sabato 1 settembre 2018

K.MARX A COLORI: IL CAPITALE LIBRO 1^ i primi due capitoli - a 200 anni dalla pubblicazione





       



SEZIONE I

MERCE E DENARO

CAPITOLO 1

LA MERCE

I DUE FATTORI DELLA MERCE: VALORE D'USO E VALORE (SOSTANZA DI VALORE, GRANDEZZA DI VALORE).


La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico,
si presenta come una "immane raccolta di merci"
e la merce singola si presenta come sua forma elementare:
perciò la nostra indagine comincia con l'analisi della merce.
in primo luogo la merce è un oggetto esterno, una cosa che con le sue qualità
soddisfa bisogni umani di qualsiasi tipo materiali o no.
Ogni cosa utile, come il ferro, la carta, va considerata da un duplice punto di vista
secondo la qualità e secondo la quantità,
l'utilità di una cosa ne fa un valore d'uso:
è un portato delle qualità del


corpo della merce come ferro, grano, è un valore d'uso, ossia un bene,
questo suo carattere non dipende dal fatto che costi all'uomo lavoro:
il valore d'uso si realizza solo nell'uso, ossia nel consumo,
i valori d'uso costituiscono il contenuto materiale della ricchezza, qualunque sia la forma sociale di questa.

Nella società che dobbiamo considerare
i valori d'uso costituiscono insieme i depositari materiali del valore di scambio
che in un primo momento si presenta come il rapporto quantitativo:
la proporzione nella quale valori d'uso d'un sono scambiati con valori d'uso di altro tipo:
tale rapporto cambia continuamente coi tempi e coi luoghi perciò è qualcosa di relativo.

Consideriamo la cosa più da vicino:
Una certa merce, si scambia con altre merci in differentissime proporzioni.
Quindi es.il grano ha molteplici valori di scambio invece di averne uno solo:
poiché es. lucido da stivali è il valore di scambio di 1 kg di grano,
 debbono essere valori di scambio sostituibili l'un con l'altro o di grandezza eguale fra loro.
in primo luogo: ne consegue che i valori di scambio validi della stessa merce esprimono la stessa cosa
in secondo luogo: il valore di scambio può essere solo la forma fenomenica di un contenuto distinguibile da esso:

es. grano e ferro, il loro rapporto di scambio è rappresentabile in una equazione nella quale
una quantità data di grano è posta come eguale a una data quantità di ferro es.1 kg di grano = 1 kg di ferro,
quindi in due cose differenti, in1 kg di grano come pure in 1 kg di ferro, esiste un qualcosa di comune e della stessa grandezza:
dunque l'uno e l'altro sono eguali a una terza cosa: in quanto valore di scambio, dev'essere dunque riducibile a questo terzo
Questo qualcosa di comune non può essere una qualità geometrica, fisica o altra qualità naturale delle merci:
le loro proprietà corporee si considerano in quanto le rendono utilizzabili cioè le rendono valori d'uso;
d'altra parte è tale astrarre dai loro valori d'uso che caratterizza con il rapporto di scambio delle merci.
Come valori d'uso le merci sono di qualità differente,
come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono valore d'uso.
se si prescinde dal valore d'uso dei corpi delle merci, rimane loro una qualità: di essere prodotti del lavoro,
eppure anche il prodotto del lavoro si trasforma non appena lo abbiamo in mano.
se facciamo astrazione dal suo valore d'uso
facciamo astrazione anche dalle parti costitutive e forme corporee che lo rendono valore d'uso:
non è più tavola, né casa, né filo né altra cosa utile, scompare il carattere di utilità dei prodotti del lavoro
le sue qualità sensibili sono cancellate non è il prodotto di un lavoro produttivo determinato es di falegnameria
Le diverse forme concrete di questi lavori non si distinguono più: sono ridotte tutte a lavoro umano in astratto:
eesta solo una semplice concrezione di lavoro umano indistinto, cioè di dispendio di forza lavorativa umana
nella loro produzione è stata spesa forza lavorativa umana, è accumulato lavoro umano:
esse sono valori, valori di merci.


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Nel rapporto di scambio delle merci il loro valore di scambio ci è apparso indipendente dai loro valori d'uso,
se si fa astrazione dal valore d'uso dei prodotti del lavoro,
quell'elemento comune che si manifesta nel rapporto di scambio o nel valore di scambio della merce,
è il valore della merce stessa:
un valore d'uso o bene ha valore solo perché in esso viene oggettivato o materializzato, lavoro astrattamente umano.
come misurare ora la grandezza del suo valore: mediante la quantità del lavoro in esso contenuta,
la quantità del lavoro si misura con il tempo di lavoro la cui misura sono parti di tempo come l'ora, il giorno
Il lavoro che forma la sostanza dei valori è dispendio della medesima forza lavorativa cioè lavoro umano eguale anche se un lavoratore è più pigro di un altro
la forza lavorativa complessiva della società che si presenta nei valori del mondo delle merci
è unica forza-lavoro umana, benché consista di forze-lavoro individuali:
ognuna di queste forze-lavoro individuali
è una forza-lavoro umana identica alle altre
in quanto possiede il carattere di una forza-lavoro sociale media
e in quanto opera come tale forza-lavoro sociale media,
e dunque abbisogna, nella produzione di una merce,
del tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessario.
Tempo di lavoro socialmente necessario è il tempo di lavoro richiesto per rappresentare un qualsiasi valore d'uso nelle esistenti condizioni di produzione, e col grado sociale medio di abilità e intensità di lavoro.
Dopo l'introduzione del telaio a vapore in Inghilterra, è bastata la metà del tempo prima necessario per trasformare in tessuto una data quantità di filato.
Il tessitore inglese al telaio a mano aveva bisogno dello stesso tempo di lavoro, prima e dopo, per questa trasformazione; ma il prodotto della sua ora lavorativa individuale rappresentava, dopo l'introduzione del telaio meccanico, solo una mezza ora lavorativa sociale, e quindi scese alla metà del suo valore precedente.
Quindi è solo il tempo di lavoro socialmente necessario per fornire un valore d'uso che determina la sua grandezza di valore.
Qui la singola merce vale in generale come esemplare medio del suo genere.
Merci nelle quali sono contenute eguali quantità di lavoro ossia merci prodotte nello stesso tempo di lavoro hanno quindi la stessa grandezza di valore.
"Come valori, tutte le merci sono soltanto misure determinate di tempo di lavoro congelato".
La grandezza di valore di una merce
rimarrebbe quindi costante se il tempo di lavoro richiesto per la sua produzione fosse costante:
ma esso cambia col cambiamento della forza produttiva del lavoro che è determinata da molteplici circostanze: dal grado medio di abilità dell'operaio,
dal grado di sviluppo della scienza e tecnologia,
dall'entità e dalla capacità operativa dei mezzi di produzione
es, la stessa quantità di lavoro si presenta in una stagione favorevole con 8 t. di grano, in una situazione sfavorevole solo con 4 t:
quanto maggiore la forza produttiva del lavoro, tanto minore il tempo di lavoro richiesto per la produzione di un articolo,
tanto minore la massa di lavoro in esso cristallizzata, e tanto minore il suo valore:
viceversa,
tanto minore la forza produttiva del lavoro,
tanto maggiore il tempo di lavoro necessario per la produzione di un articolo
e tanto maggiore il suo valore:
La grandezza di valore di una merce varia direttamente col variare della quantità
e inversamente col variare della forza produttiva del lavoro che in essa si è realizzato.
Una cosa può essere valore d'uso senza essere valore:
il caso si verifica quando la sua utilità per l'uomo non è ottenuta mediante il lavoro: aria, praterie, legna.
una cosa può essere utile e può essere prodotto di lavoro umano senza essere merce;
chi soddisfa con la propria produzione il proprio bisogno crea sì valore d'uso, ma non merce:
per produrre merce
deve produrre non solo valore d'uso, ma valore d'uso per altri, valore d'uso sociale;
per divenire merce
il prodotto deve essere trasmesso all'altro, a cui serve come valore d'uso, mediante lo scambio;
nessuna cosa può essere valore, senza essere oggetto d'uso,
se è inutile, anche il lavoro contenuto in essa è inutile: non conta come lavoro e non costituisce quindi valore.



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2. DUPLICE CARATTERE DEL LAVORO RAPPRESENTATO NELLE MERCI.

All'inizio la merce ci si è presentata come qualcosa di duplice, valore d'uso e valore di scambio.
In un secondo tempo s'è visto che
il lavoro, in quanto espresso nel valore, non possiede più le stesse proprie caratteristiche come generatore di valori d'uso.
Tale duplice natura del lavoro contenuto nella merce è stata dimostrata criticamente da me per la prima volta.

L'abito è un valore d'uso che soddisfa a un bisogno particolare: per produrlo, occorre un determinato genere di attività produttiva, che è determinata
dal suo fine -modo di operare-
dal suo oggetto
dai suoi mezzi
dal suo risultato.
Chiamiamo lavoro utile il lavoro
che si presenta in tal modo nel valore d'uso del suo prodotto
o nel fatto che il suo prodotto è un valore d'uso.

Allo stesso modo che abito e tela sono valori d'uso qualitativamente differenti, i lavori che ne procurano l'esistenza, sartoria e tessitura, sono anch'essi qualitativamente differenti:
se quelle cose
non fossero valori d'uso qualitativamente differenti e quindi prodotti di lavori qualitativamente differenti,
non potrebbero stare a confronto l'una con l'altra come merci:
un abito non si scambia con un abito,
lo stesso valore d'uso non si scambia con lo stesso valore d'uso.
Nell'insieme dei diversi valori d'uso o corpi di merci, si presenta un insieme di lavori utili differenti secondo specie-genere-varietà: una divisione sociale del lavoro che è condizione d'esistenza della produzione delle merci, benché la produzione delle merci non sia condizione d'esistenza della divisione sociale del lavoro.

