La bellezza, la filosofia e il nastro di Möbius
- La natura e l'angoscia
La notte è sublime ma il giorno è bello, poiché ciò che suscita terrore, non sempre lo troviamo sublime e, al contrario, mostriamo avversione di fronte a ciò che ci riempie di timore.
Il sublime è intimamente connesso con la paura e l’angoscia che sorgono di fronte all’essere infinito, alle altezze imprevedibili: l’oceano, le grandi figure della natura o il genius nella creazione fisica.
Il sublime è ciò la cui rappresentazione ci incute terrore e timore: altezze, solitudini profonde e, in esse, il luogo di soggiorno terrificante e solitario degli anacoreti.
Alcune cose sublimi possono suscitare un sacro terrore: un mostruoso castello le cui rovine ci mostrano l’antichità, moti dell’animo provocati da tragedie, rappresentazioni poetiche, oggetti naturali, giudizi estetici della riflessione.
Non sempre vi è una coincidenza fra il terrore e il sorgere in noi dell’idea di sublime a testimonianza che, spesso, nei confronti di ciò che suscita terrore, assumiamo un atteggiamento di ripulsa.
La paura, viene sospinta indietro e moderata dalla considerazione della propria sicurezza, e ell’impulso a pensare che è troppo grande per le capacità di comprensione.
Il Gegenstand e l'abgrund. L'assenza di una comparazione
Il sentimento del sublime consiste nella possibilità di pensare un oggetto, gegenstand, che per grandezza supera qualsiasi misura sensibile.
Per il sublime, non si dispone di una denominazione atta a caratterizzarlo: una comparazione ci conduce ben al di là della misura abituale delle grandezze e l’immaginazione subisce, alla vista di esso, un’estensione tale che la misura abituale non è più sufficiente a comprendere l’oggetto, gegenstand.
Il sublime scaturisce dalla scoperta di un abisso, abgrund, che si estenda oltre i confini dei sensi: il sublime quale rappresentazione, destinazione o disposizione ad estendersi fino a superare ogni misura dei sensi.
L’assolutamente grande non è il risultato di un paragone o una comparazione spaziale.
Il sentimento del sublime
Il sentimento del sublime si fonda sulla tendenza alla propria conservazione e sul timore, su di un dolore.
Il dolore, poiché non arriva allo sconcerto reale delle parti del corpo, produce dei movimenti capaci di suscitare emozioni piacevoli, non un vero piacere, ma una specie di orrore piacevole, una certa calma mista allo spavento.
Il rilassamento delle fibre del corpo, e quindi, un intenerimento, una dissoluzione, un illanguidimento, un soggiacere, uno struggersi dal piacere: il sentimento della bellezza o del sublime può esser suscitato dall’immaginazione congiunta con l’intelletto, ma anche con quelli in cui la causa determinante è una sensazione.
Migliore sublime è ciò in cui l’immaginazione viene a tal punto estesa dall’oggetto, che la misura usuale non è più sufficiente a comprenderlo.
Il giudizio estetico
Ma se il piacere, per un oggetto, si fa dipendere del tutto dal fatto che questo diletta per via di attrattive od emozioni, non si può esigere da nessun altro il consenso nel giudizio estetico: perché allora ciascuno consulta il suo sentimento particolare, cessa anche interamente ogni disputa.
L’universalità empirica e non necessaria del giudizio estetico, cui conduce la definizione del sublime come attrattiva e commozione vengono, elevate a “precetto”, in accordo con la metodologia empiristica che, dall’osservazione di come si giudica di fatto, ricava le norme su come si deve giudicare il sentimento immediato del ben-essere cui sottoporremmo il piacere o un dispiacere: piacere disinteressato, contrapposizione fra attrattiva e bellezza coincide con quel piacere che l’anima ricava dalla contemplazione della bellezza o desiderio.
Le rappresentazioni
Il desiderio, mira al possesso della cosa che di per sé non è bella per l’anima, ma le procura piacere per motivi del tutto diversi, a prescindere dall’attrattiva e dalla commozione nella spiegazione del piacere disinteressato: il sublime ci libera, attraverso il nesso con il sentimento etico del rispetto, dai moventi sensibili, e allontana, da ogni commistione con qualsivoglia interesse dei sensi.
Tutte le rappresentazioni, siano esse oggettivamente sensibili o intellettuali, possono essere soggettivamente congiunte col piacere e col dolore.
La corporeità in Epicuro
Il sublime ad una “tensione” delle fibre del corpo, può esser suscitato dall’immaginazione congiunta con l’intelletto, ma anche con quelli in cui la causa determinante è una sensazione.
Se nel ricondurre il sublime al rilassamento e tensione delle fibre del corpo e nel farli consistere in essi, quindi in sentimenti di natura sottesa è la tesi, che risale ad Epicuro, della corporeità.
Così pure, come affermava Epicuro il piacere e il dolore sono sempre corporei anche se provengono dall’immaginazione o da rappresentazioni intellettuali.
Tra ciò che piace semplicemente nel giudizio, e ciò che diletta piace nella sensazione, vi è, spesso, una differenza essenziale.
Il diletto pare che consista sempre in un sentimento dello svolgimento, e quindi anche del benessere corporeo, cioè della salute.
