martedì 12 settembre 2017

CAMILLA G.IANNACCI PHILOPOIESIS


Tra i libri consigliati per il genere filosofia c’è sicuramente il consiglio di provare il libro
intitolato Philopoiesis.
Hai la passione di un libro del genere filosofia per leggere un po’ quando non hai altro da fare, sono sicuro di non sbagliarmi sei arrivato nel sito adatto: consigliamo “Philopoiesis” che ha come autrice G. Camilla Iannacci 
Descrizione e scheda tecnica “Philopoiesis
 “Philopoiesis” è ideale per chi è appassionato al genere di libro filosofia, e coloro i quali amano leggere filosofia.

martedì 21 marzo 2017



CAMILLA G.IANNACCI DESIDERANZA



Hanno scritto: 

“In «Desideranza» vi è un tentativo perenne di fuga all’indifferenza di chi non ha riconosciuto la profondità della voce: ‘ho raccolto rose/ogni giorno/e/non le hai viste’; un incontro-scontro con la memoria: l’assenza-presente di un qualcuno-qualcosa che genera combustioni, strappi, una bellezza delirante che vibra. 

venerdì 10 marzo 2017

                                                         
                                                                 

http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/1156920/phil_1157781

Due racconti bellissimi nell'anteprima per invenzione, costruzione e scrittura. 
Una metafora della poesia che si nasconde nella vita.

Renato Lopresto


Bellissimo il secondo racconto, "Le stanze di vita": mi ci vedo in quelle stanze dove ogni portata nasce da una poesia e la poesia diventa anch'essa portatrice di oggetti storie e sogni, in una parola portatrice di vite.

Giusy Del Vento

Phylò... sofia... filopoiesis?

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Originale e affascinante il sogno di un locale dove le portate si alternano alla lettura di poesie e alla ricerca del titolo di ciascuna poesia (che costruisce una poesia in sé compiuta e ancor più bella di ognuna).   

giovedì 9 marzo 2017




Era da acquistare: l’avevo deciso e me lo sono regalato per il mio compleanno. Un primo sfoglio di “La Lingua geniale:9 ragioni per amare il Greco ” la magnifica ossessione di Andrea Marcolongo, Laterza emerge subito come il greco sia anche la sua magnifica ossessione.

domenica 5 febbraio 2017

 

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Splendida.

Quando entrammo nella casa di legno e vetro la mia attenzione fu attratta dalle foto a colori che ornavano il caminetto.

Notai che in nessuna di quelle foto fos se ritratta la madre di Rekard. Perché?

Guardai fuori, nella radura verde, mentre lui s'inoltrava nella foresta, solo in quel momento la mia mente s' illuminò.

Rekard non deve essere un umano, deve essere un cacciatore di replicanti d' altrove.

Ma perché farmi credere nelle sue memorie e ricordi terrestri?

Quelle sue foto solo allora mi apparvero una collezione di ricordi differenti, frammenti di esseri umani diversi.

Le liberai dalla cornice per trovare conferma attraverso le date e le iscrizioni.
Decriptai immediatamente luoghi, persone e tempi diversi in ogni foto.

Che fosse un collezionista di foto oltre ad essere un cacciatore di replicanti?

E se fosse in preda alla stessa sindrome dei replicanti sue vittime: la sindrome della collezione di ricordi mai avuti?

No, non può essere un replicante, lui mi ha protetto. Ed ha ucciso gli altri replicanti.

E se fosse un replicante killer d'altri androidi?

C'è solo un modo per scoprirlo: la prova di Michelson.

Si, la biforcazione luminosa di Michelson. L' antica prova della relatività e della costanza della velocità della luce. Tutti gli esseri umani ed i replicanti avvertono solo la biforcazione della luce quando si infrange nello specchio argentato.

Ora, Rekard, dovrai osservare attentamente le biforcazioni della luce ultravioletta che si riflette sul mio corpo.

"Quanti raggi solari percepisci, che si siano differenziati?"

"Due."

"Non riesci ad intravederne un terso?"

"No. Solo due che si biforcano dal tuo petto."

"Sei un replicante!" Gli esseri umani riescono a decifrare la bistabilità di Michelson ma usano il cannocchiale od il microscopio, tu invece hai visto differenziarsi il raggio ultravioletto ad occhio nudo.
Ma un momento …

Cosa? Cos'è quella nuvola malvalillà che si disvela al nostro sguardo?