In una società di produttori di merci, tale differenza qualitativa dei lavori utili compiuti l'uno indipendentemente dall'altro -come affari privati di produttori autonomi-
si sviluppa in un sistema pluriarticolato: in una divisione sociale del lavoro:
solo prodotti di lavori privati autonomi e indipendenti l'uno dall'altro
stanno a confronto l'un con l'altro come merci.

Nel valore d'uso di ogni merce c'è una determinata attività, produttiva e conforme a un fine, cioè lavoro utile:
valori d'uso non possono stare a confronto l'uno con l'altro come merci
se non ci sono in essi lavori utili qualitativamente differenti.
per il bisogno di coprirsi, l'uomo ha tagliato e cucito per millenni, prima che divenisse sarto,
l'esistenza dell'abito, della tela, di ogni elemento non presente nella natura,
è stata procurata mediante un'attività produttiva che assimilasse materiali naturali a bisogni umani.
quindi il lavoro, come formatore di valori d'uso, come lavoro utile
è una condizione d'esistenza dell'uomo, indipendente da tutte le forme della società.

I valori d'uso abito, tela cioè i corpi delle merci, sono combinazioni di due elementi,
materia naturale e lavoro:
rimane sempre un substrato materiale, che è dato per natura, senza contributo dell'uomo

dalla merce in quanto oggetto d'uso al valore della merce
Se il valore di un abito è il doppio del valore di dieci metri di tela,
venti metri di tela hanno la stessa grandezza di valore di un abito:
come valori, abito e tela sono espressioni oggettive di lavoro dello stesso genere:
ma sartoria e tessitura sono lavori qualitativamente differenti.
Ci sono situazioni della società nelle quali lo stesso uomo tesse-taglia-cuce,
quindi questi due generi di lavoro sono modificazioni del lavoro dello stesso individuo e non funzioni fisse di individui differenti.


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Nella società capitalistica, a seconda del variare della domanda di lavoro,
una porzione data di lavoro umano viene fornita alternativamente nella forma di sartoria o in quella di tessitura.
Sartoria e tessitura, benché siano attività produttive qualitativamente differenti, sono entrambe due forme differenti di spendere forza-lavoro umana.      

Il valore della merce rappresenta dispendio di lavoro umano:
una merce può essere il prodotto di lavoro più complesso
ma il suo valore la equipara al prodotto di lavoro semplice
e rappresenta quindi soltanto una determinata quantità di lavoro semplice.
d'ora in poi ogni genere di forza-lavoro varrà per noi come forza-lavoro semplice.
Sartoria e tessitura sono elementi costitutivi dei valori d'uso abito e tela proprio per le loro differenti qualità
ma sono sostanza del valore dell'abito e del valore della tela
in quanto: si astrae dalla loro qualità particolare, entrambi posseggono la stessa qualità d'esser lavoro umano.
Ma abito e tela non sono soltanto valori in genere, bensì valori di una determinata grandezza;
da dove viene questa differenza fra le loro due grandezze di valore?
dal fatto che la tela contiene solo la metà del lavoro dell'abito,
cosicché per la produzione di quest'ultimo
la forza-lavoro deve essere spesa durante un tempo doppio di quello occorrente per la produzione della tela.
Riguardo al valore d'uso il lavoro contenuto nella merce conta solo qualitativamente,
riguardo alla grandezza del valore conta solo quantitativamente dopo essere stato ridotto a lavoro umano.
poiché la grandezza del valore di una merce rappresenta soltanto la quantità del lavoro in essa contenuta,
le merci debbono sempre essere, in una certa proporzione, valori d'eguale grandezza.
Se la forza produttiva di tutti i lavori utili richiesti per la produzione di un abito, rimane immutata,
la grandezza di valore degli abiti cresce col crescere della loro quantità.
Se 1 abito rappresenta x giornate lavorative, 2 abiti rappresentano 2 x giornate lavorative.
Ma ammettiamo che il lavoro necessario alla produzione di un abito
cresca del doppio o  diminuisca della metà:
nel primo caso un abito ha altrettanto valore quanto in precedenza ne avevano due,
nel secondo caso due abiti hanno tanto valore quanto in precedenza ne aveva uno,
benché nell'uno e nell'altro caso
un abito renda, prima e dopo, gli stessi servizi
e il lavoro utile contenuto in esso rimanga prima e dopo della stessa bontà:
ma si è cambiata la quantità del lavoro spesa nella sua produzione.
Una quantità maggiore di valore d'uso costituisce maggiore ricchezza di materiale:
due abiti sono più di uno: con due abiti si possono vestire due uomini
con un abito se ne può vestire uno solo;
eppure alla massa crescente della ricchezza di materiali
può corrispondere
una caduta contemporanea della sua grandezza di valore:
questo movimento antagonistico sorge dal carattere duplice del lavoro.
Il lavoro utile diventa fonte più abbondante o più scarsa di prodotti
in rapporto diretto con l'aumento o con la diminuzione della sua forza produttiva.
invece, un cambiamento della forza produttiva non tocca il lavoro rappresentato nel valore preso in sé e per sé:
quindi lavoro identico rende, in spazi di tempo identici,
grandezza identica di valore, qualunque possa essere la variazione della forza produttiva;
ma esso fornisce, nello stesso periodo di tempo, quantità differenti di valori d'uso:
in più quando la forza produttiva cresce,
in meno quando cala:
dunque quella stessa variazione della forza produttiva che aumenta la fecondità del lavoro e la massa dei valori d'uso da esso fornita,
diminuisce la grandezza di valore di questa massa complessiva aumentata
quando accorcia il totale del tempo di lavoro necessario alla produzione di quella massa stessa: e viceversa.
da una parte, ogni lavoro è dispendio di forza-lavoro umana in senso fisiologico
e qualità di esso costituisce il valore delle merci,
dall'altra parte, ogni lavoro è dispendio di forza-lavoro umana in forma definita dal suo scopo
e in tale qualità di lavoro utile esso produce valori d'uso.






3. LA FORMA DI VALORE OSSIA IL VALORE DI SCAMBIO.

Le merci vengono al mondo in forma di valori d'uso o corpi di merci: come ferro, tela, grano
questa è la loro forma naturale:
tuttavia esse sono merci solo perché sono qualcosa di duplice: oggetti d'uso e depositari di valore,
quindi si presentano come merci in quanto posseggono una duplice forma:
la forma naturale e la forma di valore.
tuttavia le merci posseggono oggettività di valore solo in quanto sono espressioni di una identica unità sociale:
di lavoro umano e, dunque, la loro oggettività di valore è puramente sociale.

Siamo partiti dal valore di scambio o dal rapporto di interscambio delle merci,
per poter trovare le tracce del loro valore ivi nascosto.

Le merci posseggono una forma di valore, che contrasta con le forme naturali dei loro valori d'uso, e comune a tutte: la forma di denaro.
Si tratta di
dimostrare la genesi di questa forma di denaro
di perseguire lo svolgimento dell'espressione di valore contenuta nel rapporto di valore delle merci
dalla sua figura più semplice fino al denaro: con ciò scomparirà anche l'enigma del denaro.

Il rapporto di valore più semplice è il rapporto di valore d'una merce con un'unica merce di genere differente:
il rapporto di valore fra due merci ci fornisce dunque la più semplice espressione di valore per una merce.

A) FORMA DI VALORE SEMPLICE, SINGOLA OSSIA ACCIDENTALE.

due merci di genere differente, A e B, tela e abito, rappresentano due parti differenti:
la tela esprime il proprio valore nell'abito, una parte attiva,
l'abito serve da materiale di questa espressione di valore una parte passiva;

il valore della prima merce è valore relativo ossia quella merce si trova in forma relativa di valore
la seconda merce si trova in forma di equivalente.
forma relativa di valore e forma di equivalente, l'uno dei quali è condizione dell'altro,
sono inseparabili ed opposti, sono cioè poli della stessa espressione di valore:
es. non posso esprimere in tela il valore della tela:
venti metri di tela = venti metri di tela non è una espressione di valore;

il valore della tela può dunque essere espresso solo relativamente: cioè in altra merce.
la forma di valore relativa della tela
presuppone che qualsiasi altra merce si trovi in confronto ad essa nella forma di equivalente
quest'altra merce -che figura come equivalente- non esprimere contemporaneamente il suo valore:
fornisce soltanto il materiale all'espressione di valore di un'altra merce;
dunque la stessa merce non può presentarsi simultaneamente nelle due forme nella stessa espressione di valore: queste forme si escludono polarmente.

Ora, che una merce si trovi
in forma relativa di valore
o nella forma opposta di equivalente
dipende dal fatto che
essa sia la merce della quale si esprime un valore
oppure la merce nella quale si esprime un valore.


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2. La forma relativa di valore.

a) Contenuto della forma relativa di valore.

Per scoprire come l'espressione semplice di valore di una merce stia nel rapporto di valore fra due merci
si deve considerare tale rapporto in piena indipendenza dal suo aspetto quantitativo;
si procede all'inverso e non si tiene conto del fatto che
le grandezze di cose differenti, diventano confrontabili quantitativamente dopo la loro riduzione alla stessa unità.
sono grandezze dello stesso denominatore e quindi commensurabili solo come espressioni della stessa unità:
che una data quantità di tela valga molti o pochi abiti,
ogni proporzione di questo genere implica che tela e abiti, come grandezze di valore,
siano espressioni della stessa unità, cose della stessa natura. Tela = abito è il fondamento dell'equazione.