Sicché Epicuro, che considerava ogni diletto come, in fondo, una sensazione corporea, in ciò non aveva torto, e s’ingannava soltanto quando poneva tra i diletti il piacere intellettuale e il pratico.
Kant legge nel principio epicureo non tanto quello che il suo autore vi ha detto, quanto quello che, a suo avviso, egli vi ha voluto dire.
La novità de “La Critica del Giudizio” di Kant consiste nell’avere stabilito una connessione con il principio epicureo, secondo il quale piacere e dolore hanno una connotazione corporea.
Kant pensa ad Epicuro nella riconduzione del piacere e del dolore al legame fra la mente ed il corpo.
Epicuro ha ragione, ad asserire che il piacere, quale che ne sia l’origine, è sempre identico a sé stesso, e che non è possibile stabilire una differenza qualitativa fra i diversi tipi di piacere.
Cap. 2
Le parole e l'immagine
L'oggetto e la parola
Quando si legge che Vulcano forgia la saetta di Giove mescolando fulmine, grandine e tuono e fitte tenebre, qui le semplici parole suscitano commozione.
“Tres imbris torti radios, tres nubis aquosae/addiderant; rutili tres ignis et alitis austri;/fulgores nunc terrificos, sonitumque, metumque/miscebant operi/flammisque sequacibus iras”
E’ l'oggetto, l'immagine di esso, oppure sono le parole con le quali si esprime, senza riferimento all'immagine a produrre un sentimento?
Anche le parole, possono produrre sensazioni e impressioni: la sensazione del terrore, senza che sia necessario che a esse corrispondano immagini o idee precise.
Poiché è consuetudine utilizzare determinate parole quando ci si rappresenta oggetti terribili, possono dunque suscitare il sentimento del terrore anche in assenza di quegli oggetti e senza rinviare a idee o immagini.
La poesia, la bellezza, il sublime
In qual modo, la poesia e l'eloquenza suscitano le idee della bellezza e del sublime?
Le parole possono produrre nella mente dell'ascoltatore tre effetti: il suono, l'immagine della cosa rappresentata dal suono, il sentimento dell'animo originato o dal suono soltanto o dall'immagine soltanto oppure da suono e immagine contemporaneamente.
Le parole e la mente
Vi sono però casi in cui le parole possono agire sulla mente unicamente grazie al loro suono, senza risvegliare alcuna immagine corrispondente: al di là degli oggetti naturali, e oltre agli oggetti della pittura e dell'architettura, anche agli oggetti dell'eloquenza e della poesia, ovvero alle parole, non possa essere disconosciuta la capacità di suscitare le idee della bellezza e del sublime e che, anzi, debba essere ascritta loro una particolare efficacia, superiore a quella della natura.
Poesia, immagini, suono delle parole
L'effetto della poesia sull'animo è completamente indipendente dalla capacità di suscitare immagini, si fonda sulle sole parole e sul loro suono.
Il principio di imitazione e la poesia
Poesia e retorica si fondano non sul principio dell'imitazione, che regola la pittura, ma sulla simpatia, e il loro compito consiste nel suscitare impressione ed effetto sulla mente del lettore e dell'ascoltatore, e non è certo di presentare una descrizione e un'idea chiara delle cose di cui discorrono.
Il sentimento della commozione
Le parole possono imporsi alla mente del lettore o dell'ascoltatore come sorgenti del sublime, in quanto generano un sentimento di commozione: il piacere per il sublime, per il quale è impossibile vi siano giudizi oggettivi, universali, validi per tutti.
Il fondamento a priori e il sublime
Ora il sublime non è più una semplice impressione soggettiva ma rivela un fondamento a priori.
Il giudizio sul sublime della natura, nella “Critica del Giudizio”, si qualifica come un giudizio la cui validità non si limita al singolo soggetto empirico in un determinato momento e luogo, ma solleva un’universalità e necessità che lo colloca sullo stesso piano del sentimento della bellezza.
Il sentimento etico
Il sublime viene presentato quale preparazione al sentimento etico, ed il concetto trascendentale ed a priori della “finalità” viene usato per indicare il contenuto del giudizio sul sublime, un giudizio che risulta “comunicabile”, e quindi di validità intersoggettiva: ciò che è atto a suscitare le rappresentazioni (Vorstellungen) di dolore e pericolo (Gefahr) e ciò che è spaventoso, o agisce sull'anima in modo analogo al terrore è fonte di sublime: il terrore, la paura non sono elementi del sublime.
Il sublime, è correlato con un sentimento etico che coincide con la possibilità di pensare un oggetto che supera per la sua grandezza qualsiasi misura sensibile.
Cap. 3
La bellezza come in un nastro di Möbius
Il fenomeno della comprensione
Un fiore è bello perché possiamo riconoscere la sua organizzazione, la sua simmetria, i suoi colori come caratteristiche utili in una cosa, ma la cosa stessa è essenzialmente inutile, e così si pensa la bellezza senza scopo.
Il sublime, in contrasto, è un principio di disturbo.
E’ il fenomeno della comprensione che incontra qualche entità che non può organizzare o contenere.
Organizzazione e immaginazione
Non può determinare un principio di organizzazione che delimiti la cosa, perché non può determinare limiti all’entità quale oggetto sublime.
