Se arriva il libro Adalberto Maria Merli "Mangereta", La Nave di Teseo, e leggi 160 pagine di seguito, se oggi termini il libro e mentre leggi sfogli le pagine per saper come va a finire e resti sorpresa e dispiaciuta che è l’ultima pagina allora sì lo puoi dire: sei stata catturata, e come sempre succede in questi casi il libro parlava anche di te e, nel caso specifico, in più episodi ti ha sollecitato ricordi e parti di vita.
Ogni libro ti cambia: non sei come prima, dopo una lettura: diventi “altro”: Mangereta va letto e non solo: pensato e vissuto.
Lo trovo, così come è strutturato e si dipana, essere anche una sceneggiatura pronta a un film o a una fiction come si dice ora ma fiction non è: è vita vera di persone, è il punto di congiunzione di vita personale ed intima che incrocia avvenimenti e persone che hanno fatto la storia: quella delle grandi imprese e nondimeno di dolori procurati e subiti.
La grande storia nell’episodio del nonno che salva un commilitone ferito non sapendo che sarebbe stato il futuro duce mentre due zii di Adalberto frequentano a Nizza il futuro presidente più amato di tutti il Sandro nazionale sì Pertini.
I Dolori e lo strazio della guerra attraversano il testo e momenti di vita di Mangareta si intersecano con essi: si cresce in fretta nell’essere bambini ed adolescenti quando l’umanità non sa che ripetere i propri errori: il racconto sul professore Terra o quello raccapricciante dello zio tornato dal fronte o la pagina sulla cava per noi tutte le Fosse Ardeatine da rileggere: ti fa essere lì in casa Merli o in macchina con Adalberto che vi passa in macchina coi genitori.
Incrocia anche, adolescente, due antichi garibaldini.
La vita civile che Berto osserva: chi sarebbe diventato il patron della Rex era solo l’artigiano Zanussi cui si rivolgeva il nonno per piccoli riparazioni
I rimandi a cinema e teatro e letteratura si succedono in più pagine: “entrarono a Cortina tirati a lucido come divi del cinema” mentre lo zio Basilio e il nonno sembrano “usciti da un film western” o “la madia come il baule pieno di pietre preziose dell’Isola del tesoro” o “guardavamo quello spettacolo apocalittico quasi fosse un film.”
Le torture inflittegli dal fratellino ma tollerate con stoica sopportazione in vista di una giornata al cinema: “il fascio di luce, illuminando dei volti creava un magico susseguirsi di immagini” e sembra di essere al cinema o nascosti a vedere un set cinematografico ed ancora i vari momenti che descrivono i giochi o i racconti delle fiabe “montavo e smontavo fantasiosi palazzi, macchine e allucinanti animali” oppure “ascoltavo racconti: dava un senso di sicurezza” scrive l’autore come non riconoscersi nella parola e nei ricordi fonte di dolore e di salvezza?
Nelle pagine 179-181 vivrete con Adalberto una giornata bellissima al cinema.
Il regalo più bello è il teatro ricevuto a Natale e le pagine sui giochi sono da leggere e rileggere pertanto solo una citazione “facevamo molti viaggi immaginari, fingevamo situazioni le più diverse”: “io nel pensier mi fingo” oltre la siepe di Giacomo torna alla mente.
Le letture la Gerusalemme liberata l’Odissea l’Eneide Leopardi e Foscolo lette da Giovanni segnano i suoi giorni, recita in un teatrino di preti “il piccolo parigino” quasi presago della sua futura vita.
Luoghi e persone, paesaggi e interni di case diventano parte della vita del lettore e a volte, lo sono: chi ha scritto in anni lontani, a Claudio Villa e ha ricevuto una foto sua e del figlio Mauro autografata sobbalza nel sapere che era vicino di casa dell’autore.
Il gioco tra Tarzan e i tigrotti di Mompracen, le letture di “Sogno” e “l’Avventuroso” alimentano la sua immaginazione che torna prepotente a pag 176 “Una manciata di case, la piazzetta con la chiesa, la scuola, il municipio, il bar tabacchi” ricorda “Rio Bo” di Palazzazeschi.
Mentre a pag. 38 ritroverete Leopardi; la ciaccia sembra di mangiarla e pensi alla madeleine di Proust; la pasticceria tra via S. Francesco a Ripa e la piazza coi suoi profumi di crema vaniglia e cioccolato ricorda il Gozzano di questi versi:
Signore e signorine -
le dita senza guanto -
scelgon la pasta.
Quanto ritornano bambine!
Perché nïun le veda,
volgon le spalle, in fretta,
sollevan la veletta,
divorano la preda.
C'è quella che s'informa
pensosa della scelta;
quella che toglie svelta,
né cura tinta e forma.
L'una, pur mentre inghiotte,
già pensa al dopo, al poi;
e domina i vassoi
con le pupille ghiotte.
Un'altra - il dolce crebbe -
muove le disperate
bianchissime al giulebbe
dita confetturate!
Un'altra, con bell'arte,
sugge la punta estrema:
invano! Ché la crema
esce dall'altra parte!
L'una, senz'abbadare
a giovine che adocchi,
divora in pace. Gli occhi
altra solleva, e pare
sugga, in supremo annunzio,
non crema e cioccolatte,
ma superliquefatte
parole del D'Annunzio.
Fra questi aromi acuti,
strani, commisti troppo
di cedro, di sciroppo,
di creme, di velluti,
di essenze parigine,
di mammole, di chiome:
oh! Le signore come
ritornano bambine!
Le sigarette piatte, di cui Berto non si ricorda il nome, credo fossero le Edelweiss.
Il sorriso di Berto nell’osservare il lavorio di una formica ci congeda dal racconto.
La chiusa ti sorprende, eri convinta che il racconto continuasse.
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