Ma le due merci qualitativamente equiparate l'una all'altra non rappresentano la stessa parte:
viene espresso solo il valore della tela mediante il suo riferimento all'abito come suo " equivalente "
ossia " cosa scambiabile " con essa;
in questo rapporto l'abito conta come come cosa di valore, poiché solo come tale esso è eguale alla tela,
dall'altra parte il proprio esser valore della tela viene in luce ossia riceve una propria espressione autonoma, poiché solo come valore essa è riferibile all'abito come qualcosa di valore identico ossia scambiabile con essa;
se diciamo: come valori, le merci sono cristallizzazioni di lavoro umano
l'analisi le riduce all'astrazione valore
ma non dà loro nessuna forma di valore differente dalle loro forme naturali.

Altrimenti stanno le cose nel rapporto di valore d'una merce con l'altra
il suo carattere di valore spicca, in tal caso, per la sua relazione con l'altra merce
es. facendo dell'abito, come cosa di valore, l'equivalente della tela
il lavoro inerente all'abito viene posto come equivalente al lavoro inerente alla tela:
è vero che la sartoria è un lavoro concreto di genere differente dalla tessitura
ma l'equiparazione alla tessitura riduce la sartoria a quello che è eguale nei due lavori:
al loro carattere comune di lavoro umano:
l'espressione di equivalenza fra merci di genere differente mette in luce il carattere specifico del lavoro creatore di valore,
in quanto riduce i lavori di genere differente inerenti alle merci di genere differente a ciò che è loro comune: a lavoro umano.
Non basta esprimere il carattere specifico del lavoro nel quale consiste il valore della tela:
forza-lavoro umana allo stato fluido ossia lavoro umano, crea valore, ma diventa valore allo stato coagulato, nella forma oggettiva;
per esprimere il valore della tela come coagulo di lavoro umano, esso deve essere espresso come una
"oggettività" la quale, come cosa, sia differente dalla tela e le sia comune con altra merce:
il problema è risolto.
Nel rapporto di valore con la tela, l'abito conta come qualitativamente eguale ad essa, come cosa della stessa natura, perché è un valore
quindi l'abito conta qui come una cosa che rappresenta valore nella sua forma fisica tangibile.
e l'abito, il corpo della merce abito, è solo un valore d'uso.

Nella produzione dell'abito è stata spesa forza lavoro umana in forma di sartoria:
dunque in esso è accumulato lavoro umano, da questo lato l'abito è "depositario di valore":
nel rapporto di valore della tela,
l'abito conta solo da questo lato quindi come lavoro incorporato, come corpo di valore.
L'abito non può rappresentare valore nei confronti della tela,
senza che per questa il valore assuma la forma di un abito:
dunque, nel rapporto di valore nel quale l'abito costituisce l'equivalente della tela, la forma di abito conta come forma di valore:
il valore della merce tela viene espresso nel corpo della merce abito
il valore d'una merce viene espresso nel valore d'uso dell'altra merce.






Come valore d'uso la tela è una cosa differente dall'abito,
come valore è " eguale ad abito " e ha quindi aspetto di abito: così riceve una forma di valore differente dalla sua forma naturale.

Quello che prima ci ha detto l'analisi del valore della merce
ce lo dice ora la tela appena entra in comunicazione con un'altra merce, l'abito:
essa ci rivela i suoi pensieri nel linguaggio delle merci:
per dire che il lavoro nella sua qualità di lavoro umano costituisce il valore
dice che l'abito, in quanto equivale ad essa cioè in quanto è valore, consiste dello stesso lavoro che la tela,
per dire che la sua oggettività di valore è differente dal suo corpo,
essa dice che il valore ha l'aspetto d'un abito
e che la tela, come cosa di valore, assomiglia all'abito come un uovo ad un altro uovo.

Dunque mediante il rapporto di valore
la forma naturale della merce B diventa        forma di valore della merce         A
ossia il corpo della merce         B diventa        lo specchio di valore della merce A:
la merce A, riferendosi alla merce B come materializzazione di lavoro umano
fa del valore d'uso B materiale della sua espressione di valore:
il valore della merce A, così espresso nel valore d'uso della merce B, ha la forma del valore relativo.

b) Determinatezza quantitativa della forma relativa di valore.
Ogni merce della quale si debba esprimere il valore è un oggetto d'uso di quantità data:
15 moggia di grano, cento kg di caffè
questa quantità data di merce contiene una determinata quantità di lavoro umano;
la forma di valore non deve dunque solo valore in generale,
ma valore determinato quantitativamente, ossia grandezza di valore.

Nel rapporto di valore della merce A con la merce B -della tela con l'abito-
non solo il genere di merce abito, come corpo di valore, viene equiparato qualitativamente alla tela,
ma ad una determinata quantità di tela
es. venti metri, viene equiparata una quantità determinata del corpo di valore
ossia dell'equivalente: per es. un abito.

L'equazione: " 20 m di tela = 1 abito, ossia: 20 m di tela valgono 1 abito ",
presuppone che in un abito sia incorporata tanta sostanza di valore quanta in 20 m di tela:
cioè che entrambe le quantità di merci costino tempo di lavoro della stessa misura.

Il tempo di lavoro necessario per la produzione di venti metri di tela o di un abito
varia con ogni variazione della forza produttiva della tessitura o della sartoria;

influsso di tali variazioni sull'espressione relativa della grandezza di valore:

I - Il valore della tela sia variabile, mentre il valore dell'abito rimane costante.

Se raddoppia il tempo di lavoro necessario per la produzione della tela,

per es. in seguito ad un aumento di sterilità dei terreni, raddoppia il valore della tela:
invece di 20 m di tela = n 1 abito, avremmo 20 m di tela = n 2 abiti
poiché un abito ora contiene soltanto la metà del tempo di lavoro contenuto in 20 m di tela.

Se invece il tempo di lavoro necessario per la produzione della tela diminuisce di metà,

per es. in seguito a perfezionamenti dei telai, allora il valore della tela diminuisce di metà:
di conseguenza, ora si avrebbero 20 m di tela = ½ abito;
il valore relativo della merce A, cioè il suo valore espresso in merce B
sale e scende in rapporto diretto con il valore della merce A: fermo rimanendo il valore della merce B.



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II. Rimanga costante il valore della tela, sia invece variabile il valore dell'abito:

in questa circostanza, se il tempo di lavoro necessario alla produzione dell'abito raddoppia,
per es.in seguito a una tosatura sfavorevole, invece di: 20 m di tela = n 1 abito ora abbiamo 20 m di tela = 1/2 abito;

se invece il valore dell'abito scende a metà,
allora: 20 m di tela = n 2 abiti:
rimanendo costante il valore della merce A, il suo valore relativo espresso in merce B,
sale o scende, quindi, in rapporto inverso alla variazione del valore di B.

Se si confrontano i vari casi di I e II, ne deriva che la stessa variazione di grandezza del valore relativo può sorgere da cause del tutto opposte.
così da: 20 m di tela = n 1 abito proviene:
l - l'equazione 20 m di tela = n 2 abiti, o perché raddoppia il valore della tela o perché cala di metà il valore degli abiti, e
2 - l'equazione: 20 m di tela = ½ abito, o perché il valore della tela cala di metà o perché il valore degli abiti raddoppia.

III. Le quantità di lavoro necessarie alla produzione della tela e dell'abito possono variare simultaneamente, nella stessa direzione e nella stessa proporzione.
In questo caso, 20 m di tela = n 1 abito prima e dopo, quali si siano le variazioni dei loro valori;
la loro variazione di valore si scopre appena si confrontano con una terza merce il cui valore sia rimasto costante,
se i valori di tutte le merci salissero o cadessero simultaneamente e nella stessa proporzione,
i loro valori relativi rimarrebbero inalterati:
la loro variazione reale di valore si desumerebbe dal fatto che, nello stesso tempo di lavoro, si fornirebbe una quantità di merci maggiore o minore di prima.

IV. I tempi di lavoro necessari alla produzione della tela e rispettivamente dell'abito, e quindi i loro valori, possono variare simultaneamente nella stessa direzione, ma in grado diseguale, oppure possono variare in direzioni opposte
L'effetto di tutte le possibili combinazioni di questo tipo sul valore relativo di una merce
risulta semplicemente dall'applicazione dei casi I, II, III:
dunque,
le variazioni reali della grandezza di valore non si rispecchiano né esaurientemente
nella grandezza del valore relativo:
il valore relativo di una merce può variare, benché il suo valore rimanga costante,
il suo valore relativo può rimanere costante, benché il suo valore vari;
infine, non è necessario che
variazioni simultanee nella sua grandezza di valore e nell'espressione relativa di tale grandezza di valore coincidano esattamente.

3. La forma di equivalente.

Riassunto: abbiamo veduto che
una merce A, la tela - esprimendo il proprio valore nel valore d'uso d'una merce B, l'abito-  di genere differente, imprime a quest'ultima anche una peculiare forma di valore, quella dell'equivalente:
l'abito, senza assumere una forma di valore differente dalla sua forma di corpo, le equivale.  
la tela esprime il suo proprio esser valore per il fatto
l'abito è scambiabile con essa alla tela senza assumere una forma di valore differente dalla sua forma di corpo:
la forma di equivalente di una merce è, di conseguenza, la forma della sua immediata scambiabilità con altra merce.



