Sperimentiamo il tempo come un passaggio continuo e inarrestabile da ciò che fu a ciò che è adesso ed ulteriormente a ciò che sarà.
Questo passaggio, quasi impercettibile, non significa che il tempo sia un'entità assoluta, la cosiddetta “Teoria del tempo assoluto”, o vuoto, assunta da Newton.
In realtà il tempo è una caratteristica derivata dal movimento: la “teoria relazionale” del tempo, seguita da Leibniz.
Ogni mutamento contiene una dimensione irriducibile di successione di un “prima” e di un “dopo” ed è questa la temporalità nel suo momento originario, prima di ogni misurazione.
Laddove c'è successione, c'è una forma di temporalità.
Da questo punto di vista, ogni fenomeno successivo produce un proprio tempo, ma a causa dell'intreccio tra gli esseri della natura, normalmente il prima e dopo di molti fenomeni si determina in rapporto a certe successioni standard.
Il tempo quindi è l'ordine successivo “prima/dopo” tra gli eventi, nato dal movimento però, ciò che cambia permane sotto molti altri aspetti, per cui il tempo, in un senso più frequente del termine, è la “durata dell'essere mutevole”.
Una durata sempre immersa nel cambiamento, dal momento che ogni essere naturale subisce costantemente trasformazioni interne e anche cambia a causa del mutamento continuo della natura circostante.
Così un ente dura il tempo di un'ora, di un giorno, di alcuni anni, in quanto permane nell'essere durante quel periodo o durata, che resta determinata proprio perché quel periodo è stato caratterizzato da alcuni cambiamenti e dai mutamenti nei fenomeni del cielo, in quelli terrestri, dei viventi.
Se, per assurdo, non cambiasse mai nulla nel mondo e non ci fosse alcun riferimento, nemmeno esterno, ad una qualche successione di eventi, allora in quello strano stato non si darebbe un vero tempo.
A durare è ciò che è mutevole e, per questo motivo, le cose “a-temporali”, come sono i concetti astratti, per esempio i numeri, non “durano”.
Il tempo, in quanto dimensione non spaziale del moto, è suscettibile di essere quantificato.
Newton concepiva il tempo come assoluto, come un flusso uniforme e infinito, indipendente dalle cose, il quale tempo non era altro che un'idealizzazione pari a quella dello spazio assoluto e infinito.
Kant seguì in un certo senso la stessa strada, solo che ridusse il tempo ideale newtoniano a un'intuizione a priori della sensibilità interna dell'uomo, introducendo così il dualismo tra il tempo psichico (quello della sensibilità interna) e il tempo assegnato ai fenomeni per inquadrarli nelle categorie del pensiero.
E' vero che il tempo astratto è costruito in parte dall'uomo quando misura la successione dei moti naturali il giorno, l'anno, in quanto tali sono entità di ragione fondate sulla realtà, ma altri aspetti del tempo sono ontologici e “pre-metrici” il futuro non è un ente di ragione.
La teoria della relatività di Einstein eliminò in maniera definitiva l'idea del tempo assoluto nella fisica.
Il tempo, lo “spazio-tempo” è relativo allo stato di moto di un dato sistema di riferimento, e nella teoria della relatività generale il tempo è anche relativo alla intensità del campo gravitazionale, cioè alla curvatura dello spazio.
Ogni mutamento contiene una dimensione irriducibile di successione di un “prima” e di un “dopo” ed è questa la temporalità nel suo momento originario, prima di ogni misurazione.
Laddove c'è successione, c'è una forma di temporalità.
Da questo punto di vista, ogni fenomeno successivo produce un proprio tempo, ma a causa dell'intreccio tra gli esseri della natura, normalmente il prima e dopo di molti fenomeni si determina in rapporto a certe successioni standard.
Il tempo quindi è l'ordine successivo “prima/dopo” tra gli eventi, nato dal movimento però, ciò che cambia permane sotto molti altri aspetti, per cui il tempo, in un senso più frequente del termine, è la “durata dell'essere mutevole”.
