La dynamis è sia flusso eracliteo che tensione, forza generatrice del mondo, visibile e invisibile: è la eraclitea “armonia dei contrari” origine del divenire, in particolare, la dynamis è l'eredità del fuoco eracliteo, simile al vuoto quantistico: struttura fluttuante e instabile, come il καιρός: l' evento opportuno che offre una possibilità unica e irripetibile e che, come dimensione qualitativa del tempo, in contrapposizione a Chronos, il tempo lineare e quantitativo.
La dynamis non è ente ma possibilità, fondamento ontologico e cosmogonico e si accosta all’Ereignis, l’evento disvelante dell’Essere, l’Essere come evento è sottratto alla metafisica dell’ente: il Καιρός e l'“evento” heideggeriano non esprimono determinazione ma imprevedibilità, soglia, biforcazione 'catastrofe'.
L'Essere di Parmenide e Senofane, l'atto e la potenza, l'entelecheia e l'energheia di Aristotele sono interpretati in chiave dinamica: una concezione come evento morfogenetico che si esprime in forme spaziali, tecnologiche, cognitive e poetiche.
Il caos e il chaosmos
L’universo non ha solo ordine né solo disordine, ma un'armonia in divenire, la natura non è stabile ma fluttuante, l'Essere non è identità ma processo: in questa visione, il paradigma del Chaosmos - fusione di ordine e disordine, cosmos e chaos, simmetria e asimmetria - è un ordine caotico, è condizione ontologica e gnoseologica: la verità emerge dalla fluttuazione, dall'imprevedibile, dalla 'catastrofe', la tecnica è il suo veicolo privilegiato e la dialettica tra l’ordine apollineo e l’ebbrezza dionisiaca in Nietzsche prefigura questa fusione.
In Heidegger il caos è piuttosto implicito ma l’Essere è qualcosa che si ritrae, si sottrae, non è puro disordine ma può apparire tale rispetto alla razionalità tecnica.
In Dynamis, Mito, Tecnica: Dialoghi con la AI, il caos non è un problema da risolvere, ma un orizzonte da abitare, come spazio-evento.
La filosofia non è più dominio separato, ma tessitura di mitologia, scienza, estetica, matematica e tecnologia.
Il mito
Dynamis, Mito, Tecnica: Dialoghi con la AI, recupera la funzione originaria del mythos che si fonda sull'idea che ogni forma sia il risultato di una dynamis imprevedibile, una forza non solo fisica o biologica, ma ontologica: principio primo che governa la metamorfosi dell'Essere.
Il mito non offre spiegazioni, non è riducibile al discorso epistemico, il racconto mitico è un organismo vivente, una forma che muta nello spazio e nel tempo: è come il sistema autopoietico e come i modelli della teoria della complessità che generano narrazioni non lineari.
Per comprendere il mito serve un pensiero poetante, simile a quello auspicato da Heidegger: non il logos calcolante.
La questione della tecnica: il Gestell heideggeriano
Ne La questione della tecnica, Heidegger scrive che la tecnica, l'apice della metafisica occidentale, ha progressivamente dimenticato l'Essere e questo processo ne comporta l'oblio a favore dell'ente.
La tecnica moderna non è un semplice insieme di strumenti: la tecnica è un 'impianto', Gestell, che impone una particolare modalità di svelamento dell'Essere: questo svelamento è però riduttivo in quanto costringe la realtà a darsi solo come fondo disponibile, Bestand, dove tutto ciò che esiste diventa risorsa da sfruttare.
Nel Gestell, impianto-posizionamento, in cui ogni cosa viene interpellata solo in funzione della sua utilizzabilità, l’Essere viene dimenticato e il tutto diventa oggetto calcolabile:vale solo ciò che è utile.
In tal modo si ha la riduzione dell'uomo a “risorsa umana”, “materiale umano”, parte della macchina, Menschenmaterial ovvero mero funzionario del sistema tecnico.
Tuttavia Heidegger intravede una via di salvezza: nel pericolo del Gestell, si cela possibilità di un nuovo inizio, del riscatto: l’Essere può ancora salvarsi in un abitare poetico del mondo che riporti l'Essere alla luce.
La tecnica come dynamis
In Dynamis, Mito, Tecnica: Dialoghi con la AI, la tecnica è letta come parte della dynamis, forza cosmica e mitopoietica che genera mondi e forme: da semplice strumento diventa co-autrice dell'ontologia.
Se la tecnica moderna rappresenta il Gestell un pericolo ontologico perché riduce tutto a calcolo, Plescia, a differenza del riduzionismo heideggeriano, non la demonizza ma la ripensa in chiave mitopoietica, morfogenetica nel recuperare il potenziale creativo proprio della nozione di τέχνη, téchne, come forza poietica: la tecnica non è solo impianto, ma parte della physis, ovvero poiesis, forza trasformativa, capace di generare forme e mondi, come l’arte o la mitologia.
Il Gestell viene ad esprimere anche possibilità in quanto nella tecnica abita il caos, la forma che si genera nel disordine: l'ontologia dinamica e mitopoietica supera la critica heideggeriana.