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La scambiabilità non vuol dire che sia data la proporzione nella quale abiti e tela sono interscambiabili:
questa proporzione, poiché la grandezza di valore della tela è data, dipende dalla grandezza di valore degli abiti;
che l'abito sia espresso come equivalente e la tela come valore relativo,
la sua grandezza di valore rimane determinata dal tempo di lavoro necessario per la sua produzione,
quindi è determinata in maniera indipendente dalla sua forma di valore.;

appena il genere di merci abito prende, nell'espressione di valore, il posto dell'equivalente
la sua grandezza di valore non riceve nessuna espressione come grandezza di valore
figura anzi nell'equazione di valore solo come quantità determinata di una cosa.
es. 40 m di tela valgono n. 2 abiti:
poiché il genere di merci abito qui rappresenta la parte dell'equivalente,
perché il valore d'uso abito conta come corpo di valore in confronto alla tela:
basterà una determinata quantità di abiti per esprimere una determinata quantità di valore di tela
due abiti possono esprimere la grandezza di valore di quaranta metri di tela, ma non possono esprimere la grandezza di valore di abiti.
L'equivalente possiede nell'equazione di valore solo la forma di una quantità semplice di una cosa, d'un valore d'uso.
La forma di equivalente d'una merce non contiene nessuna determinazione quantitativa di valore.

Nella considerazione della forma di equivalente c’è la seguente peculiarità:
il valore d'uso diventa forma fenomenica del suo contrario: del valore,
la forma naturale della merce diventa forma di valore;
questo quid pro quo si verifica per una merce B (abito, ferro, ecc.)
all'interno del rapporto di valore nel quale
una qualsiasi altra merce A (tela, ecc.) entra con essa, e soltanto entro questa relazione.

Poiché
nessuna merce può riferirsi a sé stessa come equivalente,
essa si deve riferire ad altra merce come equivalente,
ossia deve fare della pelle di un'altra merce la propria forma di valore:
il corpo abito rappresenta, nei confronti della tela, solo valore qualcosa di puramente sociale;
mentre la forma relativa di valore d'una merce, es. tela,
esprime il suo esser valore come qualcosa di differente dal suo corpo e dalle sue proprietà
es. come eguale ad abito, questa stessa espressione indica che in essa si cela un rapporto sociale.

Per la forma di equivalente vale l'inverso.
essa consiste nel fatto che un corpo di merce, come l'abito, così com'è esprime valore, cioè possiede per natura forma di valore:
questo vale solo all'interno del rapporto di valore, nel quale la merce tela è riferita come equivalente alla merce abito;
poiché le proprietà di una cosa non sorgono dal suo rapporto con altre cose
anche l'abito sembra possedere la sua forma di equivalente, la sua proprietà di scambiabilità
quanto la sua proprietà di tener caldo:

di qui viene il carattere enigmatico della forma di equivalente
Carattere che non colpisce lo sguardo dell'economista politico prima che questa forma gli si presenti di fronte bell'e finita, nel denaro.
E non ha la minima idea che già la più elementare espressione di valore, come: 20 m di tela = 1 abito, ci dà da risolvere l'enigma della forma di equivalente.
Il corpo della merce che serve da equivalente:
vale come incarnazione di lavoro astrattamente umano
è il prodotto di un determinato lavoro concreto che diventa espressione di lavoro astrattamente umano:
es. se l'abito conta come semplice realizzazione, allo stesso modo la sartoria, che si realizza effettivamente in esso, conta come semplice forma di realizzazione di lavoro astrattamente umano.



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Nell'espressione di valore della tela

l'utilità della sartoria consiste nel fatto ch'essa fa un corpo
che basta vederlo per sapere che è valore cioè coagulo di lavoro
che non si distingue dal lavoro oggettivato nel valore di tela;
per fare da specchio di valore
la sartoria deve rispecchiare null'altro che la sua proprietà astratta d'esser lavoro umano:
nella forma della sartoria come nella forma della tessitura si spende forza-lavoro umana:
l'una e l'altra posseggono la qualità di lavoro umano
quindi in casi determinati, es. nella produzione di valore, possono venire considerate solo da questo punto di vista.

Ma nell'espressione di valore della merce la cosa è stravolta:

es. per esprimere che la tessitura costituisce il valore della tela nella sua qualità come lavoro umano,
le si contrappone come forma di realizzazione di lavoro astrattamente umano la sartoria
il lavoro concreto che produce l'equivalente della tela.

dunque una seconda peculiarità della forma di equivalente è che
lavoro concreto diventa forma fenomenica del suo opposto, di lavoro astrattamente umano:
poiché questo lavoro concreto, la sartoria, conta come semplice espressione di lavoro umano indifferenziato,
ha la forma dell'eguaglianza con altro lavoro quello inerente alla tela,
è - benché lavoro privato- lavoro in forma sociale come ogni lavoro che produce merci:
per questo esso si rappresenta in un prodotto immediatamente scambiabile con altra merce.

una terza peculiarità della forma di equivalente  
è che lavoro privato diventi lavoro in forma immediatamente sociale.

4. Il complesso della forma semplice di valore.

La forma semplice di valore d'una merce
è contenuta nel suo rapporto di valore con una merce di genere differente, ossia nel rapporto di scambio con essa.
Il valore della merce A viene espresso
qualitativamente
per mezzo della scambiabilità immediata della merce B con la merce A
quantitativamente
mediante la scambiabilità di una quantità determinata della merce B con la quantità data della merce A.

In altre parole:
quel che s'è detto, all'inizio di questo capitolo, che
la merce è valore d'uso e valore di scambio, è erroneo, a volersi esprimere con precisione:
il valore di una merce è espresso in maniera indipendente dalla sua rappresentazione come "valore di scambio",
la merce è valore d'uso ossia oggetto d'uso, e "valore".
essa si presenta come quella duplicità che è,
appena il suo valore possiede una forma fenomenica propria differente dalla sua forma naturale,
quella del valore di scambio;
e non possiede questa forma se considerata isolatamente
ma solo nel rapporto di valore o di scambio con una seconda merce, di genere differente.



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La considerazione dell'espressione di valore della merce A contenuta nel rapporto di valore con la merce B
ha mostrato che
la forma naturale della merce A conta solo come figura di valore d'uso,
e la forma naturale della merce B solo come forma di valore, figura di valore:

l'opposizione interna fra valore d'uso e valore, rinchiusa nella merce,
viene rappresentata dal rapporto fra due merci, nel quale
la merce il cui valore deve essere espresso, viene espressa solo come valore d'uso,
e invece l'altra merce, in cui viene espresso valore, conta solo come valore di scambio.

La forma semplice di valore di una merce
è la forma fenomenica semplice del contrasto in essa contenuto fra valore d'uso e valore.

Il prodotto del lavoro è oggetto d'uso in tutti gli stati della società,
ma solo l’epoca che rappresenta il lavoro, speso nella produzione d'una cosa d'uso,
come sua qualità "oggettiva" cioè come valore di essa,
è l'epoca che trasforma in merce il prodotto del lavoro;
ne consegue che la forma elementare di valore della merce
è simultaneamente la forma semplice di merce del prodotto del lavoro
e che lo svolgimento della forma di merce coincide con lo svolgimento della forma di valore.
L'espressione di A in una qualsiasi merce B
distingue il valore della merce A solo dal suo valore d'uso,
e quindi pone la merce in un rapporto di scambio con un qualsiasi genere di merce singolo
che sia differente da essa,
invece di rappresentare la sua eguaglianza qualitativa e la sua proporzionalità quantitativa
con tutte le altre merci.
Alla forma semplice relativa di valore di una merce corrisponde la singola forma d'equivalente di un'altra merce
così l'abito, nell'espressione relativa di valore della tela,
ha solo forma di equivalente ossia forma di scambiabilità in relazione a questo singolo genere di merci, alla tela.

Ma la forma singola di valore trapassa da sola in una forma più completa:
è vero che, mediante essa, il valore di una merce A viene espresso solo in una merce di altro genere
ma è cosa del tutto indifferente di qual genere sia questa seconda merce, abito, ferro, grano;
dunque, a seconda che quella merce A entra in un rapporto di valore con questo o quell'altro genere di merci, nascono differenti espressioni semplici di valore di quella medesima merce.
Il numero di queste sue possibili espressioni di valore è limitato dal numero dei generi di merci da essa differenti.
quindi la sua espressione isolata di valore si trasforma nella serie prolungabile delle sue differenti espressioni semplici di valore.

B) FORMA DI VALORE TOTALE O DISPIEGATA.

1. La forma relativa di valore dispiegata.

Ora il valore di una merce, es. della tela, è espresso in innumerevoli altri elementi del mondo delle merci:
ogni altro corpo di merci diventa specchio del valore della tela:
valore che si presenta, per la prima volta, come coagulo dì lavoro umano indifferenziato;
infatti il lavoro che lo costituisce è presentato ora come lavoro che equivale ad ogni altro lavoro umano, qualunque forma naturale possa avere
e sia che esso si oggettivi nell'abito- nel grano- nel ferro- nell'oro;
quindi la tela sta in un rapporto sociale mediante la sua forma di valore
non solo con un altro singolo genere di merce, ma con il mondo delle merci;
è implicito, nella infinita serie delle sue espressioni,
che il valore d'una merce è indifferente alla forma particolare del valore d'uso nel quale esso si presenta



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Nella prima forma: 20 m di tela = n 1 abito,
può essere un fatto casuale che queste due merci siano scambiabili in un rapporto quantitativo dato,
nella seconda forma invece
traspare uno sfondo differente dal fenomeno casuale, e determinante quest'ultimo;

Il valore della tela rimane della stessa grandezza,
che si presenti –abito, caffè ecc.-  in innumerevoli merci differenti, appartenenti a differenti proprietari:
cade il rapporto casuale di due proprietari individuali di merci,
diventa manifesto che:
non è lo scambio a regolare la grandezza di valore della merce,
è la grandezza di valore della merce a regolare i rapporti di scambio di quest'ultima.

