Non sapevo di saper scrivere.
Un'altra volta mi sorpresi delle mie facoltà.
Quando incontrai Rekard nel suo rifugio di S. Angeles, pieno di ricordi.
Ah, quelle foto ora le conservavo io. Non sono riuscita a comprendere perché quei miseri, ingialliti ed insignificanti frammenti di celluloide offrano più identità di un'opera d'arte agli esseri umani.
Rekard provò a spiegarmi che per loro la memoria dei ricordi sia un ritornare nell'origine dell'essenza dell'esistenza. Ma per gli androidi non esistono origini e men che meno esistenza, giacché noi non siamo esseri.
"Ma allora perché tu desideri possedere dei ricordi?"
"Ah, perché tutti gli altri androidi sono alla ricerca di memoria e forse anch'io sono stata influenzata da quella moda."
Non era vero. Quando guardai le foto della madre di Rekard desiderai che fosse la mia.
Mentre gli altri androidi sognano pecore elettriche io ho sempre sognato una madre vera: come quella della foto di Rekard.
"Non sei contenta di avere un padre?" mi chiese, quasi avesse letto nei miei pensieri.
"No. Quello che hai conosciuto tu, non era il mio creatore".
"Ma se mi disse che ti aveva creata lui! E che tu fossi un androide speciale, il più perfetto che ci fosse sulla nostra galassia!"
"Ti avrà anche spiegato che io non sono un androide".
"Si, ma se ti ho scoperta io, con la domanda sul cane!"
"Sciocco, sono stata il a rivelarmi, per non farti fare una brutta figura con il Gran Padre. Avevi tanto bisogno di quel lavoro in pelle."
"Ma se non sei un'androide, che cosa sei?"
"Una ginoide."
"Una ginoide? E che significa? Un'androide femmina?"
"Eh no, c'è una differenza ontologica tra le androidi femmine che hai eliminato, simili agli altri androidi ed una ginoide ... "
"Una differenza ontologica? Ho sempre pensato che gli androidi fossero stati costruiti per le missioni speciali nello spazio, non per dilettarsi in filosofia dell'essere."
In quel momento iniziai ad odiarlo. Va bene, sarei stata poco carina con lui; perché non mi denunciò a quel cacciatore di replicanti di S. Angeles, metà giapponese e metà spagnolo, ma quella sua ironia da essere superiore mi aveva proprio annoiata.
Mi misi al pianoforte che preparai in un battibaleno nella nostra casa-rifugio dell’Arkansas e suonai la sinfonia K 550 di Mozart.
Così, senza averla mai sentita ma solo per averla letta sullo spartito. Chissà perché quelle note in simbiosi con le foto di Rekard elevarono le mie facoltà pensanti verso una temporalità del passato.
Se prima mi meravigliai che non sapevo di suonare ora mi sovvenne: non sapevo di saper ricordare.
Sarà anche stata la domanda di Rekard su chi fosse il mio creatore, sarà stata forse la musica di Mozart, saranno state le foto ingiallite lì davanti ai miei occhi tremanti di pianto, o altro ancora di cui non riuscii a decifrare il senso: fatto sta che mi lasciai andare al pensiero rammemorante.
"Oh Rekard!" dissi con una voce mai sorta dalle mie corde vocali di fibre di carbonio fuse con l'idrogeno: una voce da soprano? Le corde vocali del soprano vibrano al limite degli ultrasuoni.
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