convenienti a chi vuol fare del plusvalore,
per prolungare la giornata lavorativa
e per mantenere l’operaio stesso a un grado normale di
dipendenza:
questo è un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria.
250
La classe degli operai salariati, è sorta nella seconda metà del secolo
XIV formava allora e nel secolo successivo solo un elemento costitutivo molto ristretto dalla
popolazione,
la sua posizione aveva una forte protezione nella
proprietà contadina autonoma nelle campagne e nell’organizzazione corporativa
nelle città:
tanto nelle campagne che nelle città padroni e operai
erano socialmente vicini:
la subordinazione del lavoro al capitale era solo
formale
cioè il modo di produzione non aveva ancora carattere specificamente
capitalistico:
l’elemento variabile del capitale prevaleva fortemente
su quello costante,
dunque la richiesta di lavoro salariato cresceva rapidamente
ad ogni accumulazione del capitale,
mentre l’offerta di lavoro salariato seguiva lentamente,
una parte notevole del prodotto nazionale,
più tardi trasformata in fondo di accumulazione del capitale,
allora passava ancora nel fondo di consumo dell’operaio.
La legislazione sul lavoro salariato
viene inaugurata in Inghilterra dallo Statute of Labourers di Edoardo III
1349
le corrisponde in Francia l’ordinanza del 1350, promulgata in nome di re
Giovanni:
le legislazioni inglese e francese si svolgono
parallelamente e sono identiche per il contenuto;
le disposizioni degli statuti operai sui contratti fra
padroni e operai, sui licenziamenti a termine,
che consentono la querela per rottura di contratto solo
in tribunale civile se contro il padrone,
ma in tribunale penale se contro l’operaio rimangono
ancora in pieno vigore anche oggi.
Le atroci leggi contro le coalizioni sono cadute, solo
in parte, nel 1825 di fronte all’atteggiamento minaccioso del proletariato.
Alcuni residui dei vecchi statuti sono scomparsi solo
nel 1859.
E finalmente l’Atto del parlamento del 29 giugno 1871
pretende di eliminare le ultime tracce di quella legislazione di classe con il
riconoscimento legale delle Trades’ Unions.
Ma un Atto del parlamento della stessa data ristabiliva
di fatto la vecchia situazione in nuova forma,
con questo giuoco di prestigio parlamentare i mezzi dei
quali gli operai possono servirsi in uno sciopero
venivano di fatto sottratti al diritto comune e posti
sotto una legislazione penale eccezionale
la cui interpretazione spettava ai fabbricanti stessi nella
loro qualità di giudici dì pace.
La stessa Camera dei Comuni e lo stesso signor Gladstone
avevano presentato due anni prima un disegno di legge per l’abolizione di tutte
le leggi penali d’eccezione contro la classe operaia,
il disegno non fu fatto arrivare oltre la seconda
lettura, la cosa fu trascinata per le lunghe
finchè il partito liberale trovò, per mezzo di
un’alleanza con i tories,
il coraggio di volgersi contro lo stesso proletariato
che l’aveva condotto al potere.
il partito liberale permise ai giudici inglesi, sempre
compiacenti al servizio delle classi dominanti,
di riesumare le leggi sulle «cospirazioni» e di
applicarle alle coalizioni operaie.
Si vede dunque che il parlamento inglese ha rinunciato di
controvoglia e sotto la pressione delle masse
alle leggi contro gli scioperi e le Trades’ Unions,
dopo aver tenuto per cinque secoli, con egoismo
spudorato, la posizione di una Trade Union permanente dei capitalisti contro
gli operai.
Fin dall’inizio della tempesta rivoluzionaria la borghesia francese osò
sottrarre agli operai il diritto d’associazione che si erano appena
conquistato: con decreto del 1791 la borghesia dichiarò che ogni
coalizione operaia era un «attentato contro la libertà e la dichiarazione dei
diritti dell’uomo», punibile con multa e la privazione dei diritti civili
attivi
questa legge che costringe, con una misura di polizia
statale, entro limiti comodi al capitale la lotta di concorrenza fra capitale e
lavoro,
è sopravvissuta a rivoluzioni e a cambiamenti dinastici.il
Terrore la lasciò intatta, solo di recente è stata cancellata dal codice penale.
251
7. TENDENZA STORICA DELL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA.
A cosa si riduce l’accumulazione originaria del capitale, cioè la sua
genesi storica?
in quanto
non è trasformazione immediata di schiavi e di servi
della gleba in operai salariati, cioè semplice cambiamento di forma,
l’accumulazione originaria del capitale
significa solo l’espropriazione dei produttori
immediati
cioè la dissoluzione della proprietà privata fondata sul
lavoro personale,
la proprietà privata, come antitesi della proprietà
sociale, collettiva,
esiste soltanto là dove i mezzi di lavoro e le
condizioni esterne del lavoro appartengono a privati,
a seconda che questi privati sono i lavoratori o i non
lavoratori
anche la proprietà privata assume carattere
differente:
le infinite sfumature che la proprietà privata
presenta a prima vista
sono soltanto un riflesso degli stati intermedi che
stanno fra questi due estremi;
La proprietà privata del lavoratore sui suoi mezzi di produzione è il fondamento
della piccola azienda;
la piccola azienda è condizione necessaria
dello sviluppo della produzione sociale e della libera
individualità dell’operaio stesso.