2. La forma particolare di equivalente.

Nell'espressione di valore della tela ogni merce, abito, tè, grano, ferro
conta come equivalente, e quindi come corpo di valore;
ora la forma naturale determinata di ognuna di queste merci è una forma particolare d'equivalente.
così pure ora
i molteplici generi di lavoro determinato-concreto-utile contenuti nei differenti corpi di merce,
contano come forme di manifestazione di lavoro umano.

3. Difetti della forma di valore totale o dispiegata.

In primo luogo,
l'espressione relativa di valore della merce è incompleta, perché la serie che la rappresenta non ha termine,
la catena nella quale un'equazione di valore si connette all'altra,
rimane prolungabile mediante ogni nuovo genere di merci che fornisca il materiale di una nuova espressione di valore;
in secondo luogo l'espressione relativa del valore costituisce un mosaico variopinto di espressioni di valore divergenti e di diverso genere:
infine, se si esprime il valore relativo di ogni merce in questa forma dispiegata,
la forma relativa di valore di ogni merce è una serie infinita di espressioni di valore differente dalla forma relativa di valore di ogni altra merce.

I difetti della forma di valore relativa dispiegata si rispecchiano nella forma di equivalente che le corrisponde:
poiché
la forma naturale di ogni singolo genere di merci è qui una forma particolare di equivalente accanto a altre forme di equivalente,
esistono forme limitate di equivalente, che si escludono reciprocamente;
così pure,
il genere di lavoro determinato-concreto-utile, contenuto in ogni equivalente particolare di merci
è forma di manifestazione particolare del lavoro umano: particolare, quindi non esauriente:
il lavoro umano ha la sua forma di manifestazione totale nell'orbita di quelle forme di manifestazione particolari ma, così non ha nessuna forma fenomenica unitaria.

La forma relativa di valore dispiegata
consiste soltanto di una somma di espressioni relative semplici di valore, o equazioni della prima forma, come:
20 m di tela = n 1 abito 20 m di tela = 10 kg di tè,
pgnuna di queste equazioni però contiene reciprocamente anche l'equazione identica:
n 1 abito = 20 m di tela  10 kg di tè = 20 m di  tela;
di fatto:
quando un uomo scambia la sua tela con altre merci e quindi ne esprime il valore in una serie di altre merci,
anche gli altri possessori di merci
debbono scambiare le loro merci con la tela,
e quindi debbono esprimere i valori delle loro differenti merci nella stessa terza merce, in tela.



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Invertiamo dunque la serie: 20 m di tela = n 1 abito, oppure = 10 kg di tè,
cioè esprimiamo la relazione reciproca già contenuta, di fatto, nella serie, ed otterremo:

C) FORMA GENERALE DI VALORE.

1. Carattere alterato della forma di valore.

Le merci presentano ora i loro valori:
1. in forma semplice perché in una merce unica;
2. unitariamente, perché nella medesima merce.
La loro forma di valore è elementare e comune, e quindi generale.
Le forme I e II pervenivano ad esprimere il valore di una merce come qualche cosa di distinto dal loro proprio valore d'uso o dal loro corpo di merce.
La prima forma dava equazioni di valore come: un abito = venti metri di tela:
questa forma si presenta ai primi inizi, nei quali prodotti di lavoro vengono trasformati in merci mediante scambio occasionale.

La seconda forma distingue il valore d'una merce dal suo valore d'uso in maniera più completa della prima, perché es.
il valore dell'abito si contrappone alla forma naturale dell'abito, come un qualche cosa di eguale alla tela-ferro-tè
tutto meno che eguale all'abito;
qui è esclusaogni espressione comune di valore delle merci
poiché nell'espressione di valore di ciascuna merce tutte le altre appaiono ora solo nella forma di equivalenti.
La forma di valore dispiegata
si ha la prima volta quando
un prodotto di lavoro es. bestiame,viene scambiato con differenti merci non in via eccezionale ma abitualmente.

La nuova forma ottenuta
esprime i valori del mondo delle merci in un unico-medesimo genere di merci, da esso separato es. in tela
 e così rappresenta i valori di tutte le merci mediante la loro eguaglianza con la tela.

Come eguale a tela, il valore di ogni merce
è ora distinto dal valore d'uso suo proprio e da ogni valore d'uso,
proprio perciò viene espresso come ciò che è comune a quella e a tutte le altre merci;
quindi solo questa forma
mette le merci in rapporto reciproco come valori, ossia fa che esse si presentino reciprocamente come valori di scambio.

Le prime due forme esprimono il valore di una merce,
sia che l'esprimano in una singola merce di genere differente,
sia che l'esprimano in una serie di molte merci differenti;
tutte e due le volte
è affare privato della merce singola darsi una forma di valore, ed essa lo fa senza che c'entrino le altre merci.

Invece la forma generale del valore sorge come opera comune del mondo delle merci:
una merce ottiene espressione generale di valore perché tutte le altre merci esprimono il loro valore nel medesimo equivalente,
ed ogni nuovo genere di merce deve imitarle.

L'oggettività di valore delle merci, dato che è la pura e semplice "esistenza sociale" di queste cose
può essere espressa solo mediante la loro relazione sociale
e di conseguenza la loro forma di valore è forma socialmente valida.




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Nella forma di eguali a tela si presentano ora tutte le merci
come cose eguali qualitativamente, come valori in genere
e
come grandezze di valore quantitativamente confrontabili.

Poiché le merci rispecchiano in un unico materiale, nella tela, le proprie grandezze di valore
queste ultime si rispecchiano a loro volta l'una nell'altra:
es. 10 kg di tè = 20 m di tela, dunque, 10 kg di tè = 40 kg di caffè
ossia, in 1 kg di caffè sta solo un quarto di sostanza di valore, di lavoro, di quel che sta in 1 kg di tè.
La forma relativa generale di valore del mondo delle merci imprime il carattere di equivalente generale
alla merce equivalente esclusa: alla tela.
La forma naturale della tela è la figura comune di valore di quel mondo,
e quindi la tela è immediatamente scambiabile con tutte le altre merci;
La forma corporea della tela è considerata come l'incarnazione visibile, la crisalide sociale generale di ogni lavoro umano.

La tessitura, lavoro privato che produce tela, si trova allo stesso tempo ad essere nella forma generalmente sociale, in quella dell'eguaglianza con tutti gli altri lavori.

Il lavoro oggettivato nel valore delle merci non è rappresentato solo negativamente
come lavoro nel quale si astrae da tutte le forme concrete e da tutte le qualità utili dei lavori effettivi.
La forma generale di valore è la riduzione di tutti i lavori al carattere a tutti comune di lavoro umano, a dispendio di forza-lavoro umana.

La forma generale di valore che rappresenta i prodotti del lavoro come coaguli di lavoro umano indifferenziato, mostra d'essere l'espressione sociale del mondo delle merci, mediante la propria struttura:
così essa rivela che, entro questo mondo, il carattere generalmente umano del lavoro
costituisce il suo carattere specificamente sociale.

2. Rapporto di sviluppo fra forma relativa di valore e forma di equivalente.

Al grado di sviluppo della forma relativa di valore corrisponde il grado di sviluppo della forma di equivalente.

Ma lo svolgimento della forma di equivalente è solo espressione e risultato dello svolgimento della forma relativa di valore.
La forma relativa semplice o isolata di valore di una merce rende unico equivalente di essa un'altra merce.
La forma dispiegata del valore relativo, espressione del valore d'una merce in tutte le altre merci,
imprime loro la forma di differenti equivalenti particolari.
Infine una merce particolare riceve la forma generale di equivalente
perché le altre merci ne fanno il materiale della loro forma di valore unitaria, generale.

Ma si sviluppa anche l'opposizione fra i suoi due poli, forma relativa di valore e forma di equivalente.

Già la prima forma - venti metri di tela = un abito - contiene questa opposizione
ognuno dei due estremi di merci, tela e abito, si trova simmetricamente
ora nella forma relativa di valore, ora nella forma di equivalente:
qui è ancora faticoso tener ferma l'opposizione polare.
Nella forma II può dispiegare il proprio valore relativo un genere di merci per volta
ossia, il genere possiede solo forma relativa di valore dispiegata,
perché e in quanto tutte le altre merci si trovano nei suoi confronti nella forma di equivalente.
L'ultima forma, la forma III, dà infine al mondo delle merci una forma di valore relativa generalmente sociale,  
in quanto, con una sola eccezione,
tutte le merci che gli appartengono, sono escluse dalla generale forma di equivalente.




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Una merce, la tela, si trova quindi nella forma di scambiabilità con tutte le altre merci, ossia in forma immediatamente sociale, in quanto tutte le altre merci non vi si trovano;
viceversa, la merce che figura come equivalente generale è esclusa dalla forma unitaria-relativa-generale
di valore del mondo delle merci:
es. se la tela - cioè qualsiasi merce che si trovasse in forma generale di equivalente
dovesse partecipare simultaneamente alla forma relativa generale di valore
essa dovrebbe servire di equivalente a se stessa:
otterremmo: 20 m di tela = 20 m di tela, cioè una tautologia
nella quale non sono espressi né valori né grandezze di valore.

Per esprimere il valore relativo dell'equivalente generale, dobbiamo invece invertire la forma III.

l'equivalente non ha nessuna forma relativa comune con le altre merci,
ma il suo valore si esprime relativamente, nella serie infinita di tutti gli altri corpi di merci.
Così la forma relativa dispiegata di valore, ossia forma II, si presenta come la forma di valore relativa specifica della merce equivalente.

