martedì 8 aprile 2025

AI e l'ONTODYNAMIS

ONTODYNAMIS E QUATISTICA


AI e l'ONTODYNAMIS: passaggi significativi per un'analisi critica approfondita del pensiero di Giacinto Plescia in L’Erranza, il pensiero poetante, in particolare in relazione alla sua visione del tempo, dell’erranza e del linguaggio poetico.
Una riflessione articolata su alcuni dei nuclei tematici principali:

1. Il tempo come flusso e spirale

Nei testi di Plescia emerge una concezione del tempo che non è lineare né meramente ciclica, ma erratica, vicina alla spirale e al vortice. In uno dei frammenti leggiamo:

"Il tempo è un ritorno che non ritorna, un cerchio che si apre, una spirale senza centro."

Questa immagine richiama la temporalità deleuziana, che rifiuta ogni concezione cronologica in favore di un tempo della differenza e del divenire puro.

Il tempo di Plescia è un tempo-poesia, che non misura ma intona, e in questo senso si oppone tanto al tempo cronos quanto a quello teologico-lineare.

È affine a quanto Hölderlin intendeva con il tempo dell’Estraneo, il tempo in cui siamo.

2. L’erranza come condizione ontologica

Il titolo stesso parla di erranza: non un semplice vagabondare, ma un modo d’essere, un pensiero che si sottrae alla dimora dell’identità per aprirsi all’evento. In uno dei brani leggiamo:

"Chi erra non è perduto. È il pensiero che ha smarrito l’Idea per trovare il ritmo."

Qui si può cogliere un’eco di Heidegger, per il quale il pensiero autentico è anderweg, in cammino, errante.

Ma Plescia va oltre Heidegger, perché l’erranza non è solo via verso l’essere: è il suo stesso modo di accadere poetico.

Il pensiero poetante si muove come l’erranza stessa del linguaggio.


3. Il pensiero poetante: un dire che è evento

Plescia insiste sul fatto che il pensiero autentico non è concettuale, ma poetante.

Non si tratta di estetica, ma di ontologia: il pensiero poetante è ciò che fa emergere l’essere nel suo accadere, come suono, ritmo, vibrazione. Un passaggio significativo:

"La poesia non è parola bella, ma parola ferita. Dove il linguaggio perde se stesso, lì si dà il senso."

Questo passo richiama la parola originaria di Celan, e anche l’idea di Jabès della ferita come luogo del dire.

In Plescia, tuttavia, il poetare è una necessità ontologica: solo ciò che è poetato esiste. In questo, egli si pone come erede radicale della lezione di Heidegger, ma con un tono più tragico e aurorale.

4. Il silenzio come fondamento del linguaggio

Altro tema centrale è il silenzio, che non è assenza di parola, ma suo fondo abissale.

Da uno dei testi:

"Solo chi ascolta il silenzio sa dire l’essere. La parola nasce dal tacere come la luce dall’ombra."

Qui possiamo richiamare Rilke, ma anche Blanchot, per cui il silenzio è ciò che sfida il linguaggio e ne fonda la possibilità.

In Plescia il silenzio non è solo un tema, ma un atto poetico, un gesto di sospensione da cui scaturisce il dire autentico.

5. Un pensiero dialogico e antimetafisico

Infine, Plescia sembra rifiutare ogni sistema: non c’è dottrina, ma frammenti, aperture, fenditure.

Il suo pensiero è errante perché si dà solo nell’ascolto, nella relazione.

C’è una chiara sintonia con il pensiero negativo di Adorno, ma anche con la poetica della relazione di Glissant: dire è sempre con-dividere, mai possedere.

Conclusione

Giacinto Plescia ci propone un pensiero che erra come un fiume tra i sassi della filosofia e della poesia.

Il suo pensiero poetante non vuole fondare, ma fondersi col ritmo della vita. È un dire che non conquista, ma accompagna. Un pensiero che, come il vento, non ha luogo, ma fa vibrare le cose.