Una durata sempre immersa nel cambiamento, dal momento che ogni essere naturale subisce costantemente trasformazioni interne e anche cambia a causa del mutamento continuo della natura circostante.
Così un ente dura il tempo di un'ora, di un giorno, di alcuni anni, in quanto permane nell'essere durante quel periodo o durata, che resta determinata proprio perché quel periodo è stato caratterizzato da alcuni cambiamenti e dai mutamenti nei fenomeni del cielo, in quelli terrestri, dei viventi.
Se, per assurdo, non cambiasse mai nulla nel mondo e non ci fosse alcun riferimento, nemmeno esterno, ad una qualche successione di eventi, allora in quello strano stato non si darebbe un vero tempo.
A durare è ciò che è mutevole e, per questo motivo, le cose “a-temporali”, come sono i concetti astratti, per esempio i numeri, non “durano”.
Il tempo, in quanto dimensione non spaziale del moto, è suscettibile di essere quantificato.
Newton concepiva il tempo come assoluto, come un flusso uniforme e infinito, indipendente dalle cose, il quale tempo non era altro che un'idealizzazione pari a quella dello spazio assoluto e infinito.
Kant seguì in un certo senso la stessa strada, solo che ridusse il tempo ideale newtoniano a un'intuizione a priori della sensibilità interna dell'uomo, introducendo così il dualismo tra il tempo psichico (quello della sensibilità interna) e il tempo assegnato ai fenomeni per inquadrarli nelle categorie del pensiero.
E' vero che il tempo astratto è costruito in parte dall'uomo quando misura la successione dei moti naturali il giorno, l'anno, in quanto tali sono entità di ragione fondate sulla realtà, ma altri aspetti del tempo sono ontologici e “pre-metrici” il futuro non è un ente di ragione.
La teoria della relatività di Einstein eliminò in maniera definitiva l'idea del tempo assoluto nella fisica.
Il tempo, lo “spazio-tempo” è relativo allo stato di moto di un dato sistema di riferimento, e nella teoria della relatività generale il tempo è anche relativo alla intensità del campo gravitazionale, cioè alla curvatura dello spazio.
Leibniz immaginò fosse possibile una ontodinamica infinita in uno “spazio tempo” finito o definito in monade, quale apeiron nell'a priori o archè spazio temporale, assolutamente estraneo alla meccanica newtoniana intrisa di accelerazione assoluta, per sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo ed uniforme.
In relatività in verità invece non c'è mai separatamente lo spazio e il tempo, ma solo lo “spazio tempo”.
L'idea che la relatività possa essere una teoria geometrica dello “spazio tempo” è una disvelanza dell'ontologia della verità quale temporalità ontologica dello “spazio Tempo Ontologico” o autentico in relatività all'estasi dell'esserci e giammai dell'ente: le varietà, quali monadi dello “spazio tempo” ontologico è già presente in Leibniz nel suo paradigmatico “Tempo Evento” nello spazio “Tempo-Immaginario”, quale non lineare ontologia dell'evento della monade in un originale “spazio tempo” a curvatura immaginaria.
Leibniz svelò l'infinito o l'infinitesimo nell'evento temporale finito e lo calcolò quale spazio temporalità ontologica dell'evento dell'esserci ontodynamico denso di infinite dimensioni, non solo quelle immaginate o quantiche della compresente “m-theory”, anzi quella non è altro che una singolarità della “pl-theory”, quale ontodinamica della “multy-super dimensionalità” “dell'ontologia-non lineare” della Curvatura dello “spazio Tempo” o “non lineare dynamica” delle superdimensioni sublimi della monade.
L'analitica non lineare chaotica e ontodynamica lì trovò la sua ontogenesi fino al “Lorenz-model” del 1963, ove c'è lo “strange-attractor” della celebre butterfly: eventi infinitesimi posso creare ontodinamiche imprevedibili ed indicibili.
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