Non può determinare limiti alla cosa perché la cosa, quale gegenstand, sfida i poteri di presenza dell'immaginazione.
E’ sempre oltre i poteri dell'immaginazione per presentarsi in forma assennata alla comprensione, ed è sempre oltre i poteri della comprensione per avere senso solo al di fuori quale niente, non-ente, il nulla abissale.
Ambedue le facoltà di comprensione sembrano non riuscire nel confronto col sublime.
La disorganizzazione
Il sublime, perciò rappresenta una disorganizzazione.
Quella disorganizzazione non è solo una disorganizzazione arbitraria esterna, ma un gegenstand che suggerisce una disorganizzazione interna, sistematica perché è dall’inabilità di organizzare quella cosa che il senso di disorganizzazione sorge.
E’ un’entità che spaventa.
Il dinamicamente sublime è simile alla potenza osservata in natura irresistibile e terribile, ma se si è al sicuro, si rimane disinteressati e perciò non c'è più un oggetto o gegenstand che incuta la paura.
Kant pensa alla natura sublime perché eleva, innalza l'immaginazione all'esposizione eccelsa ove la mente può essere l'unica facoltà capace di comprendere o sentire la sublimità, anche al di sopra della stessa natura.
I due spazi topologici
C’è bellezza e c'è la bellezza-sublime: rappresentano due poli in un continuo: un polo è la bellezza che è associata con un senso della leggerezza e un ordine equilibrato e che ha una qualità debolmente decorativa.
Nell'altro estremo c'è una forma di bellezza-sublime che si associa con la profondità e la verità.
Questa seconda bellezza è il sublime.
ll nastro di Möbius
La differenza tra questi due estremi, o meglio la differenza tra due spazi topologici che s’incontrano come in un nastro di Möbius, svela l'analitica della bellezza dell'esserci: se un fiore, un tramonto, un poema, un dipinto, o un brano musicale, qualsiasi cosa che possieda bellezza del primo genere può essere vista anche come bellezza del secondo genere.
Il bello e l'utile
Nel caso della bellezza, identifichiamo lo stesso modello in un oggetto, riconosciamo e apprezziamo un principio di organizzazione e di pensiero, nell'oggetto ma l'oggetto stesso non ha utilità.
Qualcosa è bella, come opposto a utile, precisamente perché ha certe caratteristiche che possiamo identificare con utilità, ma l'oggetto stesso è inutile.
E’ a causa di quello che la posizione riguardo al bell’oggetto è disinteressata severamente, mentre il suo aspetto dà piacere.
Qualità e quantità
Kant identifica la bellezza con una qualità, mentre il sublime s’identifica con una quantità, ma quella quantità è illimitata, i quanta sono infiniti e abissalmente infinitesimi.
Dove la bellezza calma, il sublime disgrega, disturba: è pre-adattabile al giudizio e così costituisce in sé stesso un oggetto della soddisfazione: ma il sublime è anche il contrario: sembra violare il giudizio, essere dis-adatto alla facoltà di presenza.
Kant pensa il sublime quale violenza all'immaginazione.
Il piacere negativo
Il piacere del sublime è un piacere negativo, indiretto che non viene dal sublime stesso ma dal sollievo che si sente quando si comprende che quel disturbo esterno non minaccia più il nostro equilibrio o ordine interno.
Quando riconosciamo nel pericolo e nella paura, nel timore e nel terrore del tragico un senso alternativo, identificabile nella ragione o razionalità e quindi salvifiche da tutte le minacce, da tutte le possibili tragedie, da tutte le angosce.
Il piacere del sublime sorge dalla cessazione di un disagio, quale varietà o stato della gioia.
L'interagenza
Per Kant né l'arte né la natura, sono sublimi, né generi di cose, da fiori a tramonti poemi a melodie, possano essere sentimento del sublime.
Pensa il sublime d'importanza secondaria come un'esperienza estetica, per essere coniugato con la bellezza.
Kant pensa la bellezza senza scopo.
Si può stabilire un collegamento interagente tra la bellezza e il sublime.
La qualità e l'assenza di scopo
La caratteristica distinta della bellezza, per Kant è la qualità.
Ma l'intenzionalità della bellezza è senza scopo.
Se la qualità della bellezza è interiore, l'essenza della bellezza deve essere senza scopo.
La bellezza divide, si dà differenziale dalla mondità e mondanità, ma quello che distingue la bellezza è la sua qualità senza uno scopo; quello che conferisce alla bellezza la sua essenza, sebbene quella sia necessaria, è l'esserci, l'essere nel tempo, l'essere nel mondo ma come un gegestand senza uno scopo.
Se una cosa è senza uno scopo realmente, poi è veramente indeterminata.
Un oggetto della bellezza, avrà la qualità, ma la riflessione lo mostrerà per essere realmente senza telos, quale bellezza in negativo: piacevole e nel contempo dispiacevole.
La mente e l'immaginazione
Dal sublime alla bellezza, è un confronto che la mente non può organizzare o contenere o avere senso.
La mente, l'immaginazione estende, ma non può determinare i confini.
La sua propria integrità è minacciata, si è minacciati, l'esserci è in pericolo, ma, dove c'è, il pericolo lì c’è la salvezza.