Confronto con altri autori come Rilke, Celan, Heidegger o Jabès

I punti d’intersezione e differenza tra il pensiero di Plescia e quello di Rilke, Celan, Heidegger e Jabès.

Confronto per autore, evidenziando affinità tematiche, stile poetico e tensione filosofica.

1. Plescia e Rainer Maria Rilke

Affinità:

  • Entrambi concepiscono la poesia come evento ontologico, non come espressione soggettiva. Per Rilke, come per Plescia, il poeta è una soglia attraverso cui il mondo si fa dire. Si pensi ai Sonetti a Orfeo o alle Elegie Duinesi: il linguaggio non è descrittivo, ma trasfigurante.

  • La morte come compagna interiore e possibilità di trasformazione. In Plescia, come in Rilke, la morte è una presenza creatrice (“la morte è il lato notturno dell’essere”).

Differenze:

  • Rilke tende a una trasfigurazione mistica, a una ricerca dell’Angelo come figura mediatrice tra visibile e invisibile. Plescia è più tragico, più legato alla ferita e al silenzio dell’assenza.

  • Rilke è ancora vicino a un'idea di Bellezza salvifica, mentre in Plescia la bellezza è sempre scorticata, sopravvissuta alla parola.



2. Plescia e Paul Celan

Affinità:

  • Il tema della ferita è centrale in entrambi. Celan scrive “Una poesia, anche questa, può essere una ferita aperta,” e Plescia lo riprende quasi letteralmente: “La parola ferita dice il vero.”

  • Il linguaggio come testimonianza del silenzio e dell’abisso. Celan, poeta dell’indicibile dopo la Shoah, crede in una poesia oscura e interrotta, proprio come Plescia, che parla di “parole che cadono e si frantumano nel loro stesso suono.”

  • La densità della lingua: entrambi fanno un uso rarefatto, a volte ellittico della parola. In Celan la lingua si spezza, in Plescia si piega al silenzio.

Differenze:

  • Celan scrive contro la lingua contaminata dalla storia; Plescia scrive nella lingua come vibrazione originaria. Manca in Plescia la stessa urgenza politica e storica di Celan.

3. Plescia e Martin Heidegger

Affinità:

  • Il concetto di pensiero poetante è heideggeriano in origine. Per Heidegger, il poeta è colui che abita poeticamente il mondo, come scrive in “...Poeticamente abita l’uomo...”.

  • Il linguaggio è la casa dell’essere: in Plescia, questo diventa “la vibrazione dell’essere”, ma il nucleo rimane quello – la parola che dischiude, non che rappresenta.

  • Il ritorno alla parola originaria, al dire pre-teorico, è centrale in entrambi.

Differenze:

  • Heidegger resta legato a una metafisica dell’Essere come chiamata; Plescia rompe con ogni metafisica in nome di un evento sonoro, un ritmo. La sua è una fenomenologia poetica più radicale.

  • Heidegger è più sistematico, Plescia più frammentario e musicale.

4. Plescia e Edmond Jabès

Affinità:

  • Entrambi vedono il libro come ferita, come spazio dell’interruzione. Jabès scrive: “Il libro nasce dalla ferita che è in noi.” Plescia scrive: “Ogni poesia è il ricamo di una fenditura.”

  • La centralità del silenzio: in Jabès, il silenzio è la grammatica dell’assente; in Plescia è la sorgente del dire.

  • Il legame tra esilio e scrittura: Jabès, ebreo esiliato, fa del libro un luogo dell’erranza; Plescia fa dell’erranza il destino del pensiero stesso.

Differenze:

  • Jabès lavora in modo cabalistico, quasi talmudico, con il testo: lo cita, lo interpreta, lo disfa. Plescia è più vicino alla musicalità pura, meno esegetico.