3. Passaggio dalla forma generale di valore alla forma di denaro.

La forma generale d'equivalente è una forma del valore in genere: può spettare ad ogni merce.
Una merce si trova in forma generale di equivalente (forma III)
perché e in quanto viene esclusa da tutte le altre merci, come equivalente;
solo dal momento nel quale questa esclusione si limita a un genere specifico di merci,
la forma unitaria relativa di valore del mondo delle merci ha raggiunto consistenza oggettiva e validità generalmente sociale.

Ora il genere specifico di merci con la cui forma naturale s'è venuta identificando socialmente la forma di equivalente, diventa merce denaro, ossia funziona come moneta.
la sua funzione specificamente sociale,
diventa quella di rappresentare la parte dell'equivalente generale entro il mondo delle merci.
Una merce determinata, l'oro, ha conquistato storicamente questo posto privilegiato fra le merci
che nella forma II figurano come equivalenti particolari della tela
e nella forma III esprimono insieme in tela il loro valore relativo.

Se dunque nella forma III mettiamo la merce oro al posto della merce tela, abbiamo: 

D) FORMA DI DENARO.

Nel passaggio dalla forma I alla forma II, dalla forma II alla forma III hanno luogo cambiamenti essenziali.
Invece la forma IV non si distingue dalla forma III se non per il fatto che adesso è l'oro ad avere la forma generale di equivalente, invece della tela.
Nella forma IV l'oro rimane quel che era la tela nella forma III: equivalente generale;
il progresso consiste solo nel fatto che
la forma della scambiabilità immediata generale, ossia la forma generale di equivalente
ora s'è venuta identificando definitivamente con la forma specifica naturale della merce oro,
per abitudine sociale:
l'oro si presenta come denaro nei confronti delle altre merci solo perché si era presentato già prima come merce nei confronti di esse.
Anch'esso ha funzionato come equivalente, come tutte le altre merci:
sia come equivalente singolo in atti isolati di scambio,
sia come equivalente particolare accanto ad altri equivalenti di merci;
man mano esso ha funzionato, come equivalente generale
appena ha conquistato il monopolio di questa posizione nell'espressione di valore del mondo delle merci,
diventa merce denaro
solo dal momento nel quale esso è già diventato merce denaro
la forma IV si distingue dalla forma III: ossia la forma generale di valore è trasformata nella forma di denaro.



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L'espressione relativa di una merce, per esempio della tela,
in merce già funzionante come merce denaro, per esempio nell'oro, è forma di prezzo.
La " forma di prezzo " della tela è quindi:20 m di tela = 20 gr d'oro
                20 m di tela = 10 Euro.
La difficoltà nel concetto della forma di denaro si limita alla comprensione della forma generale di equivalente, cioè della forma generale di valore in generale, la III forma.
La III forma si risolve di riflesso nella II forma,
la forma di valore dispiegata, e il suo elemento costitutivo è la forma I:
20 m di tela = n 1 abito, ossia x merce A = y merce B.
Quindi la forma semplice di merce è il germe della forma di denaro.

4. IL CARATTERE DI FETICCIO DELLA MERCE E IL SUO ARCANO.

A prima vista, una merce sembra una cosa ovvia:
dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica:
finché è valore d'uso, non c'è nulla di misterioso nella merce
sia che la si consideri dal punto di vista che soddisfa bisogni umani
sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto di lavoro umano.

L'uomo con la sua attività cambia in maniera utile per sè le forme dei materiali naturali:
 es. quando fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata: comunque il tavolo rimane legno, cosa sensibile
appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile;
dunque, il carattere mistico della merce non sorge dal suo valore d'uso.
nè dal contenuto delle determinazioni di valore;
in primo luogo, per quanto differenti possano essere i lavori utili o le opere produttive,
essi sono funzioni dell'organismo umano, e tali funzioni sono dispendio di organi umani,
in secondo luogo,
per quel che sta alla base della determinazione della grandezza di valore, cioè la quantità del lavoro questa è distinguibile dalla qualità in maniera tangibile.
Appena gli uomini lavorano l'uno per l'altro, il loro lavoro riceve anche una forma sociale.
dunque dove sorge il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume forma di merce?
proprio da tale forma.

L'eguaglianza dei lavori umani riceve la forma di eguale oggettività di valore dei prodotti del lavoro
la misura del dispendio di forza-lavoro umana, mediante la sua durata temporale riceve
la forma di grandezza di valore dei prodotti del lavoro
infine i rapporti fra i produttori, nei quali si attuano le determinazioni sociali dei loro lavori,
ricevono la forma d'un rapporto sociale dei prodotti del lavoro;

l'arcano della forma di merce consiste semplicemente nel fatto che  tale forma rimanda agli uomini,
come uno specchio, i caratteri sociali del loro lavoro trasformati
in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro
in proprietà sociali naturali di quelle cose
e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo
come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi:
mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sovrasensibili cioè cose sociali:
quel che assume, per gli uomini, la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose
è solo il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi.
per trovare un'analogia si faccia riferimento alla religione dove i prodotti del cervello umano
paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto con gli uomini:
così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana:

chiamo questo: il feticismo
che s'appiccica ai prodotti del lavoro quando sono prodotti come merci,
e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci:
Come dimostrato,
il carattere feticistico del mondo delle merci sorge dal carattere sociale peculiare del lavoro che produce merci.



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Gli oggetti d'uso diventano merci perché sono prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro:
il complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo.

Poiché i produttori entrano in contatto sociale mediante lo scambio dei prodotti del loro lavoro,
anche i caratteri sociali dei loro lavori privati appaiono all'interno di tale scambio
ossia, i lavori privati effettuano la loro qualità di articolazioni del lavoro complessivo sociale
mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori:

quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè:
non come rapporti sociali fra persone nei loro stessi lavori,
ma come rapporti materiali fra persone e rapporti sociali fra le cose.

Solo all'interno dello scambio reciproco
i prodotti di lavoro ricevono un'oggettività di valore socialmente eguale,
separata dalla loro oggettività d'uso, materialmente differente:
questa scissione del prodotto del lavoro in cosa utile e cosa di valore si effettua
appena lo scambio ha acquistato importanza sufficiente affinché cose utili vengano prodotte per lo scambio;
da questo momento in poi i lavori privati dei produttori ricevono un duplice carattere sociale:
da un lato, come lavori utili determinati, debbono soddisfare un determinato bisogno sociale, e far buona prova di sè come articolazioni del lavoro complessivo, del sistema naturale della divisione sociale del lavoro;
dall'altro lato, essi soddisfano solo i bisogni dei loro produttori,
in quanto ogni lavoro privato, utile è scambiabile con ogni altro genere utile di lavoro privato
e quindi gli è equiparato.

L'eguaglianza di lavori differenti può consistere in un far astrazione dalla loro reale disuguaglianza,
nel ridurli al carattere comune che essi posseggono: dispendio di forza-lavoro umana,
il cervello dei produttori privati rispecchia questo duplice carattere sociale dei loro lavori privati,
nelle forme che appaiono nello scambio dei prodotti,
quindi rispecchia il carattere socialmente utile dei loro lavori privati,
in questa forma:  il prodotto del lavoro deve essere utile, e utile per altri,
e rispecchia il carattere sociale dell'eguaglianza dei lavori di genere differente
nella forma del carattere comune di valore di quelle cose materialmente differenti che sono i prodotti del lavoro;
gli uomini riferiscono l'uno all'altro i prodotti del loro lavoro come valori,
non per il fatto che queste cose contino per loro come involucri materiali di lavoro umano omogeneo.

Viceversa:
gli uomini equiparano l'un con l'altro i loro differenti lavori come lavoro umano, equiparando l'uno con l'altro, come valori, nello scambio, i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ciò, ma lo fanno:
quindi il valore non porta scritto in fronte quel che è.
anzi, il valore trasforma ogni prodotto di lavoro in un geroglifico sociale.
La tarda scoperta scientifica che
i prodotti di lavoro sono espressioni materiali del lavoro umano speso nella loro produzione
non disperde la parvenza oggettiva del carattere sociale del lavoro.

In primo luogo quel che interessa a coloro che scambiano prodotti,
è il problema di quanti prodotti altrui riceveranno per il proprio prodotto
quindi in quale proporzione si scambiano i prodotti;
appena queste proporzioni sono maturate raggiungendo una stabilità abituale,
sembrano sgorgare dalla natura dei prodotti del lavoro
es.1 qle di ferro e 20 gr d'oro sono di eguale valore allo stesso modo che 1 kg d'oro e 1 kg di ferro sono di eguale peso nonostante le loro differenti qualità chimiche e fisiche.



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Di fatto, il carattere di valore dei prodotti del lavoro si consolida solo attraverso
la loro attuazione come grandezze di valore: queste variano
indipendentemente da volontà ed azione dei permutanti, per i quali il proprio movimento sociale assume la forma d'un movimento di cose, sotto il cui controllo essi si trovano, invece che averle sotto il proprio controllo.

Occorre che ci sia una produzione di merci completamente sviluppata, prima che dall'esperienza
nasca la cognizione scientifica che i lavori privati - compiuti indipendentemente l'uno dall'altro, ma dipendenti l'uno dall'altro come articolazioni naturali della divisione sociale del lavoro –
vengono idotti alla loro misura socialmente proporzionale perché nei rapporti di scambio dei loro prodotti, casuali e oscillanti, trionfa il tempo di lavoro socialmente necessario per la loro produzione.

La determinazione della grandezza di valore mediante il tempo di lavoro
è quindi un arcano, celato sotto i movimenti dei valori relativi delle merci.

L'analisi scientifica prende una strada opposta allo svolgimento reale, parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento.
Le forme che danno ai prodotti del lavoro l'impronta di merci hanno già la solidità di forme naturali della vita sociale, prima che gli uomini cerchino di rendersi conto del loro contenuto:
così,
solo l'analisi dei prezzi delle merci ha condotto alla determinazione della grandezza di valore;
solo l'espressione delle merci in denaro ha condotto alla fissazione del loro carattere di valore.