Sarà un sentimento di chiusura, molto vero ma invisibile e pericoloso.
Quando la mente funziona contro questo pericolo, indietreggia, quando la ragione è impegnata, il sentimento dà sollievo, si ha la cessazione della minaccia.
Il sentimento della gioia
Il sentimento successivo è il sentimento della gioia.
E’
l'esperienza del sublime nella bellezza: in grazia della bellezza
senza e con il sublime.
Essere entusiasmati dalla luce e dal
colore l'armonia e le proporzioni in un dipinto sperimentare il suo
ordine è una buona esperienza, l'erlebnis della
bellezza-sublime plotiniana quale sublime dell'entusiasmo e della
deliranza.
L'ordine e l'armonia
Si può sperimentare il sublime, specialmente nelle forme in natura, nella contemplanza di cascate potenti e pietre sporgenti.
E’ quando l'esperienza estetica è un modello di riflessione, che inizia con un senso di ordine e l'armonia ma diviene un qualche genere di ricerca per un contesto significativo di ordine e armonia, che la contemplazione delle bellezza si dà, si getta verso un'esperienza del sublime.
L'utopia e la distopia
Il sublime è una utopia-distopia: dobbiamo cercare una terra esterna per il bello di natura, ma la cerchiamo soltanto per il sublime e nell'atteggiamento di pensiero che presenta la sublimità nella rappresentazione di natura.
La bellezza ci disvela gli spazi esterni, il sublime è un movimento, un'esperienza estetica della vivenza.
Kant sussume il sublime alla bellezza, perché l'esperienza della bellezza é espansiva di natura, il sublime si disvela, quale cuspide nell'interno, un fenomeno interamente meno interessante.
L'esperienza del sublime conduce internamente e seduce a una particolare forma di riflessione, con la quale è connessa il più puro progetto filosofico di conoscenza di sé.
Cap. 4
La forma, la proporzione, la grandezza e la misura
Caratteristiche del sublime
Laddove la bellezza presupponga forma, proporzione e misura, il sublime è riconducibile alla grandezza senza limiti e colpisce direttamente i sensi.
All'origine del piacere per la bellezza si situa una qualità oggettiva, fondata sulle leggi della sensibilità: nello spazio e nel tempo in quanto intuizioni pure.
Alle sorgenti del sublime non vi sono invece dati oggettivi.
Il sublime, non ha un nesso con la proporzione.
Rocce sporgenti, nelle quali non si trova alcuna misura, ma solo grandezza, sono sublimi.
Qui non è importante tanto il piacere, quanto piuttosto la grandezza.
Quale la fonte delle considerazioni sulla differenza fra bellezza e sublime?
Una lunga linea, una vasta estensione, le radure vuote o l'Oceano, sono il sublime, una grande altezza, una roccia è ancora più sublime.
Le dimensioni
La profondità risveglia un terrore; tutte le rocce sporgenti sul mare spaventano, la vastità è una delle fonti del sublime e comprende in sé lunghezza, altezza e profondità.
Fra le tre dimensioni è la lunghezza a suscitare il minore effetto, non genera la medesima impressione di una torre, di una roccia o di una montagna alta.
L'altezza appare meno grande della profondità, e si è commossi in misura maggiore se sprofondiamo lo sguardo in un abisso, abgrund, che non se lo innalziamo verso un'altezza della medesima dimensione.
Dal grado estremo della grandezza a quello estremo della piccolezza: anche qui si scorge una fonte del sublime per l'impressione che essa suscita e che non si distingue da quella della grandezza, poiché anch'essa genera stupore.
Il dolore. Il piacere negativo e positivo
Il sublime, deve la sua origine ad un sentimento iniziale di dolore cui, subentra un sentimento di piacere.
Quest'ultimo, meriterà la qualifica di piacere negativo e relativo, di piacere misto a terrore e sarà differente rispetto al piacere positivo donde trae origine la bellezza.
Il corpo e la mente
Altra differenza: il sublime conduce le fibre del corpo ad uno stato di tensione, il bello induce in esse rilassamento.
Dolore e tensione, piacere e rilassamento sono le vere e proprie fonti del sublime.
La mente e il corpo sono così strettamente e intimamente connessi, che l'uno senza l'altro è incapace di provare dolore o piacere.
Il piacere-dispiacere
I movimenti, come il bello e il sublime, sfociano in qualcosa di meccanico, attività che incrementa la tensione delle fibre connessa con ogni tipo di dolore sono causa del fenomeno del sublime, che presenta notevoli analogie con il dolore: determinata qualità all'origine del sublime quale piacere e dispiacere, che presenta una complessità sfuggente e che racchiude diverse specie: il piacere animale e corporeo, il piacere più umano, e infine il piacere di natura spirituale.
Cap. 5
La natura e la spazialità möbiusiana
Le teorie epistemiche e la compresenza di due sensibilità
Alla bellezza della natura il sublime costringe a pensare un'osservazione provvisoria molto necessaria, che separa le idee di quel sublime della natura dalle teorie epistemiche: la valutazione estetica della natura si dà aldilà del formulario speciale in uso o adatto, giacché l'immaginazione annichilisce e getta nella trascendenza anche la natura, quale desideranza, sia pure solo virtualmente.