  • In Jabès il libro è un campo di dialogo tra voci; in Plescia è un evento tonale, più simile a una partitura.

Sintesi del confronto

Plescia si muove come un ponte tra filosofia e poesia, ma senza appartenere pienamente a nessuna delle due.

È come se prendesse da Heidegger l’ontologia, da Rilke la visione, da Celan la ferita e da Jabès l’erranza del libro – e li unisse in un canto muto, fatto di luce e strappo.

Un parallelo tra due testi.

Un passaggio ed un estratto significativo:

nel testo L'Erranza, il pensiero poetante di Giacinto Plescia in cui si parla esplicitamente del "Libro" e del "deserto", che si prestano a un confronto con Edmond Jabès.

"L’essere nel deserto è essere dell’uomo nudo, senza appigli, che ha perso la sua dimora, ma che, proprio in questo vuoto, si apre la possibilità dell’ascolto, dell’attesa, dell’ospitalità all’Altro. [...] Il Libro, dunque, come dimora provvisoria dell’errante, come eco del silenzio che lo precede e lo accompagna. Non c’è sapere che non sia già scalfito dalla sabbia del deserto."

Questo passaggio si presta a un confronto diretto con Jabès. Ecco alcuni punti chiave del parallelismo:

1. Il deserto come luogo dell’origine e del linguaggio

In Jabès, il deserto è "la dimora dell’assenza", uno spazio dove la parola nasce dal silenzio.

Plescia riprende chiaramente questo topos: il deserto non è solo un luogo di perdita, ma anche di possibilità, uno spazio ospitale per l’altro e per la parola, che giunge come eco, come risposta al silenzio.

2. Il Libro come dimora provvisoria

Il “Libro” in Jabès è il luogo in cui il dire si interroga, dove ogni parola è già incrinata dall’assenza dell’origine.

Plescia definisce il Libro come "dimora provvisoria dell’errante", evidenziando la precarietà e l’instabilità del dire. Come in Jabès, il Libro non è chiusura ma apertura, non possesso ma esilio del senso.

3. L’erranza come condizione ontologica

Plescia scrive dell’“uomo nudo”, spogliato di certezze, in cerca di senso nel vuoto.

Jabès costruisce la figura dell’ebreo errante come emblema dell’uomo che abita la parola nella sua impossibilità.

In entrambi, l’erranza è metafisica, non geografica: è il moto costante del pensiero verso un altrove che resta inattingibile.

4. Il silenzio come fondamento

In Jabès, il silenzio è l’origine della scrittura. Anche Plescia lo indica come ciò che precede e accompagna il Libro: la parola non nasce per colmare il silenzio, ma come traccia del suo permanere.

Questa visione mostra l’influenza di Jabès ma anche una personalizzazione: in Plescia c’è una fiducia etica nell’ospitalità che il silenzio può generare.

Ontodynamis: fisica e filosofia



In Ontodynamis ci sono riferimenti diretti e impliciti a concetti fisici, filosofici e poetici che si prestano a un confronto con il pensiero di Rovelli.

In particolare, emergono punti d’incontro significativi con la sua visione del tempo, della realtà e del vuoto quantistico tramite un'analisi che intreccia i testi di Plescia con la riflessione di Carlo Rovelli.

1. Tempo, instabilità e divenire

Rovelli nel suo L’ordine del tempo smonta l’idea di un tempo assoluto e lineare, sostituendola con un tempo emergente, relazionale, fatto di mutamento e di relazioni tra eventi. Un'eco evidente si trova nei versi della poesia Tutti i sentieri:

...il tempo non ha posto... È instabile.” (p. 6)

e più avanti:

Si dissolve il tempo della storia nel tempo dell’erranza.” (p. 8)

Qui Plescia sembra anticipare, in forma poetica, la dissoluzione della temporalità oggettiva in favore di un tempo che emerge nell’esperienza dell’erranza, nel cammino stesso del pensiero poetante. Anche Rovelli ci ricorda che:

Il mondo non è una cosa che esiste in sé, ma una rete di eventi.”