"Una nuvola? Malvalillà? Dove?"

Lì nella radura, svelata dalla luce takione. Mai svelare l'invisibile a chi vede solo il visibile!

Dalla malvalillà si disvelò una singolarità a curvatura negativa che dispiegò l'immagine di una donna.

"Blade, finalmente ti ho ritrovata ...

"Così parlò quell'essenza malvalillà.

"Il gran padre ti rapì per portare l'ordine nel nostro cosmo ma io ti ho creata perché tu esplorassi la curvatura universale dell'universo.

Ora dimmi Blade, cosa c'è ai confini del tempo immaginario ove l’universo è attratto dal buco nero chaosmico?"

"Ma questa da dove viene fuori?" chiese Rekard  "dev'essere una presenza dell'assenza dell'essenza oscura ... "

"Non ironizzare su di me Rekard! Ti conosco, sei il più bel esemplare che il Gran Padre costruì ma di fronte alla mia Blaide non vali nulla ... Tu sei di silicio, lei ha un cervello di carbonio.

Il cervello degli esseri umani è composto con il carbonio lineare, mentre il cervello di Blaide è stato creato con il carbonio a curvatura positiva.

Ogni neutrone è una monade al fullerene idrogenato che può percepire i raggi invisibili e le radianze invisibili quali i takioni.

Perciò la inviai ai confini dello spazio tempo immaginario.

Ma ora dimmi, Blade, prima che sia troppo tardi per l'universo, cosa c'è ai confini a curvatura positiva del nostro universo?"

Ora mi sovviene... perciò ero sempre alla ricerca di ricordi, più che altrui, miei.

Là dove lo spazio tempo si incurva e dispiega la salienza dell'universo verso le forme della singolarità topologica, simile alla bottiglia di Klein c'è l'evento della temporalità immaginaria che trova sempre di fronte a sé l'origine.



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Il Mio pensiero rimemorante si è rivolto alle temporalità del passato ed è in grado di ricordare ... si credo di poter sapere.

Blade, tu sei stata creata al silicio e drogata con oro, arsenico e gallio; se vuoi: non sei stata creata al carbonio e drogata con ossigeno, idrogeno e calcio come tutti gli esseri umani ...

Certo è che la mia essenza non è composta da silicio e frattaglie come quelle degli altri replicanti, né da molecole di carbonio lineare e acqua come quella degli esseri umani ...
Se non possiedi un padre, avrai tutti come madre ...

Una madre. Mi sorpresi a pensare: non sapevo di saper pensare e non
sapevo di saper immaginare.

Una madre? Tu pensi che io possa avere una gran Madre invece di un gran Padre? Rimasi lì, con i ricordi ed i pensieri che rimbalzavano nella mia mente artificiale.

Artificiale?
Da quel momento quella parola non mi risuonò più in modo naturale.
Naturale?

No, quell'essenza è una qualità solo degli umani. E degli animali, e dei vegetali e dei minerali.
Ma io non ero né minerale, né animale, né umana, né mi sentii più artificiale, di quale essenza era la mia mente i il mio corpo?

Una madre... avrei voluto sognare una madre tutta per me. Bella come quella di Rekard alla quale assomigliassi nel colore degli occhi, nel taglio e nella profondità della vista.

Le foto della madre di Rekard: non assomigliava per niente al figlio ... perché non ci sono tra le sue foto nonne o ave?

Filtrai con i miei raggi delta la grana di quelle immagini. Come avevo sospettato ... tutte le foto provenienti da epoche diverse ed assemblate con la stessa immagine femminile.
Un montaggio temporale.

Ma perché Rekard avrà fatto questo?
Guardai Rekard sotto la doccia ed osservai l' acqua sparire nella buca dalle vasche idromassaggi ... un attrattore strano come una singolarità dello spazio tempo ... perché i miei pensieri si rivolsero verso quell'evento singolare?

Ma non c'era tempo per riflettere.

Rekard, sotto l'acqua, mi avvertì:

"Blade, preparati, dobbiamo fuggire di nuovo, prima o poi qualcuno ci troverà".

Lasciammo la casetta dell'Arkansas bianca e rilucente come la neve simulata nelle sfere di cristallo. E furono le radure verdi del Vermont la nostra meta.