Il bello è già un'espressione della libertà, la bellezza in libertà, perché è armonia.
La sensibilità di quell’alterezza è una sensibilità meson.
E’ una composizione relativa più alta come nella tempesta, esprime una felicità simile alla desideranza, tuttavia in lontananza e a distanza di sicurezza.
Compresenza di due sensibilità contraddittorie in una sola sensibilità giacché è impossibile che lo stesso sentimento sia situato in due topoi opposti, quasi che si sia situati in due luoghi differenti: la physis opposta o bistabile si biforchi o si trovi in una spazialità möbiusiana.
Il principium indipendente: l'alterità
Si sperimenta così, dalla sensibilità di quell'alterità, che la circostanza non dipende dalle leggi della natura e che ci sia un principium indipendente nella mente epistemica aldilà dell'agitazione o del timore o della paura: una alterità infinita, perché si pensa, che cosa i sensi non comprendano, quale entusiasmo in libertà che si dà oltre il terribile, perché possiamo desiderare con l'immaginazione esistenziale.
Aldilà, in trascendenza, dell'agitazione o del timore o della paura: un’alterità infinita.
La physis e la purezza preesistente alle leggi
La bellezza-sublime della physis discopre o disvela una purezza preesistente alle leggi.
Il sublime, non implica universalità; la bellezza, rappresenta l'oggetto di un giudizio che prescinde dal mutevole della sensazione empirica, si offre quale realtà formale che non colpisce il soggetto dall'esterno rendendolo passivo.
Compresenza di intuizione, sensibilità e pensiero puro
Che cosa si dà nel sublime? Niente, dalla bellezza-sublime la valutazione estetica della natura si dà aldilà del formulario in uso, che l'immaginazione getta nella trascendenza, quale desideranza.
Kant, riprendendo le ipotesi di Burke, si sofferma sul sentimento del sublime quale alternarsi della presenza di piacere-dispiacere, paura e consapevolezza della superiorità dell'io-penso nei confronti dei fenomeni materiali.
Quella consapevolezza per Kant contribuisce a rendere l'essere pensante superiore agli eventi della natura e quindi nel sublime c'è una compresenza di intuizione, sensibilità ma anche pensiero puro o pensiero della trascendenza.
Fenomenologia del sublime matematico e del sublime dinamico
Il sublime matematico è quantitativo (uno, infinito e totalità); il sublime dinamico, prevalentemente quello della natura, è la fenomenologia della dynamis aristotelica ovvero della dinamicità della natura nelle sue forme più terribili, estreme quale la tempesta, il tuono, la bufera, il fulmine ovvero fenomeni che suscitano timore e paura.
Kant divide il sublime nel “matematico”, grande magnitudine, ed il “dinamico”, magnitudine di forza in relazione alla volontà.
Il matematico sublime è definito come qualche cosa di “assolutamente grande” ovvero, “grande oltre ogni paragone”.
Di solito, applichiamo qualche genere di standard di paragone.
L'assolutamente grande, comunque, non è il risultato di un paragone o una comparazione spaziale: alcun oggetto è misurabile, anche la taglia dell'universo, meno una montagna sulla Terra.
L’estetico nel senso di intuitivo. La misura
Kant
pensa soltanto al matematico in natura, ma fondamentalmente riflette
su “l’estetico” nel senso di “intuitivo”.
Un
oggetto che eccede questi limiti, nonostante la sua taglia
matematica, sarà presentato come assolutamente grande.
I sublimi possono essere anche amorfi, il sublime sembra essere-intenzionale, violenta le facoltà di senso e di estetica apprensione.
Sublimi oggetti di senso, oceani, piramidi sono chiamati sublimi.
La misura, richiede un numero ma anche un senso di unità, che possano essere contenute insieme nell'immaginazione e così “comprese”.
Il fascino intero di quel sublime nel matematico sublime, e nel dinamicamente, sublime come forza nell'esperienza sublime, quale propriamente è sublime e natura alternazione e alterità, rapida alterezza.
La rappresentazione del sublime dinamico
Sublime, è ogni oggetto che suscita terrore, ma il sentimento del sublime non si può risolvere nel terrore.
Il filosofo intraprende il tentativo di separarli, all’interno della trattazione del sublime dinamico della natura in quanto potenza.
E’ vero che il giudizio che assegna alla natura il sublime dinamico è inscindibile dalla sua rappresentazione come potenza che causa timore.
E non v’è dubbio che la nostra superiorità rispetto alla natura, come ostacolo che si oppone alla nostra sensibilità, può essere da noi sentita solo se presupponiamo la potenza e solo se l’inadeguatezza genera timore.
Nel giudizio estetico, la superiorità sugli ostacoli non può essere giudicata se non dalla grandezza della resistenza.
Quando sentiamo che il potere non sia adeguato, c’è timore.
Perciò la natura, non può essere una potenza, e quindi dinamicamente sublime, se non è considerata come oggetto di timore.
L’identificazione
del sublime con il timore deve essere perciò corretta ed
integrata: è da porsi una limitazione.
Non è, infatti, vera la
reciproca: che, cioè, ogni oggetto che suscita timore debba esser
trovato sublime nel giudizio estetico.