Questo modo di produzione esiste anche nella
schiavitù, nella servitù della gleba, in altri rapporti di dipendenza, ma esso
fiorisce, conquista la sua forma classica e adeguata
soltanto
là dove il lavoratore è libero proprietario privato
delle proprie condizioni di lavoro:
quando
il contadino è libero proprietario del campo che coltiva
e l’artigiano dello strumento che maneggia da virtuoso.
Questo modo di produzione presuppone
sminuzzamento del suolo e dei mezzi di produzione;
esclude, oltre alla concentrazione dei mezzi di produzione,
la cooperazione,
la divisione del lavoro all’interno degli stessi
processi di produzione,
la dominazione e la disciplina della natura da parte
della società,
il libero sviluppo delle forze produttive sociali:
è compatibile solo con dei limiti ristretti, spontanei
e naturali, della produzione e della società.
252
Quando è salito a un certo grado, questo modo di produzione genera i mezzi
materiali della propria distruzione:
a partire da questo momento
si muovono forze e passioni che si sentono incatenate
da quel modo di produzione:
esso deve essere distrutto, e viene distrutto:
la sua distruzione
è la trasformazione dei mezzi di produzione individuali e dispersi in
mezzi di produzione socialmente concentrati
quindi la trasformazione della proprietà minuscola di
molti nella proprietà colossale di pochi,
quindi l’espropriazione della gran massa della
popolazione, che viene privata della terra, dei mezzi di sussistenza e degli
strumenti di lavoro;
questa terribile e difficile espropriazione della massa della popolazione
costituisce la preistoria del capitale,
essa comprende tutt’una serie di metodi violenti:
l’espropriazione dei produttori immediati viene
compiuta con il vandalismo più spietato
la proprietà privata acquistata col proprio lavoro,
fondata sulla unione intrinseca della singola e
autonoma individualità lavoratrice e delle sue condizioni di lavoro, viene
soppiantata dalla proprietà privata capitalistica
che è fondata sullo sfruttamento di lavoro che è sì lavoro altrui,
ma, formalmente è libero.
Appena questo processo di trasformazione ha decomposto a
sufficienza l’antica società in profondità
appena i lavoratori sono trasformati in proletari e le loro
condizioni di lavoro in capitale,
appena il modo di produzione capitalistico si regge su basi
proprie:
assumono una nuova forma
la ulteriore socializzazione del lavoro
l’ulteriore trasformazione della terra e degli altri
mezzi di produzione in mezzi di produzione sfruttati socialmente: cioè in mezzi
di produzione collettivi
e quindi
assume una forma nuova anche l’ulteriore
espropriazione dei proprietari privati.
Ora, quello che deve essere espropriato
non è più il lavoratore indipendente che lavora per sè,
ma il capitalista che sfrutta molti operai.
Questa espropriazione si compie
attraverso il giuoco delle leggi immanenti della
stessa produzione capitalistica,
attraverso la centralizzazione dei capitali,
ogni capitalista ne ammazza molti altri:
di pari passo con questa centralizzazione ossia con l’espropriazione
di molti capitalisti da parte di pochi,
si sviluppano su scala sempre crescente
la forma cooperativa del processo di lavoro,
la consapevole applicazione tecnica della scienza,
lo sfruttamento metodico della terra,
la trasformazione dei mezzi di lavoro in mezzi di lavoro
utilizzabili solo collettivamente,
la economia di tutti i mezzi di produzione mediante il
loro uso come mezzi di produzione del lavoro sociale, combinato, tutti i popoli
vengono intricati nella rete del mercato mondiale
e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale
del regime capitalistico.
253
Con la diminuzione del numero dei magnati del capitale
che monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione,
cresce
la massa della miseria,
dell’asservimento,
dello sfruttamento
ma cresce anche
la ribellione della classe operaia che sempre più è unita e organizzata
dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico.
Il monopolio del capitale
diventa un vincolo del modo di produzione sbocciato
insieme ad esso e sotto di esso,
la centralizzazione dei mezzi di produzione e la
socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili
col loro involucro capitalistico che viene spezzato,
suona l’ultima ora della proprietà privata
capitalistica:
gli espropriatori vengono espropriati.
Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzione
capitalistico
e quindi la proprietà privata capitalistica:
sono la prima negazione della proprietà privata
individuale, fondata sul lavoro personale.
Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di
un processo naturale, la propria negazione: è la negazione della negazione
questa non ristabilisce la proprietà privata,
ma invece la proprietà individuale fondata
sulla conquista dell’era capitalistica,
sulla cooperazione
e sul possesso collettivo della terra e dei mezzi di
produzione prodotti dal lavoro stesso.
La trasformazione della proprietà privata sminuzzata,
poggiante sul lavoro personale degli individui in
proprietà capitalistica,
è un processo incomparabilmente più lungo e più
difficile della trasformazione della proprietà capitalistica
che già poggia sulla conduzione sociale della produzione,
in proprietà sociale:
là si trattava dell’espropriazione della massa della popolazione da
parte di pochi usurpatori,
qui si tratta dell’espropriazione di pochi usurpatori da parte della
massa del popolo.
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