Questa forma finita - la forma di denaro - del mondo delle merci vela invece di svelarlo,
il carattere sociale dei lavori privati, e quindi i rapporti sociali dei lavoratori privati.

Quando i produttori dell'abito, degli stivali riferiscono queste merci alla tela - o all'oro e argento come equivalente generale,
la relazione dei loro lavori privati col lavoro complessivo sociale si presenta loro appunto in quella forma stravagante:
tali forme costituiscono le categorie dell'economia borghese
sono forme di pensiero socialmente valide, quindi oggettive,
per i rapporti di produzione di questo modo di produzione sociale storicamente determinato,
per i rapporti di produzione della produzione di merci.

Appena ci rifugiamo in altre forme di produzione, scompare il misticismo del mondo delle merci, l'incantesimo  che circondano di nebbia i prodotti del lavoro sulla base della produzione di merci.

Robinson

ha bisogni di vario genere da soddisfare
quindi deve compiere lavori utili di vario genere: fare strumenti, fabbricare mobili pescare, cacciare:
nonostante la differenza fra le sue funzioni produtti egli sa che le sue differenti funzioni produttive
sono differenti forme di operosità di sé stesso dunque modi differenti di lavoro umano,
la necessità lo costringe a distribuire esattamente il proprio tempo fra le sue differenti funzioni,
che l'una prenda più posto, l'altra meno posto nella sua operosità
dipende dalla difficoltà maggiore o minore da superare per raggiungere l’effetto d'utilità;
questo glielo insegna l'esperienza e Robinson che ha salvato dal naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, tiene la contabilità di sè stesso:
un elenco degli oggetti d'uso che possiede,
delle operazioni richieste per la loro produzione,
infine del tempo di lavoro che gli costano determinate quantità di questi prodotti;
le relazioni fra Robinson e le cose costituiscono la ricchezza che egli s'è creata:
eppure, vi sono contenute tutte le determinazioni essenziali del valore.



18




Nel Medioevo europeo invece dell'uomo indipendente, tutti sono dipendenti: servi della gleba e padroni, vassalli e signori feudali:
la dipendenza personale caratterizza tanto i rapporti sociali della produzione materiale, quanto le sfere di vita su di essa edificate,
proprio perché rapporti personali di dipendenza costituiscono il fondamento sociale,
lavori e prodotti non hanno bisogno di assumere una figura fantastica differente dalla loro realtà:
si risolvono come servizi in natura e prestazioni in natura:
la forma naturale del lavoro, la sua particolarità è qui la sua forma sociale immediata,
e non la sua generalità, come avviene sulla base della produzione di merci.
La corvée si misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci,
ma il servo della gleba sa che aliena, al servizio del suo padrone, una quantità determinata della sua forza-lavoro

Quindi, qualunque sia il giudizio che si voglia dare delle maschere nelle quali gli uomini si presentano l'uno all'altro in quel teatro,
i rapporti sociali delle persone appaiono come loro rapporti personali
e non sono travestiti da rapporti sociali delle cose, dei prodotti del lavoro.

Un esempio più vicino è costituito dall'industria patriarcale d'una famiglia di contadini,
che produce grano, bestiame, filati, tela, pezzi di vestiario:
per la famiglia, queste cose differenti si presentano come prodotti differenti del suo lavoro familiare;
invece per quanto riguarda le cose stesse, esse non si presentano reciprocamente l'una all'altra come merci:
i differenti lavori che generano quei prodotti, aratura, allevamento, filatura, tessitura,
nella loro forma naturale sono funzioni sociali
poiché sono funzioni della famiglia che ha,
proprio come la produzione di merci, la sua propria divisione del lavoro, naturale ed originaria;
qui però
il dispendio delle forze-lavoro individuali, misurato con la durata temporale, si presenta per sua natura come determinazione sociale dei lavori stessi
poiché le forze-lavoro individuali operano per la loro natura come organi dalla forza-lavoro comune della famiglia;

infine, immaginiamoci
un'associazione di uomini liberi che lavorino con mezzi di produzione comuni
e spendano coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale:
qui si ripetono le determinazioni del lavoro di Robinson, però socialmente invece che individualmente:
i prodotti di Robinson erano sua produzione personale, quindi oggetti d'uso per lui;

la produzione complessiva dell'associazione è una produzione sociale:
una parte, serve a sua volta da mezzo di produzione, rimane sociale,
un'altra parte viene consumata come mezzo di sussistenza dai membri dell'associazione
quindi deve essere distribuita fra di essi.

Il tempo di lavoro serve allo stesso tempo
come misura della partecipazione individuale del produttore al lavoro in comune,
e quindi anche alla parte della produzione comune consumabile individualmente:
qui le relazioni sociali degli uomini coi loro lavori e con i prodotti del loro lavoro
rimangono semplici e trasparenti tanto nella produzione quanto nella distribuzione;
la figura del processo materiale di produzione, si toglie il suo mistico velo solo quando sta,
come prodotto di uomini liberamente uniti in società,
sotto il loro controllo cosciente e condotto secondo un piano.



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L'economia politica ha analizzato il valore e la grandezza di valore, ha scoperto il contenuto nascosto in queste forme:
non ha posto il problema del perché quel contenuto assuma quella forma,
e perché il lavoro rappresenti se stesso nel valore,
e la misura del lavoro mediante la sua durata temporale rappresenti sè stessa nella grandezza di valore del prodotto del lavoro.
Queste formule portano segnata in fronte la loro appartenenza a una formazione sociale
nella quale il processo di produzione padroneggia gli uomini, e l'uomo non padroneggia il processo produttivo.
La contesa sulla funzione della natura nella formazione del valore di scambio dimostra come gli economisti
si sia ingannata dal feticismo inerente al mondo delle merci ossia dalla parvenza oggettiva delle determinazioni sociali del lavoro.
se le merci potessero parlare, direbbero:
il nostro valore d'uso può interessare gli uomini,
come cose, non compete a noi
come cose, ci compete, il nostro valore:
questo lo dimostrano le nostre relazioni come cose-merci,
ci riferiamo reciprocamente l'una all'altra solo come valori di scambio.

Si ascolti ora come l'economista parla con la merce: "Valore è qualità delle cose, ricchezza (valore d'uso) dell'uomo. Valore in questo senso scambio; ricchezza, no”. “La ricchezza (valore d'uso) è un attributo dell'uomo, il valore è un attributo delle cose. Un uomo o una comunità è ricca; una perla o un diamante è di valore... Una perla o un diamante ha valore come perla o diamante.
Finora nessun chimico ha ancora scoperto valore di scambio in perle o diamanti.
Gli scopritori economici di questa sostanza chimica trovano però che il valore d'uso delle cose è indipendente dalle loro qualità di cose, mentre il loro valore compete ad esse come cose. Quel che li conferma in ciò, è la strana circostanza che il valore d'uso delle cose si realizza per l'uomo senza scambio, cioè nel rapporto immediato fra cosa e uomo; mentre il loro valore si realizza inversamente soltanto nello scambio, cioè in un processo sociale




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CAPITOLO 2

IL PROCESSO DI SCAMBIO

Le merci non possono andarsene da sole al mercato e non possono scambiarsi da sole
dunque dobbiamo cercare i loro tutori, i possessori di merci.

Le merci sono cose,
i tutori delle merci debbono comportarsi l'uno di fronte all'altro come persone:
l'uno si appropria la merce altrui, alienando la propria, mediante un atto di volontà comune a entrambi;

i possessori di merci debbono riconoscersi, reciprocamente, quali proprietari privati:
questo rapporto giuridico, la cui forma è il contratto, è un rapporto di volontà nel quale si rispecchia il rapporto economico
il contenuto di tale rapporto giuridico ossia di volontà è dato mediante il rapporto economico stesso,
qui le persone esistono l'una per l'altra come rappresentanti di merce, quindi come possessori di merci:
le maschere caratteristiche economiche delle persone sono le personificazioni di quei rapporti economici.

Ogni altro corpo di merce appare alla merce stessa come forma fenomenica del suo proprio valore:
cinica e livellatrice dalla nascita, la merce è sempre pronta a fare scambio dell'anima e del corpo con altra merce,
la merce ha valore d'uso per altri:

per il possessore di merci la sua merce non ha nessun valore d'uso
per lui ha il valore d'uso d'essere depositaria di valore di scambio, e così d'essere mezzo di scambio:
per i possessori di merci, esse sono valori non d'uso,
per i non-possessori sono valori d'uso
quindi debbono cambiar di mano: questo cambiamento costituisce il loro scambio
e il loro scambio le realizza come valori:
dunque, le merci debbono realizzarsi come valori, prima di potersi realizzare come valori d'uso
d'altra parte le merci debbono dar prova di sé come valori d’uso, prima di potersi realizzare come valori
poiché il lavoro umano speso in esse conta in quanto è speso in forma utile per altri:
ma solo il suo scambio può dimostrare
se esso è utile ad altri e quindi se il suo prodotto soddisfa bisogni di altre persone.