Il suscitare timore non è una condizione sufficiente per il sublime e non ne determina le caratteristiche essenziali.
Colui che teme non può giudicare del sublime della natura, come non può giudicare della bellezza chi è dominato dall’inclinazione e dall’appetito: fugge la vista dell’oggetto, che gli incute timore ed è impossibile provare piacere in uno spavento, che sia seriamente sentito.
L’unico tipo di piacere che può provare colui che viene sopraffatto dal timore consiste nella gioia o il piacere che scaturisce dalla libertà da un dispiacere.
Perciò quel piacere, che sentiamo ci opprime, è una gioia.
Ma è una gioia per la libertà dopo un pericolo, accompagnata dal proposito di non esporvisi mai più; ben lungi dal cercare l’occasione di ripensare alla sensazione provata, non possiamo neppure ricordarla senza fastidio.
Il sentimento di superiorità e gli effetti naturali
Il sentimento del sublime non rischia di diventare allora sentimento di superiorità nei confronti di Dio stesso?
Con il sublime, che lo attribuisce alla potenza, pare contrastare il fatto che si sia soliti rappresentare Dio come in collera nelle tempeste, negli uragani, nei terremoti.
Ma nel tempo stesso, come rivelante la sua sublimità, in modo tale che sarebbe stoltezza e follia l'immaginare, una superiorità del nostro animo sugli effetti e sui fini di una tale potenza, la divinità come oggetto sublime, perché si trova una sublimità di sentire conforme alla volontà divina, e si eleva al disopra della paura davanti a questi avvenimenti naturali.
La comprensione e la libertà
Chi si illumina per la comprensione, dissolvendo il disordine nell'armonia desidera ssere questo caos: questa mancanza completa di scopo.
La comprensione deve aderire a questa forma di collegamento, eccedente e inutile, per il simbolo, o la purezza della libertà.
Sotto quella idea della libertà, la comprensione collega e presenta il gioco infinito delle caratteristiche ed effettua così la relativa eccedenza di sé stessa: la comprensione quale possibile libertà.
La libertà: nobile gioco infinitamente più interessante, che la prosperità e l'ordine senza libertà.
La libertà nel regno della libertà infinita continua, la libertà dello spirito in un'emozione sublime degli esseri di svelarsi in un'armonia: il gioco terribile meraviglioso del distruttivo e la fuga inesorabile della fortuna, sublime intorno al daemon della purezza coincidente con l'esistenza nel relativo sublime.
Cap. 6
Il bello e il sublime in Kant. La catarsi nella tragedia di Aristotele
- La catarsi di Aristotele
Aspetti di paura e gioia, di disgregazione e liberazione, di terrore ed entusiasmo, di angoscia e delirio classico del misticismo sacro e mitico che possano essere costituenti dell'analisi di Kant del bello ed il sublime e connessi con le nozioni di Aristotele di paura e compassione nella tragedia come catarsi, quale unico telos della bellezza sublime.
C'è solo una referenza passeggera alla catarsi poetica di Aristotele? Appare in un passaggio sulla tragedia.
Una tragedia, è un'imitazione di un'azione che sia terribile ma anche, con una magnitudine, completa in sé stessa con accessori piacevoli, con incidenti che risvegliano pietà e timore con cui portare a termine la catarsi di quelle emozioni.
Il meson: la paura e la pietà
Aristotele specifica come il protagonista della tragedia né deve essere troppo buono né troppo cattivo, ma piuttosto risvegliare il meson, la corretta mescolanza di paura e pietà.
Nello sperimentare una tragedia, si sente paura perché ci si vede nel luogo del protagonista, e si sente la pietà della sfortuna come quella della persona o dell'eroe che soffre o soccombe: si vede qualche cosa di sé stessi nel protagonista, è il medesimo nostro esserci.
L'identificazione col protagonista è un meson di paura e pietà e dà luogo alla catarsi.
Il sublime in Kant ed il meson aristotelico
La definizione della natura della tragedia di Aristotele ha molti collegamenti con la bellezza filosofica, con l'analisi di Kant della purezza del sublime e della bellezza.
Aristotele non è chiaro, ma un'analisi del sublime in Kant può far luce sul fenomeno o sull'ermeneutica estetica.
Nell'analisi di Kant del sublime c'è un’imitatio, sia pure più complessa, accade e si dà il riflesso speculare del chiasma plotiniano della sublime-bellezza-sublime.
Quella è un rispecchiamento che dà luogo a una transizione simile o a una transcendenza: dalla pietà e timore, terrore, orrore, angoscia, paura o orrore per disvelarsi una libera e gioiosa deliranza estatica.
La dynamis
Nell’esperienza della bellezza-sublime, per Kant, il dinamico o la dynamis in natura è una proiezione del senso interno dell'esserci.
La riflessione del pensiero prioritario o della purezza in relatività con la physis o natura fa sembrare bella e dà un senso o un telos alla natura: similmente, quando si incontra la natura insondabile o noumenica nel pensiero, la natura, come dynamis, che si vede e riflette in quel fenomeno nel contempo si teme tanto da poetizzarla in matrigna o causa dell'infelicità esistenziale: lì ove c'è la bellezza c'è anche il pericolo per la salvezza della destinanza del dasein.