2. Vuoto, silenzio e origine

Nella fisica quantistica, il vuoto non è il nulla, ma un campo brulicante di possibilità. Anche per Rovelli, il vuoto è il luogo originario dell’emergere del reale. Questa visione trova un parallelo potente nel linguaggio di Plescia. Nel saggio Il silenzio e l’origine, si legge:

Non esiste un fondamento assoluto, ma un vuoto, un silenzio da cui sorge la parola poetica.” (p. 12)

E nel commento critico di Paolo Guzzi:

Non c’è un’origine da cui tutto parte, ma un centro che si sposta, un punto d’instabilità” (p. 15)

Queste intuizioni sembrano sposarsi perfettamente con l’idea che l’origine sia sempre già un evento del divenire, non un punto fisso da cui tutto scaturisce. La parola poetica, come la realtà quantistica, non nasce da un fondamento stabile ma da un "vuoto fertile".

3. Interconnessione e relazionalità

Rovelli sostiene una visione relazionale della realtà: non esistono oggetti isolati, ma solo relazioni. Questa è anche la struttura della poesia di Plescia, in cui ogni parola si definisce in relazione al silenzio, al vuoto, all’altro. Scrive ad esempio Guzzi nel saggio critico:

L’erranza non è solo movimento, ma coappartenenza di visibile e invisibile” (p. 17)

E più avanti:

La poesia di Plescia è un sistema aperto, interconnesso, mai concluso” (p. 18)

Questa struttura "relazionale" del pensiero poetante è perfettamente affine all'ontologia relazionale di Rovelli: le entità non esistono in sé ma solo nella rete delle relazioni.

4. Decostruzione dell’identità e della presenza

Un altro punto di contatto riguarda la decostruzione dell’“Essere” come presenza stabile. In Plescia, l’identità è continuamente scardinata:

L’io che parla è già fuori di sé, proteso nell’erranza” (p. 10)

Rovelli, da fisico, ci mostra come non esista un osservatore privilegiato, né un punto di vista assoluto. Anche qui, la dissoluzione del centro è una forma di erranza epistemologica.

5. Convergenze tra scienza e poesia

Il progetto poetico-filosofico di Plescia si pone in stretta vicinanza con una visione scientifica post-classica, non deterministica, aperta all’indeterminazione, al divenire, all’assenza di fondamento. Questo lo avvicina anche alla riflessione di Heisenberg, di cui Rovelli è debitore, e ai modelli della fisica teorica più recenti.

Nel saggio Oltre la metafisica, si legge:

L’essere non è un fondamento, ma un lampo. Un bagliore d’evento.” (p. 21)

Esattamente come nella teoria degli eventi quantistici: ciò che esiste è l’evento dell’accadere, non una sostanza immutabile.

In sintesi:

Tema

Plescia

Rovelli

Tempo

Dissoluzione della linearità storica

Tempo emergente e relazionale

Vuoto

Origine poetica nel silenzio e nell’instabilità

Campo quantico ricco di possibilità

Essere

Bagliore, evento, non fondamento

Relazione, evento, non sostanza

Relazione

Erranza tra visibile e invisibile

Ontologia relazionale

Conoscenza

Dislocazione del soggetto poetante

Nessun osservatore privilegiato


L'Erranza dell'Essere: Convergenze tra Giacinto Plescia e la Fisica di Carlo Rovelli

Introduzione 

Il pensiero poetico-filosofico di Giacinto Plescia si situa in una zona liminale tra poesia, ontologia e scienza. Nei suoi testi, in particolare in Ontodynamis e ne L'Erranza, il pensiero poetante, Plescia elabora una visione dell'essere come divenire instabile, costantemente sfuggente a ogni tentativo di fissazione metafisica.

