L'Erranza una poesia del dopo logos. Dialoghi con la AI esplicita che l’essere-nel-mondo senza fissa dimora è condizione non solo esistenziale, ma epistemica, ne L'Erranza la ricorrenza di termini quali origine, pensiero, nulla, soglia, vuoto, dimora se richiamano il pensiero filosofico prendono le distanze da ogni sistema: non c’è dottrina, ma frammenti, aperture, fenditure.
La poesia non “dice”, ma “cerca” senza mai possedere: in questo dispiegamento si capovolge il rapporto tra parola e silenzio: l’erranza si compie nel margine dell’esprimibile: le poesie senza titoli sono una scelta che accentua la continuità del flusso poetico e la loro appartenenza al πάντα ῥεῖ
L'Io poetico
L’“io” non è autobiografico, ma riflesso dell’“io errante”, un soggetto aperto, franto, in quanto l’identità si frantuma nella tensione del domandare.
L'io poetico è continuamente decentrato, smarrito in un linguaggio ed in una poesia che si fa più interruzione che discorso, una specie di pausa metafisica nel quotidiano: in questo senso si configura pensiero che si fa forma poetica e non mero ornamento lirico.
Il poeta non narra, evoca: paesaggi scarnificati, cieli, silenzi, polvere, vento elementi naturali come immagini rarefatte e simboliche, metafore dell’interiorità o della condizione dell’essere.
La dimensione del “pensare poetante” è una forma di “sconfinamento” dall’io verso l’oltre.
L'Erranza
Il verso, nell'Erranza, nella forma aforistica e post-ermetica si presenta come sospensione del senso più che sostenere affermazioni: il verso non offre certezze, ma aperture: non costruisce mondi, ma li interroga.
Il frammento, l'essenzialità e verticalità del verso, la parola isolata, il bianco della pagina si situa nel solco della poesia post-ermetica: l’elemento aforismatico, accomuna la poesia di Ungaretti e l'Erranza ma se Ungaretti https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Ungaretti conserva un respiro lirico Plescia https://www.giacintoplescia.it/ è post-lirico: un erede dell’ultima stagione ungarettiana che conduce al vuoto metafisico.
L'aforisma https://it.wikipedia.org/wiki/Aforisma una tensione al dire che continuamente si ritrae, dispiega una filosofia aperta al divenire, capace di pensare il nulla come origine e l’arte come evento dell’essere.
Il ritmo, interno ai versi, scandisce pause e tensioni semantiche e la punteggiatura è spesso assente o rarefatta.
Il verso libero, molto breve, spesso spezzato, costringono il lettore a sostare, a pensare, a meditare il vuoto tra le parole anche per la presenza di verbi al participio o all’infinito.
Interpretazioni sulla poesia
L'inadeguatezza della parola a contenere il reale fa della parola stessa una presenza e assenza insieme, una parola come indizio, eco, traccia.
La parola → al contempo rivelazione e fallimento è strumento che disvela ma non trattiene: non è mezzo, ma evento: nel suo fallimento la parola dice di più in quanto non è strumento di comunicazione, ma esperienza del limite.
L'Erranza non proclama ma interroga: è una voce interiorizzata, spogliata, è approccio “radicale alla parola”.
Il linguaggio
Il linguaggio si caratterizza per un'estrema rarefazione, per sottrazione ed essenzialità: ellissi, l’uso della cesura e di frequenti enjambement generano un senso di instabilità e apertura.
Le “parole che cadono e si frantumano nel loro stesso suono” come scrive Plescia è l'eco di Celan il poeta dell’indicibile che, dopo la Shoah, coltiva una poesia oscura e interrotta.
La lingua è vibrazione originaria in Plescia che non ha l'urgenza politica e storica di Celan con la lingua contaminata dalla storia.
Alcune letture convergono nel riconoscere la densità simbolica della poesia di Plescia, divergono tuttavia nel modo di interpretare la funzione del linguaggio.
L’idea del linguaggio come maschera, la visione della verità come metafora ormai logora, la decostruzione dell'identità, sono presenti in filigrana e riconoscibili come temi nietzschiani.
L'Erranza non aderisce al vitalismo dionisiaco è più vicina ad un nichilismo senza riscatto, al tragico silenzio post-metafisico, la bellezza come volontà di potenza è superata nella “catastrofe sublime” che non è annientamento ma soglia dell’oltre: il sublime è ciò che resiste alla pura logica dell’entità.