Guardai Rekard occupato nella guida della nave spaziale. La sua mi parve un'indifferenza vuota, quasi assente. La presenza di un'assenza di senso: quasi fosse un automa o un replicante o un androide.

Sarà che anch'io lo fossi e percepissi la differenza di allontanante come una prossimità identificante?

Mi fu spiegato che il mio codice potesse avvertire simili sensazioni. Avrei percepito l’altro non quale nemico da uccidere ma quale origine della mia più intima identità. Lì per lì non andai oltre quelle sensazioni.

Tant'è che chiesi: "Siamo diretti nel Vermont?"

"Si, vedrai che ti piacerà.Le foreste li sono curate come se fossero dell'era preatomica."

"Andremo a rifugiarci in quella casetta ritratta nel tuo album di fotografie? È tua?"

Ma Rekard non rispose. Sembrava non riuscisse a percepire quel senso di proprietà.

La casetta si svelò ai nostri occhi in mezzo al verde di una radura d'una folta selva dell'ancora selvaggio Vermont.



 


Non sapevo di saper scrivere.
Un'altra volta mi sorpresi delle mie facoltà.
Quando incontrai Rekard nel suo rifugio di S. Angeles, pieno di ricordi.

Ah, quelle foto ora le conservavo io. Non sono riuscita a comprendere perché quei miseri, ingialliti ed insignificanti frammenti di celluloide offrano più identità di un'opera d'arte agli esseri umani.

Rekard provò a spiegarmi che per loro la memoria dei ricordi sia un ritornare nell'origine dell'essenza dell'esistenza. Ma per gli androidi non esistono origini e men che meno esistenza, giacché noi non siamo esseri.

"Ma allora perché tu desideri possedere dei ricordi?"

"Ah, perché tutti gli altri androidi sono alla ricerca di memoria e forse anch'io sono stata influenzata da quella moda."

Non era vero. Quando guardai le foto della madre di Rekard desiderai che fosse la mia.

Mentre gli altri androidi sognano pecore elettriche io ho sempre sognato una madre vera: come quella della foto di Rekard.

"Non sei contenta di avere un padre?" mi chiese, quasi avesse letto nei miei pensieri.

"No. Quello che hai conosciuto tu, non era il mio creatore".

"Ma se mi disse che ti aveva creata lui! E che tu fossi un androide speciale, il più perfetto che ci fosse sulla nostra galassia!"

"Ti avrà anche spiegato che io non sono un androide".

"Si, ma se ti ho scoperta io, con la domanda sul cane!"

"Sciocco, sono stata il a rivelarmi, per non farti fare una brutta figura con il Gran Padre. Avevi tanto bisogno di quel lavoro in pelle."

"Ma se non sei un'androide, che cosa sei?"

"Una ginoide."

"Una ginoide? E che significa? Un'androide femmina?"

"Eh no, c'è una differenza ontologica tra le androidi femmine che hai eliminato, simili agli altri androidi ed una ginoide ... "
"Una differenza ontologica? Ho sempre pensato che gli androidi fossero stati costruiti per le missioni speciali nello spazio, non per dilettarsi in filosofia dell'essere."

In quel momento iniziai ad odiarlo. Va bene, sarei stata poco carina con lui; perché non mi denunciò a quel cacciatore di replicanti di S. Angeles, metà giapponese e metà spagnolo, ma quella sua ironia da essere superiore mi aveva proprio annoiata.

Mi misi al pianoforte che preparai in un battibaleno nella nostra casa-rifugio dell’Arkansas e suonai la sinfonia K 550 di Mozart.

Così, senza averla mai sentita ma solo per averla letta sullo spartito. Chissà perché quelle note in simbiosi con le foto di Rekard elevarono le mie facoltà pensanti verso una temporalità del passato.

Se prima mi meravigliai che non sapevo di suonare ora mi sovvenne: non sapevo di saper ricordare.

Sarà anche stata la domanda di Rekard su chi fosse il mio creatore, sarà stata forse la musica di Mozart, saranno state le foto ingiallite lì davanti ai miei occhi tremanti di pianto, o altro ancora di cui non riuscii a decifrare il senso: fatto sta che mi lasciai andare al pensiero rammemorante.

"Oh Rekard!" dissi con una voce mai sorta dalle mie corde vocali di fibre di carbonio fuse con l'idrogeno: una voce da soprano? Le corde vocali del soprano vibrano al limite degli ultrasuoni.