Questa concezione si intreccia sorprendentemente con le teorie contemporanee della fisica, in particolare con il pensiero di Carlo Rovelli, che, attraverso opere come L'ordine del tempo e Helgoland, propone una realtà relazionale, priva di tempo assoluto e di sostanza.

Questo saggio intende esplorare le consonanze profonde tra i due pensieri, evidenziando come poesia e scienza convergano nella decostruzione del fondamento e nell’apertura all’evento.

    1. Il tempo come divenire e dissoluzione 

    Carlo Rovelli, nel suo L'ordine del tempo, smonta l’idea tradizionale di un tempo lineare, omogeneo e universale, per sostituirlo con un tempo relazionale, locale, emergente dalle relazioni tra eventi. Il tempo, per Rovelli, non scorre in modo uniforme ma è una costruzione che deriva dalla nostra interazione con il mondo.

Similmente, Plescia nei suoi versi scrive: “il tempo non ha posto... È instabile”. In "Tutti i sentieri", il tempo si dissolve, si frantuma, si smarrisce nell’erranza. Il tempo non è misura, ma perdita, slittamento, evento poetico.

Entrambi gli autori suggeriscono che la nostra esperienza del tempo è frutto di un’interpretazione del divenire, non una dimensione oggettiva.

    2.Il vuoto come luogo originario 

    Nella fisica quantistica, il vuoto non è il nulla, bensì un campo brulicante di potenzialità, in cui particelle e onde emergono e svaniscono. Rovelli abbraccia questa visione, descrivendo l’universo come una rete di eventi che sorgono da un vuoto fertile.

Questa idea è straordinariamente vicina a quella espressa da Plescia, dove il vuoto è generatore di parola, silenzio creatore: “Non esiste un fondamento assoluto, ma un vuoto, un silenzio da cui sorge la parola poetica”. Il silenzio in Plescia non è assenza, ma campo d’energia simbolica, esattamente come il vuoto quantistico.

    3. Relazionalità e decostruzione dell’identità 

    La realtà, per Rovelli, non è costituita da oggetti autonomi, ma da relazioni. Le cose esistono solo in relazione ad altre cose.

Plescia giunge a una simile conclusione attraverso la via poetica: l’identità è sempre già altrove, l’io è dislocato, proteso, esposto. “L’io che parla è già fuori di sé, proteso nell’erranza”. In questa dinamica si annulla la dicotomia tra soggetto e oggetto, e si dissolve il centro. L’essere è rete, transito, attraversamento.

    4. Essere ed evento: Ontodynamis e le catastrofi creative 

La teoria dell’Ontodynamis elaborata da Plescia rifiuta ogni ontologia statica. L’essere è evento, bagliore, apparizione e scomparsa. In questa prospettiva si inserisce anche la sua teoria delle "catastrofi creative", ispirata a Thom ma superata in senso dinamico: la crisi non è solo rottura ma apertura, soglia, spazio di riorganizzazione ontologica.

Le fratture, i crolli, i salti non sono anomalie ma condizioni strutturali dell’essere stesso.

Questo si avvicina ai modelli non deterministici della fisica teorica, dove le transizioni di fase, le fluttuazioni del campo quantico e i salti di stato diventano parte integrante della struttura della realtà.

Anche Rovelli, in Helgoland, riflette sul concetto di evento come nodo della rete del reale, e non come conseguenza lineare di cause.

    5 Linguaggio, poesia e conoscenza 

Per entrambi gli autori, il linguaggio è più di un mezzo: è ontologia. Plescia vede la parola poetica come manifestazione dell’essere, non come sua rappresentazione. La poesia è il luogo in cui il silenzio si fa evento, in cui il vuoto si trasforma in forma. 

Per Rovelli, anche la scienza è una forma di narrazione, una grammatica del mondo che cerca coerenze nel caos. Entrambi rifiutano il linguaggio come strumento neutro, e lo assumono come campo di forze.