La natura e l'inadeguatezza
La natura che s’incontra nel sublime è una natura diversa da quella che s’incontra nella bellezza.
E’ la natura, non come le piccole cose circa le quali ci sono solleciti: è la natura verso cui lo scopo è imperativo ipotetico.
L'identificazione con questa natura ci mette al confronto con l'inadeguatezza per Kant.
L'identificazione con la natura illimitata è causa di ansia estrema, l'angoscia, il timore e compassione.
La ricerca di senso e l'etica
Ma è intenzionale perché l'interagenza o il contrasto ci costringe a cercare un senso diverso dal solito o dall'insolita interpretanza dell'usuale proprio scopo semplicemente suscettibile e presente dall'immaginazione, quello che soggiorna alla giornata, in ricerca delle soddisfazioni quotidiane: le piccole cose circa le quali ci sono solleciti.
La ragione identifica, un più grande evento al quale appartengono le nostre vite, la vivenza, l'erlebnis, il dasein: da allora quel pericolo molto verosimile da ultima inadeguatezza o insoddisfazione delle desideranze, non è più un pericolo grande di fronte all'eventuarsi della vivenza o dasein che, per Kant, è essere nell'etica.
L'angoscia e la compassione
Quella realizzazione conduce a una libertà autentica che si disvela nella catarsi, nell'essere abitati dall'entusiasmo divino o dalla transcendenza, aldilà dell'ansia, con un senso conseguente di gioia e di autentica libertà.
Quale analisi di Aristotele della tragedia nella Poetica, specificamente la sua identificazione delle salienze o pregnanze della tragedia: come nell'esperienza di paura e compassione conducenti ad una catarsi delle emozioni.
Aristotele
appare poco chiaro circa quel che accada nella
catarsi.
Identificandosi
col protagonista della tragedia o con l'eroe o l'eroina, l’esserci,
nell'analisi di
Aristotele, è condotto similmente ad una parvenza di paura o di timor panico e di angoscia, dalla preoccupazione per l’identificazione con il protagonista com-preso negli assalti ignoti ed inconoscibili che affliggono.
Dalle virtù dei meccanismi di peripezia e scoperta si è capaci di riconoscere il difetto fatale del protagonista e dell'eroe e si è esperti nel valutare le differenze: è quella solo la preoccupazione del protagonista e la sua vulnerabilità di fronte agli assalti noti e ignoti che lo affliggono, è solo sua la sollecitudine di quelle piccole cose.
Quel riconoscimento: piccolo è bello ma la tragedia è catartica disvela il nobile risultato di riflessione, l'appuntamento di ragione che consente la trascendenza, l'identificazione col protagonista e l'eroe per svelare un’ alterezza quale passione per l'indifferenza verso il pericolo esistenziale: più alto, più eccelso o più elevato, per Aristotele, è l'eudaimonia fondata sulle virtù.
L'esperienza estetica: Kant sul Bello e Aristotele sulla tragedia. Il dasein
Kant sul Bello e Aristotele sulla tragedia descrivono un'esperienza estetica simile che sembra trascendenza.
E’ esperienza di vivenza della libertà che dà luogo ad un piacere che ci nobilita, è connesso ad una consapevolezza di qual genere di scopo più alto, più nobile, più sublime quale esserci rivelate dalla semplice ragione o razionalità.
In ambo i casi, l’esperienza comporta una interazione con l'ansia estrema che conduce ad un sentimento di libertà e piacere, quale gioia o una trascendenza, una sublime disposizione o sensibilità o purezza catartica verso la più grande struttura di dasein sublime.
L'inadeguatezza del giudizio: la preesistenza
Né Aristotele né Kant descrivono l'esperienza estetica della bellezza-sublime o dell'arte solo così.
Ancora un'analisi delle loro teorie di certi fenomeni estetici, quello del sublime nel bello o, semplicemente, la bellezza è indifferibile.
Ma non c'era prima e ora c'è quale sublime-dasein, sublime quale arte in accordo con la natura o la bellezza della natura nell'adeguata convenienza nella sua formalità, per cui l'ente per il giudizio sembra essere com’è stato predeterminato, esso costituisca l'argomento del ben-essere.
La rappresentazione
Tuttavia, che cosa eccita la sensibilità di quel sublime, che possa comparire inadeguato per il giudizio, quale inadeguata abilità dell'immaginario e avvertita quale violenta per l'immaginazione, soltanto possibile nell'esserci del sublime o nella bellezza-sublime?
Non possiamo non dire nient'altro, che quell'ente è adatto per la rappresentazione, che può essere trovato nella mente: perché il sublime non può essere contenuto in nessun formalismo.
L'interagenza, la mente e l'alterezza
Il sublime avviene, è in interagenza o a contatto soltanto con le idee della purezza: quale informalità presente anche senza nessuna rappresentazione adeguata: possibilità che può essere imago rappresentata, attiva e denominata dalla e nella mente o essere in mente.
La bellezza indipendente della natura discopre o disvela una tecnica della natura, che è priorità e purezza quale sistematica e organica preesistente alle leggi, il principio delle quali non troviamo nelle abilità.