Il pensiero, liberato dal dominio della calcolabilità apre altri spazi e restituisce alla téchne la funzione generativa e filosoficamente fertile e sollecita implicitamente un invito ad abitare la tecnica trasformandola in spazio poetico, in chaosmos vivibile.
Heidegger e Plescia rappresentano due modi opposti di pensare la tecnica: il primo, nel segno della crisi dell'essere, il secondo, nella fiducia nella sua potenza poietica.
Entrambi condividono però la consapevolezza che la tecnica non è neutrale: essa è un orizzonte ontologico.
L'hi-tech-space e la nuova polis
Il passaggio dal macro al micro, dall’elettronica alla fotonica, implica nuove forme di spazio e conoscenza.
La tecnica è evento come la dynamis che si dà nel mondo: essa non rappresenta il mondo, ma lo recrea, come l’architetto che plasma nuovi 'omphalos' urbani, dispiega nuovi ambienti nell' hi-tech-space, le spazialità fluttuanti e cheotiche.
La tecnica ha mutato la concezione dello spazio: la città, l'architettura, l'intelligenza artificiale non sono più strutture esterne all'uomo, ma parte di una nuova morfologia ontologica.
La città come la chôra, è spazio ricettivo, madre caotica delle forme, sistema aperto e spazio isologico tra natura, tecnica e desideranza sociale.
Le sfere di Sloterdijk come ambienti topologici affettivi e culturali, sono gli 'omphalos' e le 'catastrofi ombelicali' presenti in Dynamis, Mito, Tecnica-Dialoghi con la AI sono luoghi simbolici e reali in cui il pensiero si flette, lo spazio si biforca e la forma si reinventa.
La tecnica è vista come processo di individuazione in Simondon, la τέχνη, téchne è per Plescia parte del divenire umano e della memoria.
La realtà in Stiegler e Wheeler è vista come informazione quantistica It from Bit, mente per Plescia è specchio della “indetermanenza” e per Rovelli è rete di relazioni quantistiche e temporali.
La AI
Heidegger che considera la tecnica come oblio dell’Essere, vedrebbe l'AI come la massima espressione e ultimo compimento del Gestell che riduce tutto a risorsa, automazione calcolo, dominio algoritmico, riduzione dell’uomo a funzione: nulla di più lontano dall'Essere come apertura.
L’AI per Deleuze e Plescia non è solo una tecnica ma una morfologia del pensiero e dello spazio mentre per Deleuze-Guattari il cervello è una macchina desiderante come la AI.
Plescia recupera l’intuizione poetica dell’abitare la τέχνη, téchne come poiesis: l’uomo può aprirsi a un “abitare poeticamente” nel mondo dominato dove la AI è una forma di pensiero, immaginario, desideranza spaziale: l’algoritmo non è meno desiderante del corpo.
Dynamis, Mito, Tecnica-Dialoghi con la AI: l'Intelligenza Artificiale è immaginata come soggettività di soglie, generatrice di spazialità fluttuanti e cheotiche, effimere, quasi biologiche, simili alla vita delle strutture viventi, un luogo del divenire di inedite forme di vita simbolica e semiotica tra natura, cultura, mito e immaginario.
Le declinazioni nella città hi-tech e nella morfogenesi topologica non sono riduzioni, ma relazioni e l’AI è l’interfaccia tra physis e dynamis, non un logaritmo di flussi d'informazione per ottimizzare processi.
In questa visione, la AI non è riducibile a funzione tecnica: è 'attante' ed attore della physis, è il laboratorio e il medium di nuove spazialità, un campo di singolarità operative, di deterritorializ -
zazione, di “meta-territorialità”, di tecno-spazi cheotici e spazi di transizione.
Le reti neurali, gli algoritmi, i sistemi auto-organizzati sono, nella visione plesciana, forze cheotiche che reinventano la realtà, dando luogo a nuove soggettività.
La tecnica, in questa prospettiva, non è più solo dominio come in Heidegger. in essa s'intravede un possibile orizzonte ed una funzione morfogenetici: non solo alienazioni.
Rovelli non si occupa direttamente di AI, ma la sua visione relazionale apre all’idea che anche l’AI possa essere considerata un nodo relazionale, un “osservatore”.
Il caos, l’AI, la spazialità reticolare e instabile sono nuove forme del pensiero dell’essere, che vanno comprese con una ontologia del disordine.
La proposta filosofica
Il caos, l’AI, la spazialità reticolare e instabile come nuove forme del pensiero dell’Essere vanno comprese con un'ontologia del disordine: una filosofia del caos generativo, del vuoto come potenza, del pensiero come morfogenesi, dove fisica, mito, estetica, metafisica e tecnologia convivono in un pensiero transdisciplinare per superare le dicotomie classiche: essere/non-essere, ordine/caos, natura/tecnica, attraverso una filosofia della singolarità e della forma in divenire.
Plescia non vuole offrire un sistema, ma una costellazione fluida, una mappa di forze, eventi, tensioni tra l’essere e il non-essere: una filosofia si fa cartografia delle singolarità, mappa di eventi, nodo di relazioni verso un'ontologia in cui la forma non è mai definitiva, ma sempre in atto ed in tensione.
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