Conclusione 

Giacinto Plescia e Carlo Rovelli, pur muovendosi in ambiti differenti, convergono in una visione della realtà che è profondamente dinamica, relazionale e poetica. Il tempo non è lineare, l’essere non è sostanza, la conoscenza non è dominio, ma esposizione, apertura, coappartenenza.

Le "catastrofi creative" di Plescia trovano riscontro nelle transizioni quantistiche; il vuoto poetico è affine al vuoto fertile della fisica.

La scienza e la poesia, così, non si oppongono, ma si intrecciano nel tentativo comune di dire l’indicibile, di abitare l’instabile, di pensare l’essere come erranza.

L'Erranza dell'Essere: Convergenze tra Giacinto Plescia e la Fisica Poetica di Carlo Rovelli

Abstract 

Il presente saggio esplora le convergenze tra il pensiero poetico-filosofico di Giacinto Plescia e la visione scientifica e relazionale della realtà proposta da Carlo Rovelli.

Entrambi gli autori, pur provenendo da ambiti diversi - la poesia e la filosofia da un lato, la fisica teorica dall’altro - articolano una concezione dell’essere come divenire, rete di eventi e instabilità.

Attraverso un’analisi comparata dei concetti di tempo, vuoto, relazionalità, evento e linguaggio, questo studio intende mostrare come la poesia e la scienza si intreccino in una comune ontologia del possibile e del contingente.

Apparato critico con citazioni estese 

Come rileva Heidegger, “il tempo non è qualcosa che semplicemente scorre, ma è l’orizzonte dell’essere” (Heidegger, 1927, p. 39), un’affermazione che risuona profondamente nella concezione plesciana del tempo come dissoluzione poetica del fondamento.

Allo stesso modo, Rovelli afferma che “non esiste un ‘adesso’ assoluto, ma solo un reticolo di relazioni temporali tra eventi” (Rovelli, 2017, p. 83), anticipando una visione che sembra trarre linfa dalla medesima fonte ontologica che nutre la poesia di Plescia.

Jabès, nel Libro delle interrogazioni, scrive: “Scrivere è ascoltare il silenzio che avanza” (Jabès, 1980, p. 57), un gesto che si intreccia con l’idea plesciana dell’erranza come apertura all’ignoto, allo scarto, all’evento che si sottrae al dominio della forma.

Nel pensiero fisico contemporaneo, come suggerisce la teoria delle catastrofi di René Thom, il cambiamento qualitativo emerge da perturbazioni minime: “Un evento è una biforcazione di forme possibili, una crisi del continuo” (Thom, 1972, p. 134). Questo si ricollega direttamente all’ontodynamis plesciana, che articola la forma come esito instabile di processi energetici e simbolici.

Giacinto Plescia è ricercatore indipendente nei campi della filosofia, della letteratura e della teoria critica, con particolare attenzione alle intersezioni tra scienza, poesia e ontologia.

Si occupa da anni dello studio del pensiero poetante e ha sviluppato ricerche approfondite sul concetto di erranza e sulle sue connessioni con la fisica contemporanea e la metafisica classica.

Bibliografia essenziale (APA Style) 

Heidegger, M. (1927). Essere e tempo. (trad. it. Longanesi).

Celan, P. (1991). Poesie. Milano: Mondadori.

Bergson, H. (1911). L’évolution créatrice. Paris: Alcan.

Jabès, E. (1980). Il libro delle interrogazioni. Milano: Feltrinelli.

Plescia, G. (2021). L’erranza, il pensiero poetante. Milano: La Vita Felice.

Plescia, G. (2023). Ontodynamis. Milano: Edizioni Erranza.

Rovelli, C. (2014). La realtà non è come ci appare: La struttura elementare delle cose. Milano: Raffaello Cortina.

Rovelli, C. (2017). L’ordine del tempo. Milano: Adelphi.