Ogni possessore di merci vuole alienare la sua merce solo contro altra merce
il cui valore d'uso soddisfi il suo bisogno:
fin qui lo scambio è per lui solo processo individuale;
vuole realizzare la sua merce come valore, cioè la vuol realizzare in ogni altra merce dello stesso valore
sia che la sua merce abbia o non abbia valore d'uso per il possessore dell'altra merce:
fin qui lo scambio è per lui processo generalmente sociale;

lo stesso processo non può essere contemporaneamente e per tutti i possessori di merci
solo individuale e insieme solo generalmente sociale:
per ogni possessore di merci la merce altrui conta come equivalente della propria merce,
quindi la sua merce conta per lui come equivalente generale di tutte le altre merci;

poiché tutti i possessori di merci fanno la stessa cosa, nessuna merce è equivalente generale,
quindi le merci non posseggono una forma relativa generale di valore, nella quale
si equiparino come valori
e si mettano a paragone come grandezze di valore:
quindi esse non si trovano l'una di fronte all'altra come merci, ma solo come prodotti ossia valori d'uso.



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Questo è. il risultato dell'analisi della merce:
i possessori di merci possono riferire le loro merci l'una all'altra come valori quindi come merci,
solo riferendole per opposizione, oggettivamente, a qualsiasi altra merce quale equivalente generale:

solo l'azione sociale può fare d'una merce determinata l'equivalente generale:
quindi l'azione sociale di tutte le merci esclude una merce determinata
nella quale le altre rappresentino i loro valori.
così la forma naturale di questa merce diventa forma di equivalente socialmente valida.

Mediante il processo sociale, l'esser equivalente generale diventa funzione sociale specifica della merce esclusa: così essa diventa – denaro:
la cristallizzazione "denaro" è un prodotto necessario del processo di scambio
nel quale prodotti di lavoro di tipo differente vengono equiparati e trasformati di fatto in merci.

L’estensione dello scambio dispiega l'opposizione latente
fra valore d'uso e valore dormiente nella natura della merce:
il bisogno di dare, per il commercio, una presentazione esterna di tale opposizione,
spinge verso una forma indipendente del valore delle merci
tale forma non è raggiunta mediante lo sdoppiamento della merce in merce e denaro
 quindi, la trasformazione della merce in denaro
 si compie nella stessa misura della trasformazione dei prodotti del lavoro in merci.
Lo scambio immediato dei prodotti
per una parte ha la forma dell'espressione semplice di valore,
per l'altra parte non l'ha ancora:
le cose A e B non sono merci prima dello scambio, ma diventano tali solo attraverso di ess;

le cose, sono estranee all'uomo, e quindi alienabili:
affinché tale alienazione sia reciproca,
gli uomini devono comportarsi come proprietari privati di quelle cose alienabili
e perciò affrontarsi come persone indipendenti l’una dall'altra:
tuttavia tale rapporto di reciproca estraneità non esiste per i membri di una comunità naturale originaria
abbia forma di famiglia patriarcale, di comunità paleo indiana, di Stato degli Incas;
lo scambio di merci comincia dove finiscono le comunità, ai loro punti di contatto con comunità estranee:
una volta le cose divenute merci nella vita esterna della comunità, diventano tali anche nella vita interna di essa.

In un primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è casuale:
sono scambiabili per l'atto di volontà dei loro possessori,
la ripetizione dello scambio fa di quest'ultimo un processo sociale regolare
nel corso del tempo una parte dei prodotti del lavoro dev'essere prodotta con l'intenzione di farne scambio;
da questo momento in poi si consolida
da una parte, la separazione fra l'utilità delle cose per il bisogno immediato
e la loro utilità per lo scambio:
il loro valore d'uso si separa dal loro valore di scambio,
dall'altra parte il rapporto quantitativo secondo il quale esse vengono scambiate
diventa dipendente dalla loro produzione:
l'abitudine le fissa come grandezze di valore.

Nello scambio dei prodotti ogni merce è mezzo di scambio per il suo possessore
ed equivalente per chi non la possiede: tuttavia solo in quanto è valore d'uso per quest'ultimo.
l'articolo di scambio non riceve ancora una forma di valore indipendente
dal suo valore di uso o dal bisogno individuale di coloro che compiono lo scambio:
la necessità di questa forma
si sviluppa col crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo di scambio.




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Un commercio nel quale possessori di merci si scambino i propri articoli con altri articoli,
non ha mai luogo senza che
merci differenti siano scambiate come valori da differenti possessori di merci
con uno stesso e terzo genere di merci:
tale terza merce, diventando equivalente di altre merci, riceve la forma generale o sociale di equivalente.
questa forma generale di equivalente nasce e finisce col contatto sociale momentaneo che l'ha chiamata in vita.
con lo svilupparsi dello scambio delle merci
essa aderisce esclusivamente a particolari generi di merce, ossia si cristallizza in forma di denaro:
da principio, è casuale che essa aderisca a questo o a quel genere di merci.

due circostanze sono decisive:
la forma di denaro aderisce
o agli articoli di baratto dall'estero, che sono forme fenomeniche naturali e originarie del valore di scambio dei prodotti indigeni;
oppure all'oggetto d'uso che costituisce l'elemento principale del possesso alienabile indigeno es. bestiame.

I popoli nomadi sviluppano per primi la forma di denaro,
poiché tutti i loro beni si trovano in forma mobile, quindi immediatamente scambiabile,
e perché il loro genere di vita li porta a contatto con comunità straniere
quindi li sollecita allo scambio dei prodotti;

la forma di denaro passa a merci che per natura sono adatte
alla funzione sociale di equivalente generale, ai metalli nobili
nella stessa misura che lo scambio di merci fa saltare i suoi vincoli locali
e quindi che il valore delle merci si amplia a materializzazione del lavoro umano:
la congruenza delle loro qualità naturali con la funzione del denaro mostra che
"benché oro e argento non siano naturalmente denaro, il denaro è naturalmente oro e argento".

finora conosciamo solo questa funzione del denaro:
come materiale nel quale si esprimono socialmente le grandezze di valore delle merci,
di servire come forma fenomenica del valore delle merci:
forma fenomenica adeguata di valore o materializzazione di lavoro umano astratto,
può essere una materia i cui esemplari posseggano la stessa qualità.

Poiché la differenza della grandezza di valore è quantitativa
la merce-denaro
dev'essere suscettibile di differenze quantitative, cioè dev'essere divisibile e ricomponibile, riunendone le parti
l'oro e l'argento posseggono per natura queste proprietà.

Il valore d'uso della merce-denaro si raddoppia:
accanto al suo valore d'uso particolare come merce es. l'oro serve per otturare denti e per articoli di lusso
essa riceve un valore d'uso formale che sorge dalle sue funzioni sociali specifiche;

poiché tutte le altre merci sono equivalenti del denaro e il denaro è il loro equivalente generale,
esse si comportano come merci particolari nei confronti del denaro come merce universale.

S'è visto che
la forma di denaro è solo il riflesso delle relazioni di tutte le altre merci che aderisce saldamente ad una merce.

Il processo di scambio non dà alla merce, che esso trasforma in denaro, il suo valore,
ma la sua forma specifica di valore.


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La confusione fra le due determinazioni
ha indotto a ritenere immaginario il valore dell'oro e dell'argento;
poiché la moneta in certe sue funzioni può essere sostituita con segni di sè stessa,
è sorto l'altro errore ch'essa sia un semplice segno.

in ciò c'era l'intuizione che
la forma di denaro della cosa le sia esterna,
e sia pura forma fenomenica di rapporti umani nascosti dietro di essa;
in questo senso
ogni merce sarebbe un segno, poiché come valore, sarebbe l'involucro materiale del lavoro umano speso;
dichiarando
puri segni i caratteri sociali che ricevono gli oggetti, ossia i caratteri oggettivi che ricevono le determinazioni sociali del lavoro sulla base d'un determinato modo di produzione,
si dichiara anche che essi sono il prodotto arbitrario della riflessione dell'uomo:
questa era una maniera prediletta dell'illuminismo
per togliere la parvenza della stranezza a quelle enigmatiche forme di rapporti umani che non s’era in grado di decifrare.

RIASSUNTO
È stato osservato più sopra che
la forma di equivalente d'una merce non implica la determinazione quantitativa della sua grandezza di valore.
si sa che l'oro è denaro quindi è scambiabile con le altre merci
non perciò si sa quanto valgono per es. dieci libbre d’oro.
Come ogni merce, il denaro può esprimere la propria grandezza di valore solo relativamente, in altre merci,
il suo  valore è determinato dal tempo di lavoro richiesto per la sua produzione
e si esprime nelle quantità di ogni altra merce nella quale si è coagulato altrettanto tempo di lavoro.
questa fissazione della sua grandezza relativa di valore
ha luogo alla sua fonte di produzione nel traffico immediato di scambio.
Abbiamo visto come già
nella semplice espressione di valore, x merce A = y merce B,
la cosa nella quale viene rappresentata la grandezza di valore d'un'altra cosa,
sembra possedere come qualità sociale di natura la propria forma di equivalente
indipendentemente da tale rapporto:
abbiamo seguito il consolidarsi di questa erronea parvenza:
questo consolidamento è completato, appena
la forma generale di equivalente  quando si è cristallizzata nella forma di denaro.

Non sembra che una merce diventi denaro perché le altre merci rappresentano in essa i loro valori,
ma viceversa, sembra che le altre merci rappresentino in quella i loro valori perché essa è denaro:
il movimento mediatore scompare nel proprio risultato senza lasciar traccia.

Le merci trovano la loro propria figura di valore davanti a sé belle pronta: senza che esse c'entrino
come un corpo di merce esistente fuori di esse:
queste cose che sono l’oro e l’argento, come emergono dalle terra, sono l’incarnazione di ogni lavoro umano,
di qui la magia del denaro.

Il contegno degli uomini e quindi la figura materiale dei loro propri rapporti di produzione,
indipendente dal loro controllo e dal loro consapevole agire individuale,
si mostrano in primo luogo nel fatto che i prodotti del loro lavoro assumono la forma di merci:
quindi l’enigma del feticcio denaro è solo l’enigma del feticcio merce divenuto visibile.





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