Il linguaggio e la poesia, in Heidegger https://it.wikipedia.org/wiki/Martin_Heidegger sono la dimora dell’essere nell'Erranza questa eredità è declinata in totale fragilità: qui il logos è sospetto, il poeta non celebra l'essere, ne contempla la fuga, la parola non ha fondamento, in Plescia la parola dischiude, non rappresenta.
La poesia come evento ontologico, non come espressione soggettiva, la poesia come soglia tra visibile e invisibile, apertura a quest'ultimo e come custodia dell’inafferrabile sono temi presenti nell'Erranza: richiamano Rilke che si pronuncia ancora per il canto, mentre in Plescia la poesia è solo traccia della voce.
Il pensiero poetante
Il pensiero poetante si muove come l’erranza stessa del linguaggio, l' Erranza non è un semplice vagabondare ma un modo d’essere che si sottrae alla dimora dell’identità per aprirsi all’evento: in questo si ritrova l’eco heideggeriano del pensiero autentico l'Anderweg il cammino, ma non è solo una via verso l’essere: il cammino ne l' Erranza è la condizione di un essere senza radici e senza ritorno, è il modo dell'accadere poetico, l'esperienza poetica si fa erranza di un cammino ontologico verso un altrove che si ritrae.
In questo senso, il pensiero poetante non è un’estetica della parola, ma una forma di sapere che abita l’incertezza, che si apre al mondo attraverso il ritmo, la traccia e l’invocazione del non detto.
Il pensiero poetante fa emergere l’essere nel suo accadere, come suono, ritmo, vibrazione ed il poetare è una necessità ontologica: solo ciò che è poetato esiste.
La soglia come apertura al senso, l'essere come evento, l'uomo come essere dell'aperto sono categorie heideggeriane che ritornano nei versi di Plescia che però insistono sul margine, sulla soglia come luogo dell’erranza: il poeta non cerca un “abitare” e resta in un nomadismo ontologico.
L’intuizione e l’immaginazione
L’intuizione, l’immaginazione non sono solo fantasia, ma forza ontologica capace di generare mondi, consentire il passaggio dal virtuale al reale, di concepire l’esperienza di ciò che ancora non ha forma e che si dischiude nell’evento, il luogo in cui il mondo prende forma attraverso la risonanza simbolica e il ritmo.
In questa dimensione, l’immaginazione è la funzione trascendentale che permette il pensiero dell’infinito.
L' Erranza come condizione ontologica
Il verso rivendica l’inconcludibilità del pensiero, la sua necessaria esposizione all’invisibile.
Il nulla è lo spazio del pensiero e della parola interrotta, non solo assenza ma presenza costante: un nulla pieno di attesa, un vuoto significante non metafisico: il nulla è il solo orizzonte da abitare, intimamente legato al senso di perdita.
L’erranza è il destino del pensiero, un modello antropologico e poetico: una condizione dell'individuo e del poeta stesso.
Il pensiero è scrittura che non si chiude in quanto è una soglia, non è controllo o determinazione ma un lasciarsi attraversare dall’essere che è un richiamo ad Heidegger ma più in sintonia con la poetica di Edmond Jabès https://it.wikipedia.org/wiki/Edmond_Jab%C3%A8s dove l’erranza assume una tonalità nomadica e mistica: l’esilio, la dispersione, il libro come dimora provvisoria del senso.
Il pensiero si configura come un orizzonte aperto, un campo di forze che abitano i confini tra filosofia e poesia, tra scienza e arte, tra mito e tecnologia in un intreccio ed esercizio di transizione e reinvenzione dell'erranza come forma del pensare: un tentativo di riconfigurare il rapporto tra sapere, forma e mondo.
Plescia congiunge l’ontologia all’esperienza concreta della perdita, facendo della poesia un laboratorio epistemico.
La dimensione ontologica della parola, vista come soglia tra essere e nulla, è un tentativo di superamento del linguaggio ordinario, in direzione di un dire che è esercizio di soglia fragile che non afferma, non spiega → simbolo del passaggio, del liminale tra essere e nulla, detto e taciuto.
L’Erranza e il fondamento
L’Erranza, è metafora e condizione dell'esistenza, principio esistenziale ed epistemologico che si costituisce come movimento ermeneutico continuamente sospeso tra l'origine e il possibile, tra l'invisibile e il sensibile in opposizione alla pretesa fondativa del pensiero metafisico che cerca il punto d’arresto, l’arché https://www.treccani.it/enciclopedia/arche_(Dizionario-di-filosofia)/
L'Erranza non mira a descrivere il mondo: è un cammino che non persegue una meta e non ha approdo alcuno in quanto trova una “ragione” nel movimento e nella instabilità, non nel fondamento.
