Il Mio pensiero rimemorante si è rivolto alle temporalità del passato ed è in grado di ricordare ... si credo di poter sapere.
Blade, tu sei stata creata al silicio e drogata con oro, arsenico e gallio; se vuoi: non sei stata creata al carbonio e drogata con ossigeno, idrogeno e calcio come tutti gli esseri umani ...
Certo è che la mia essenza non è composta da silicio e frattaglie come quelle degli altri replicanti, né da molecole di carbonio lineare e acqua come quella degli esseri umani ...
Se non possiedi un padre, avrai tutti come madre ...
Una madre. Mi sorpresi a pensare: non sapevo di saper pensare e non
sapevo di saper immaginare.
Una madre? Tu pensi che io possa avere una gran Madre invece di un gran Padre? Rimasi lì, con i ricordi ed i pensieri che rimbalzavano nella mia mente artificiale.
Artificiale?
Da quel momento quella parola non mi risuonò più in modo naturale.
Naturale?
No, quell'essenza è una qualità solo degli umani. E degli animali, e dei vegetali e dei minerali.
Ma io non ero né minerale, né animale, né umana, né mi sentii più artificiale, di quale essenza era la mia mente i il mio corpo?
Una madre... avrei voluto sognare una madre tutta per me. Bella come quella di Rekard alla quale assomigliassi nel colore degli occhi, nel taglio e nella profondità della vista.
Le foto della madre di Rekard: non assomigliava per niente al figlio ... perché non ci sono tra le sue foto nonne o ave?
Filtrai con i miei raggi delta la grana di quelle immagini. Come avevo sospettato ... tutte le foto provenienti da epoche diverse ed assemblate con la stessa immagine femminile.
Un montaggio temporale.
Ma perché Rekard avrà fatto questo?
Guardai Rekard sotto la doccia ed osservai l' acqua sparire nella buca dalle vasche idromassaggi ... un attrattore strano come una singolarità dello spazio tempo ... perché i miei pensieri si rivolsero verso quell'evento singolare?
Ma non c'era tempo per riflettere.
Rekard, sotto l'acqua, mi avvertì:
"Blade, preparati, dobbiamo fuggire di nuovo, prima o poi qualcuno ci troverà".
Lasciammo la casetta dell'Arkansas bianca e rilucente come la neve simulata nelle sfere di cristallo. E furono le radure verdi del Vermont la nostra meta.
Guardai Rekard occupato nella guida della nave spaziale. La sua mi parve un'indifferenza vuota, quasi assente. La presenza di un'assenza di senso: quasi fosse un automa o un replicante o un androide.
Sarà che anch'io lo fossi e percepissi la differenza di allontanante come una prossimità identificante?
Mi fu spiegato che il mio codice potesse avvertire simili sensazioni. Avrei percepito l’altro non quale nemico da uccidere ma quale origine della mia più intima identità. Lì per lì non andai oltre quelle sensazioni.
Tant'è che chiesi: "Siamo diretti nel Vermont?"
"Si, vedrai che ti piacerà.Le foreste li sono curate come se fossero dell'era preatomica."
"Andremo a rifugiarci in quella casetta ritratta nel tuo album di fotografie? È tua?"
Ma Rekard non rispose. Sembrava non riuscisse a percepire quel senso di proprietà.
La casetta si svelò ai nostri occhi in mezzo al verde di una radura d'una folta selva dell'ancora selvaggio Vermont.