L' onto-tecnologia: dialoghi con la AI
In Logica del senso e Millepiani di Deleuze, troviamo un’analisi ed un'attenzione particolare per le forme del divenire: non esistono strutture fisse, ma diagrammi mobili, piani di consistenza, intensità che si organizzano in zone di indiscernibilità: è un richiamo agli archetipi di Thom che diventano, nel pensiero deleuziano, catastrofi desideranti, singolarità morfogenetiche.
L'intuizione bergsoniana della durata, dell'élan vital, slancio vitale, dell'evoluzione creativa diventa, ne l’Analisi degli Archimorfismi Spaziali Post-Industriali di Plescia, intuizione morfogenetica e si traduce in progetti delle infrastrutture produttive, in architetture adattive, design non lineare ed interfacce sensibili dove la forma come evoluzione supera il determinismo.
Nei progetti sull’ontologia dinamica delle reti e sul tempo delle trasformazioni tecniche, l’idea di durata come tempo interno e qualitativo bergsoniani è esplicitamente tematizzata, l’intuizione bergsoniana ricorre nei lavori sull’immaginazione epistemica e sull’intelligenza morfologica artificiale, dove si postula una conoscenza non analitica ma immersiva nei processi.
In particolare, la temporalità è pensata non come cronologia, ma come processo plastico, vitale: le forme non si susseguono e si trasformano.
I progetti su spazio e tempo computazionale, temporalità interattiva e disegno relazionale delle strutture, sulla dinamica reticolare e sull'ontologia della rete rinviano alla fisica relazionale di Carlo Rovelli dove tempo e spazio sono effetti emergenti delle interazioni.
L’idea che la realtà non sia fatta di “cose” ma di eventi e relazioni è coerente con le strutture fluide e reattive analizzate nei progetti su reti adattive, strutture cibernetiche e intelligenze distribuite.
Gli archetipi morfici
L’Analisi degli Archimorfismi Spaziali Post-Industriali si colloca nella traiettoria teorica aperta da René Thom ma si estende ad una dimensione epistemologica e semiotica del contemporaneo: quella della produzione e della trasmissione post-industriale verso un'ontologia della comunicazione nell’epoca dei sistemi complessi e un'ontologia estetica ed energetica del mondo tecnico.
Il riferimento alla classificazione di Thom non è formale ma sostanziale: gli archetipi, come forme ricorrenti di trasformazione topologica, sono assunti come elementi per descrivere le strutture della produzione e dei media, diventano estensioni delle 'forme canoniche' di Thom, applicate a sistemi socio-tecnici complessi, come strumenti per la classificazione delle trasformazioni spaziali.
Il lavoro ipotizza che le strutture spaziali della società - reti, fabbriche, città, software, chip - siano regolabili e comprensibili mediante archetipi morfici, in questo senso l’archetipo si fa evento strutturale.
Gli archetipi, attraversando livelli materiali e immateriali della realtà, descrivono le modalità con cui un sistema passa da uno stato di equilibrio a un altro come avviene nella teoria thomiana.
La produzione e la comunicazione diventano così due manifestazioni isologiche: condividono strutture sintattiche e semantiche pur differenziandosi nei materiali e nei supporti tecnologici.
Le transizioni strutturali nei sistemi urbani, produttivi e comunicativi possono essere modellate attraverso discontinuità topologiche, analoghe alle catastrofi matematiche: logica che si ritrova nei progetti CNR dove si parla di “modelli topologici della creatività” e “ontogenesi delle forme tecniche e urbane”.
Lo spazio come sistema in divenire
Lo spazio è pensato come sistema in divenire, articolato secondo invarianti che non sono mai rigidi ma attraversati da possibilità trasformative e 'catastrofiche': una linea di pensiero che coniuga ontologia strutturale e teoria dei sistemi, morfogenesi e politica dello spazio, anticipando i modelli contemporanei di smart cities, fabbriche adattive, urbanistica algoritmica e informatica distribuita.
Un modello teorico per la progettazione e la gestione dei sistemi urbani, produttivi e comunicativi, prospettiva si allinea al pensée complexe di Edgar Morin ed alle proposte di Bruno Latour per un'ecologia delle pratiche scientifiche che riconosca la molteplicità dei saperi.
La proposta di spazi intelligenti che si trasformano in base a logiche di soglia, secondo curvature e biforcazioni richiamano la teoria thomiana.
Lo spazio non è il contenitore omogeneo newtoniano, ma una rete differenziale di intensità e trasformazioni nei progetti plesciani.
Il rizoma rivive nelle proposte su territorialità emergente e sistemi comunicativi non-lineari, reti di sensori, smart-city, sistemi di trasporto decentralizzati.