La crisi del linguaggio e la storia
La crisi del linguaggio e la consapevolezza della sua intraducibilità ne l'Erranza richiamano Zanzotto https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Zanzotto che sperimenta la lingua sino ad un'estinzione fonica laddove Plescia la riduce, la sottrae: in tal senso Zanzotto pare barocco e sonoro al contrario di un Plescia cesellatore
Il trauma del linguaggio in Celan https://it.wikipedia.org/wiki/Paul_Celan dopo Auschwitz, è paragonabile al “mondo che ha perso ogni luogo” evocato da Plescia.
In entrambi la lingua è ridotta all'essenziale, la poesia diventa traccia, invocazione muta: il linguaggio è frattura e apertura, dialogo con l'assente, l'uso rarefatto, a volte ellittico della parola la densità della lingua è comune ma in Celan si spezza, in Plescia si piega al silenzio come senso ultimo.
La poesia per Celan è “un respiro, una traccia” evoca il verso di Plescia che si ferma al limite, nella pura esposizione dell’assenza.
Il silenzio della poesia
Il silenzio è la grammatica dell’assente in Jabès, ne l'Erranza è la sorgente del dire: per il primo il silenzio è l’origine della scrittura ed il “Libro” è il luogo in cui il dire si interroga e dove ogni parola è già incrinata dall’assenza dell’origine, ne l'Erranza il silenzio precede ed accompagna il “Libro” ma come "dimora provvisoria dell’errante" evidenziando la precarietà e l’instabilità del dire: la parola non nasce per colmare il silenzio, ma come traccia del suo permanere in questo senso “ogni poesia è il ricamo di una fenditura.”
In entrambi, l’erranza è metafisica, non geografica: è il moto costante del pensiero verso un altrove che resta inattingibile.
In particolare, il silenzio ne l'Erranza non è assenza di parola, ma suo fondo abissale, il silenzio non è solo un tema, ma un atto poetico, un gesto di sospensione da cui scaturisce il dire autentico.
Qui possiamo richiamare Rilke, ma anche Blanchot https://www.treccani.it/enciclopedia/maurice-blanchot/ per cui il silenzio è ciò che sfida il linguaggio e ne fonda la possibilità, la funzione conoscitiva e si privilegia un'estetica del silenzio.
L'Erranza e il Sacro
La poesia in Rilke https://it.wikipedia.org/wiki/Rainer_Maria_Rilke come ne l'Erranza è una soglia attraverso cui il mondo si fa dire, il linguaggio non è descrittivo, ma trasfigurante: se Rilke conserva ancora un senso mistico della parola, soprattutto nelle Elegie duinesi, ogni trascendenza è negata nell'Erranza.
Rilke resta fiducioso nell’essere, mentre Plescia scivola spesso verso il non-senso: è meno estetico, più nichilista.
Rilke tende a una trasfigurazione mistica, a una ricerca dell’Angelo come figura mediatrice tra visibile e invisibile, Plescia è più tragico, più legato alla ferita e al silenzio dell’assenza.
L'Erranza destruttura l’ethos hölderliniano https://www.treccani.it/enciclopedia/friedrich-holderlin/ non abitiamo più poeticamente, ma erriamo senza dimora e accentua la dimensione afasica, di un sacro che non viene più, laddove Hölderlin scrive ancora alla presenza di dèi assenti ma invocati.
Il sacro per Plescia è ciò che manca e si attende senza sapere se verrà: la sua poesia è meditazione e negazione, presenza che si fa assenza.
Anche se entrambi pensano al sacro come assenza, Plescia si muove nel dopo-teologia, nel tempo in cui non resta che la soglia.
L’Opera d’Arte e il Sublime
Il sublime è soglia tra visibile e invisibile, essere e nulla, forma e metamorfosi.
L’opera d’arte è vista come “evento sublime”, un accadere dell’essere nella forma, in cui il nulla non è mancanza, ma matrice creativa.
Il poeta esplora il sublime, soglia tra visibile e invisibile, essere e nulla, forma e metamorfosi, come esperienza limite, un contatto con il nulla che destabilizza l’essere: un sublime non solo estetico, ma ontologico: accade nella “sublatione”, una sorta di emergere e scomparire dell’essere nella radura del nulla.
La “bellezza-sublime” non è solo imitazione dell’idea ma diafana epifania del nulla, come in Proclo dove la sublimanza è già mossa cosmica e trasfigurante.
L' Erranza si pronuncia per una filosofia del sublime come via per una nuova ontologia: non più fondata sull’ente, ma sullo scarto, sull’evento incerto e imprevedibile che dà forma all’essere come opera, sogno, naufragio e rinascita.
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