Non c'è adeguatezza ma dalla natura, come meccanismo della purezza, si è condotti verso analisi più profonde o verso alterezza.
Cap. 7
Il gusto, la bellezza aderente, la forma e l'archetipo
La bellezza aderente: la forma e l'archetipo
Kant introduce il concetto “dell'ideale della bellezza” nella relativa forma più pura quale giudizio di gusto quale risposta all'apparenza pura della forma in un oggetto, in contrasto con il reale, avente un certo scopo, identifica così la bellezza pura con la forma o l'apparenza pura del reale.
Il filosofo di Königsberg riconosce le forme della bellezza che non sono pure ma collegate con, anche se non riducibile, il riconoscimento del reale: è “la bellezza aderente”, una bellezza della forma che è costante o stabile o appropriata per lo scopo di un oggetto o un gegenstad o un ente o un super-ente che abbiano chiaramente un telos quale relativa forma possibile nei vari sensi, o sensibilità empiriche.
Il pensatore del noumeno addiviene così “all'ideale della bellezza” o di più alto modello, l'archetipo, una rappresentazione di un oggetto specifico o il tipo particolare di oggetto che è al massimo bello.
La bellezza per cui un'idea è di essere ricercata non può essere una bellezza vaga, deve appartenere all'oggetto di un giudizio interamente puro di gusto: la bellezza iniziata dalla logica di gusto o l'archetipo di gusto.
Ciò significa che ideale della bellezza è “l'essere aderente”: un'espressione estetica unicamente adatta per quello o questo scopo o estremità dell'esserci il solo capace di un ideale della bellezza.
Il dasein: immaginazione, movimenti intenzionali, funzioni istintive e principii etici
Il dasein è il solo, fra tutti gli oggetti nel mondo, capace dell'ideale di perfezione, anche quale bellezza della figura umana, in interagenza con l' immaginazione.
L'immaginazione è in effetti implicata: l'ideale della bellezza può essere generato soltanto da un atto dell'immaginazione estetica.
L'associazione deve essere generata dall'immaginazione significa che l'ideale della bellezza può essere trovato nella bellezza architettonica della forma dell'esserci.
Cioè la configurazione fissa delle caratteristiche dell'apparenza della vivenza quale armonia fra le funzioni esplicitamente volute dei movimenti intenzionali e le funzioni istintive in conformità con i principii etici.
Anche al costo della soppressione dei desideri e delle sensibilità: l'esistenza è la libertà dei movimenti intenzionali, la bellezza “d'eccitazione” e “la bellezza di distensione”o “di fusione”.
Cap. 8
Il piacere disinteressato nella bellezza: l'armonia
L'esperienza estetica
Kant pensa che il piacere nella bellezza è disinteressato, soddisfa senza un concetto, che potremmo avere una sensibilità del piacere in un oggetto senza considerare che cosa i concetti si applichino ad esso ed in base ad una tale sensibilità c'è il giudizio che è bello, il riconoscimento di adattamento dell'oggetto al relativo ambiente, non la verità.
Pensa che la percezione di armonia e di benessere allineate nelle cose intorno generi un'armonia e una sensibilità dove tutti i risultati delle leggi della natura nelle forme delicate rivelino una costanza elastico-efficace delle cose, nella bellezza è armoniosa o sensibilità o natura armoniosa, o risonanza fra armonia e ben-essere in natura: la percezione di armonia in natura bene ordinata che attrae l'attenzione: la sensibilità della bellezza.
Kant ha interpretato la sensibilità nell'esperienza estetica come sensibilità della vita al livello più profondo, la sua concezione della fonte di piacere estetico è la sua analisi del giudizio libero della bellezza naturale, che non dipende dalla concettualizzazione del relativo oggetto.
La sua analisi delle esperienze estetiche include i casi della bellezza aderente degli impianti della natura così come dell'arte in generale, sua è la concezione di gioco libero con la forma pura di un oggetto in una concezione di armonia fra la forma ed il concetto dell'oggetto che è armonia in un oggetto bello.
Il piacere intellettuale, la libertà e le regole
Kant ha complicato la sua concezione iniziale del disinteresse di giudizio estetico per tenere conto dell'interesse intellettuale nell'esistenza della bellezza naturale, ha riconosciuto che l'esperienza nella bellezza è un'esperienza in benessere e nell'essere nel mondo.
La soddisfazione o il piacere è la sensibilità, è la coscienza di un gioco libero e normale di tutte le facoltà degli esseri.
Ha identificato il gioco libero delle facoltà con l'attività, il gioco della mente deve essere fortemente vivo e liberare se deve animare.
Il piacere intellettuale è costituito nella coscienza dell'uso della libertà in conformità con le regole.
La libertà è una continuità piuttosto che discontinuità.
Kant sostiene esplicitamente che il piacere estetico è interesse intellettuale nella bellezza, a priori, vale a dire, che l'esistenza della bellezza è una “traccia” o “segno”.
La concezione di Kant in un interesse intellettuale nell'estetica è soggettiva.
Il piacere estetico nella bellezza naturale è un segno della possibilità del ben-essere in natura, Kant mantiene il collegamento fra l'interesse intellettuale ed estetico nell'esistenza della bellezza, ma senza disvelare l'estetica della verità.
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