Il morphing urbano, la città-energia e la fabbrica sono immaginati come un campo entropico dove ogni mutamento formale è una biforcazione che genera nuova organizzazione.
Lo spazio è un campo dissipativo nei progetti sul digitale come forma energetica, sullo sviluppo di algoritmi ontogenetici per la progettazione architettonica e urbana.
Nei progetti sullo spazio reticolare post-industriale e sulla ontologia virtuale dell’opera d’arte, ogni struttura - fabbrica, città, media - è un punto di convergenza di flussi materiali, immateriali e desideranti che richiamano il “piano di consistenza” deleuziano.
I progetti su spazio digitale incarnano l’idea deleuziana di piega: lo spazio si ripiega su sé stesso per creare nuove esperienze estetiche e cognitive.
Nei progetti sulla forma estetica post-industriale e sullo spazio simbolico della tecnica recuperano, in una versione epistemologica, il lavoro bachelardiano: l'immaginazione materiale costruisce le forme abitative, le architetture del sogno, i dispositivi dello spazio.
Classificazione delle strutture spaziali
L'autore affronta una questione fondante: è possibile una classificazione delle strutture spaziali attraverso gli invarianti della stabilità morfologica?
Le “forme che connettono” in Gregory Bateson sottolineano l'importanza di pattern ricorrenti che attraversano diversi domini, suggerendo una struttura sottostante comune: un'ontologia della forma non più stabile, ma dinamica, non più oggettiva, ma relazionale: non più astratta, ma performativa.
Il chiasma spaziale
Le forme urbane, produttive, mediali non sono entità ma transizioni tra potenziali in questo contesto il chiasma è una transizione energetica e semantica, un campo morfogenetico, un’area dove media e produzione si intrecciano, si informano reciprocamente, generano nuovi schemi formali: in esso si producono isologie, corrispondenze tra strutture differenti, come tra un sistema urbano e una rete digitale, tra un modello di trasporto e un modello produttivo.
Il chiasma spaziale rimanda a Merleau-Ponty ma viene rielaborato ed interpretato come un punto di intersezione dinamica e strutturale tra diverse traiettorie di produzione e mediazione simile alla piega di Gilles Deleuze, che descrive la complessità delle relazioni tra interno ed esterno, tra soggetto e oggetto e per il quale la forma non è mai un dato ma un divenire.
Il concetto di chiasma si sovrappone al biforcarsi irreversibile delle strutture dissipative di Prigogine - che nascono in situazioni lontane dall’equilibrio, dove l’entropia si converte in ordine temporaneo emergente – e offre una loro nuova interpretazione: nel punto di incrocio tra media e produzione si crea un attrattore instabile, una nuova configurazione non predeterminata.
La costruzione di un metalinguaggio
Il ricorso a concetti quali archetipo, chiasma, isologia e morfogenesi, sono strumenti per la comprensione delle strutture e costituiscono un ponte tra discipline per una geometria vivente dello spazio umano.
I concetti di 'molteplicità', 'virtuale' e 'piano di consistenza' presenti - nei progetti su reti neurali urbane, città adattive e strutture produttive non lineari - s' incarnano nell'impianto di un'ontologia spaziale e dell'intelligenza morfica: la città, la fabbrica, l'interfaccia non sono oggetti ma zone di intensità, diagrammi di forze.
L'isologia tra media e produzione implica una corrispondenza strutturale tra sistemi apparentemente distinti come ricorda la teoria dei sistemi autopoietici di Niklas Luhmann per cui i sistemi sociali si auto-organizzano attraverso processi comunicativi.
È in gioco la costruzione di un metalinguaggio della trasformazione che descriva le transizioni spaziali e produttive tramite la grammatica strutturale di Bateson con i suoi “pattern che connettono” tra differenti ordini del sapere.
I livelli di organizzazione
I livelli di organizzazione che emergono da interazioni locali nella dinamica dei sistemi sono un insieme morfologico analizzato mediante invarianti strutturali, come nella teoria dei sistemi complessi.
La gerarchia di sistemi secondo una scala che va dai chip e software fino alle reti interplanetarie riflette una visione scalare della complessità.
L’innovazione tecnologica è, in questo quadro, un effetto collaterale dell’interazione tra media e produzione, che si manifesta secondo leggi morfogenetiche comuni.
I progetti sull'ontotecnologia
In Interfacce intelligenti e sistemi interattivi adattivi, e nei progetti sull’ontotecnologia della produzione e sull’architettura computazionale di Plescia sono un richiamo alla filosofia della tecnica di Simondon incentrata sull'individuazione: per cui ogni oggetto tecnico è un processo, non una cosa: l’oggetto tecnico, nella ricerca di Plescia, si trasforma proprio in relazione all’uso.
