domenica 3 ottobre 2021

À bout de souffle di Jean-Luc Godard, restaurato dalla Cineteca di Bologna, in sala dal 4 ottobre

Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg À bout de souffle 
Jean-Paul Belmondo À bout de souffle




"Godard verrà archiviato come un capitolo chiuso, in attesa di nuove scoperte" fu l'ardita e trachant recensione all'uscita di "À bout de souffle - Fino all’ultimo respiro". 


E, per infierire, aggiunse: "la rivolta" su cui è impegnato il film è solo "un atto di derisione", frasi che la storia ritorce ora contro l'incauto e precipitoso "critico".


Accade, spesso, che simili stroncature accompagnino e decretino il successo e la consacrazione di tanti capolavori in ogni campo.
Inciampo non occorso a Susan Sontag che ha accostato il regista a James Joyce e alla sua rivoluzione linguistica e d'impianto della narrazione.



Indice dei Contenuti

  • "À bout de souffle - Fino all’ultimo respiro" di Jean-Luc Godard: la Nouvelle Vague 
  • La sceneggiatura
  • Il contesto storico: il Situazionismo 
  • La tecnicalità e il suo riflesso sulla narrazione


  • "À bout de souffle - Fino all’ultimo respiro" di Jean-Luc Godard: la Nouvelle Vague

"À bout de souffle" con la pellicola restaurata, nell' ambito della missione della Cineteca di Bologna con la collaborazione di CNC e Studio Canal, apre la rassegna de il "Cinema Ritrovato" il 4 ottobre: da non perdere perché un classico va visto e rivisto ed ogni volta è la prima volta con un qualcosa in più da notare e gustare.
https://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/fino-all-ultimo-respiro-il-capolavoro-di-godard-con-belmondo-e-seberg-e-restaurato/395357/396066
Un classico, altro che "sberleffo" come proclamava sempre il "critico" citato.

Forse Jean-Luc Godard stesso non era, fino in fondo, consapevole di affidare alla storia della cinematografia un capolavoro e di inaugurare e fondare la Nouvelle Vague di cui il suo film è il manifesto.  
Un'onda che giunge fino a noi e non smette di portarci in alto.

Il 1960 ha visto nascere anche "La Dolce Vita" di Federico Fellini: un anno di svolta non solo della filmografia infatti, in quel periodo, l'Italia conosceva il miracolo economico e di lì a poco John Kennedy avrebbe consegnato una manciata d'anni alla "Nuova Frontiera".

  • La sceneggiatura 

A pensarci, mai trama di film fu più esile a dir poco.

Un modesto truffatore Michel ruba a Marsiglia un'auto e una volta a Parigi incontra Patricia, di cui era innamorato, il nostro vorrebbe vivere con lei e sogna di andare in Italia, in fondo 
"il dolore è un compromesso" accettabile per salvare un rapporto.

Certo non per continuare a vivere, all'ultimo respiro, tra un furto e l'altro. La sua vita borderline lo tiene prigionieroPatricia non riesce condividerla e lo denuncia. 

In seguito, per eccesso di velocità, Michel viene fermato da un poliziotto che uccide con una pistola trovata proprio in un auto rubata. 

Con uno scontro con la polizia, alla presenza di Patricia, in cui Michel viene colpito a morte si chiude la pellicola.

Jean Seberg risplende in una t-shirt bianca e un giornale in 
manoemblema di incertezza e gioventù, Jean-Paul Belmondo - la negazione dell'eroe tout court e del Bogart qui e lì richiamato (anticipazione di Woody Allen o ripreso dal regista statunitense nella sceneggiatura di "Play It Again, Sam") - con occhiali, cappello e sigaretta sono immortali come il cinema che li eterna. 

  • Il contesto storico: il Situazionismo 

Negli scampoli di vita del film è possibile riconoscere gli anni del "situazionismo" https://www.treccani.it/vocabolario/situazionismo e quel decennio che vedrà la nascita del '68 e, non a caso, "Gli spostati" con Marilyn Monroe è del 1961 https://it.wikipedia.org/wiki/Gli_spostati

Tutto si tiene.

  • La tecnicalità e il suo riflesso sulla narrazione

È nella sottrazione del racconto, ove sembra che non succeda niente, la singolarità di "À bout de souffle".

Per quanto riguarda la tecnicalità: i piani sequenza ed i Jump-Cut ovvero i tagli delle inquadrature rappresentano una prima volta per il cinema. 

Il Belmondo-Michel che guarda e parla con la macchina da presa è una assoluta innovazione non solo per il girato ma perché scalfisce e capovolge il processo di identificazione personaggio-spettatore, meccanismo cardine di ogni rappresentazione.

Trionfo al Festival Internazionale del Cinema di Berlino Orso d'argento per il miglior regista e Premio miglior film al Jean Vigo
Soggetto di François Truffaut e Scenografia di Claude Chabrol

Maria Pia Di Meo
(Patricia) e Pino Locchi (Michel) voci care a intere generazioni sono i doppiatori in italiano dei due protagonisti.

Nessun commento:

Posta un commento