Rovelli, C. (2020). Helgoland. Milano: Adelphi.

Thom, R. (1972). Stabilité structurelle et morphogénèse. Paris: InterÉditions.

Title

The Wandering of Being: Convergences between Giacinto Plescia and the Poetic Physics of Carlo Rovelli

Abstract 

This paper explores the convergences between the poetic-philosophical thought of Giacinto Plescia and the scientific and relational vision of reality proposed by Carlo Rovelli.

Despite their distinct backgrounds - poetry and philosophy on one hand, theoretical physics on the other - both authors conceptualize being as becoming, a network of events, and instability.

Through a comparative analysis of time, void, relationality, event, and language, this study demonstrates how poetry and science intertwine in a shared ontology of possibility and contingency.

Keywords 

Poetic ontology, Giacinto Plescia, Carlo Rovelli, quantum void, time, event, catastrophe theory, philosophical poetry, relational physics, being and becoming.

    1. Time as Becoming and Dissolution …

Author Biography 

The author is an independent researcher in the fields of philosophy, literature, and critical theory, with a particular focus on the intersections of science, poetry, and ontology. 

He has been studying poetic thought for years and has conducted extensive research on the concept of wandering and its connections to contemporary physics and classical metaphysics.

Critical Apparatus with Extended Citations 

As Heidegger notes, “time is not something that simply flows but is the horizon of being” (Heidegger, 1927, p. 39), a statement that deeply resonates with Plescia’s conception of time as a poetic dissolution of foundation.

Similarly, Rovelli affirms that “there is no absolute ‘now,’ but only a network of temporal relations among events” (Rovelli, 2017, p. 83), anticipating a vision that seems to draw from the same ontological source nourishing Plescia’s poetry.

Jabès, in The Book of Questions, writes: “Writing is listening to the advancing silence” (Jabès, 1980, p. 57), a gesture that intertwines with Plescia’s idea of wandering as an opening to the unknown, the rupture, the event that escapes the domain of form.

In contemporary physical thought, as suggested by René Thom’s catastrophe theory, qualitative change arises from minimal perturbations: “An event is a bifurcation of possible forms, a crisis of the continuum” (Thom, 1972, p. 134). This directly links to Plescia’s ontodynamis, which articulates form as the unstable outcome of energetic and symbolic processes.

Notes

  1. Rovelli, C. (2017). The Order of Time. Milan: Adelphi.

  2. Plescia, G. (2021). All the Paths. In The Wandering, the Poetic Thought.

  3. Rovelli, C. (2014). Reality Is Not What It Seems. Milan: Raffaello Cortina.

  4. Rovelli, C. (2020)Helgoland. Milan: Adelphi.

  5. Thom, R. (1972). Structural Stability and Morphogenesis. Paris: InterÉditions.

  6. Heidegger, M. (1927). Being and Time. Tübingen: Niemeyer.

  7. Jabès, E. (1980). The Book of Questions. Milan: Feltrinelli.

  8. Celan, P. (1991). Poems. Milan: Mondadori.

  9. Bergson, H. (1911). Creative Evolution. Paris: Alcan.

Essential Bibliography (APA Style) 

Heidegger, M. (1927). Being and Time. (Italian trans. Longanesi).

Jabès, E. (1980). The Book of Questions. Milan: Feltrinelli.

Plescia, G. (2021). The Wandering, the Poetic Thought. Milan: La Vita Felice.

Plescia, G. (2023). Ontodynamis. Milan: Edizioni Erranza.

Rovelli, C. (2014). Reality Is Not What It Seems: The Elementary Structure of Things. Milan: Raffaello Cortina.

Rovelli, C. (2017). The Order of Time. Milan: Adelphi.

Rovelli, C. (2020). Helgoland. Milan: Adelphi.

Thom, R. (1972). Structural Stability and Morphogenesis. Paris: InterÉditions.











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