In particolare, l’oggetto tecnico per Plescia è un'entità che evolve tramite delle fasi: pre-individuale, individuazione, post-individuale, laddove media e produzione sono morfismi, ossia strutture che connettono fonti e destinazioni attraverso un plesso di trasformazioni.
L'oggetto è un essere-in-formazione, non un prodotto finito, ogni struttura è una cristallizzazione metastabile in un campo problematico, questa dinamica si traduce in forme che emergono da un continuo campo di tensione, come nodi energetici: chip, fabbriche, media, città, software.
Nei progetti:
l'individuazione si manifesta nell'evoluzione delle forme architettoniche e digitali, nella progettazione computazionale, nei chip che evolvono dinamicamente in risposta al contesto;
il preindividuale si ritrova nell’elaborazione di modelli matematici morfogenetici: ogni archetipo spaziale non è un’entità statica, ma un campo problematico in via di attuazione;
infine infrastrutture reticolari e morphing urbano rappresentano esempi del transindividuale: le strutture sono co-costruite da collettività in evoluzione.
L’archematica
La nozione di 'virtuale reale' risuona nei progetti sull’archematica delle infrastrutture cognitive, in cui la potenza morfogenetica precede l’effettualità tecnica.
I progetti sulla ontologia dell’opera d’arte, sullo spazio semiotico, sull'interazione computazionale, sulla genesi della forma e sulla spazializzazione algoritmica riflettono la visione whiteheadiana.
In Analisi degli Archimorfismi Spaziali Post-Industriali, ogni ente è evento, ogni evento è relazione tra passato e futuro ed ogni struttura nasce da un campo relazionale che integra forme passate in un nuovo attuale: l'ontologia implicita è affine a quella di Whitehead, in cui ogni “evento” è una concrescenza di forme, di molteplici esperienze preesistenti, sintesi temporanee di potenziali.
Nei modelli teorici dell’archematica, gli archetipi spaziali sono possibilità di forma che si attualizzano in configurazioni singolari, sono dunque attualizzazioni di potenziali, come le eternal objects whiteheadiane che si incarnano in occasioni attuali.
Nei progetti questa eredità si traduce nell’idea di opera d’arte come processo, o nello spazio urbano come evento topologico, interfaccia mediale, campo esperienziale dinamico.
L'Analisi degli Archimorfismi Spaziali Post-Industriali è una proposta di una città-processo e di una rete intelligente che evolve attraverso eventi di significazione, in cui l’essere non è mai separabile dal divenire.
Nei progetti dedicati alla forma architettonica, all’archetipalità del progetto e all’ontologia dell’ambiente urbano, emerge l’influenza della poetica di Bachelard degli elementi materiali: fuoco, acqua, aria, terra.
L’immaginazione materiale è parallela all’idea di archematica in Plescia, come forza generativa che modella tanto le strutture fisiche quanto le infrastrutture cognitive.
Il concetto di rêverie è riformulato nei progetti sulla de-strutturazione estetica post-industriale e sulla costruzione simbolica degli spazi di desiderio.
Conclusione
L’Analisi degli Archimorfismi Spaziali Post-Industriali offre una prospettiva radicale ed innovativa: a partire dall’idea che produzione e media siano sistemi isologici, l'autore cerca di identificare strutture morfogenetiche in grado di comprendere e modellare le trasformazioni delle infrastrutture spaziali, digitali e cognitive del tardo capitalismo.
I progetti promuovono un linguaggio condiviso tra matematica, scienze regionali, semiotica, architettura e ingegneria dei media con l'obiettivo di comprendere le strutture spaziali della società attraverso archetipi morfogenetici: una filosofia archimorfica della contemporaneità, in particolare: su ontologia dei media, archematica della produzione, infrastrutture cognitive, digitalizzazione ontologica, territorialità reticolare, estetica algoritmica dove la forma non è mai soltanto geometria, ma è ontologia, estetica, processo energetico, relazione.
L'uso di archetipi morfogenetici e la teoria strutturale del mutamento integra concetti provenienti da diverse discipline in un crocevia tra scienza, e filosofia: nei progetti si avverte l’eco delle epistemologie morfogenetiche di Brian Goodwin e delle geometrie di scala nella fisica del caos e dei frattali.
In tutti questi casi, si cerca di fondare una nuova epistemologia dello spazio e della produzione come processi di forma, emergenza e convergenza.
Nessun commento:
Posta un commento