L'arte in filosofia e fisica lungi dall'essere un mero oggetto di contemplazione, l'opera si manifesta come un Ab-grund, un abisso che disvela un non-ente, un Nulla che genera nell'osservatore non solo reazioni emotive come paura e piacere, ma, heideggerianamente, il senso primordiale dell'Angoscia. Questa reazione non è superficiale, ma scaturisce dalla presenza "assentemente presente" del Nulla di fronte al Sublime, rivelando il non-fondamento che sottende l'esistenza.
In L'Epistemica, il Nulla e l'Arte di Giacinto Plescia, si possono individuare diversi riferimenti e confronti impliciti ed espliciti con altri filosofi.
Filosofi menzionati e loro potenziale rilevanza nel testo:
Heidegger: Viene citato esplicitamente in relazione al senso dell'Angoscia di fronte all'opera d'arte, descritta come un "Ab-grund" (Abisso), un "non-Ente", il "Niente", il "Nulla". Questo rimanda alla filosofia esistenzialista di Heidegger e alla sua concettualizzazione dell'Essere e del Nulla, in particolare nel contesto dell'esperienza autentica e della rivelazione dell'Essere attraverso l'angoscia.
Nietzsche: Viene menzionato in riferimento allo "sfondo abissale" che è presente nel suo pensiero e che viene ripreso da Grassi e Pareyson. Questo suggerisce un confronto con la filosofia nietzscheana, in particolare con concetti come il nichilismo, l'abisso e la prospettiva.
Grassi e Pareyson: Sono citati come filosofi che riprendono lo "sfondo abissale" presente in Nietzsche. Ciò implica un legame con la loro filosofia e la loro interpretazione del pensiero nietzscheano in relazione al nulla e, presumibilmente, all'arte.
Kant: L'interpretazione dell'estetica kantiana è discussa in relazione al tema dell'abissalità. Si parla di una "singolarità interpretativa" e di una "Gestell dell'Opera d'Arte sul sentiero di un'analitica dell'esserci, per un'analitica della bellezza e del sublime". Questo indica un confronto con la filosofia estetica di Kant, in particolare con la sua Critica del Giudizio e i concetti di bello e sublime.
Petitot: Viene menzionato in relazione alla compatibilità del kantismo con il significato epistemologico della teoria di Thom. Questo introduce un collegamento tra la filosofia kantiana e il pensiero di un fisico (Thom), suggerendo un'intersezione tra epistemologia e filosofia dell'arte.
Fisici menzionati e loro potenziale rilevanza nel testo:
Thom: La sua teoria è menzionata in relazione alla compatibilità con il significato epistemologico del kantismo secondo Petitot. Questo suggerisce un tentativo di connettere concetti filosofici (kantiani) con teorie scientifiche (di Thom) nell'ambito dell'epistemologia e della comprensione della conoscenza.
Temi filosofici centrali e loro connessioni con altri pensatori:
Il Nulla (Niente, Abisso): Il testo pone il Nulla come elemento centrale nell'esperienza dell'opera d'arte. Questo tema è ampiamente trattato nella filosofia occidentale, da Parmenide e Platone fino all'esistenzialismo contemporaneo. I riferimenti a Heidegger e Nietzsche lo collocano in una tradizione di pensiero che esplora il significato ontologico del nulla e la sua relazione con l'Essere.
L'Angoscia: La menzione dell'angoscia come reazione di fronte all'opera d'arte richiama la filosofia esistenzialista, in particolare Kierkegaard e, come già detto, Heidegger, per i quali l'angoscia è un'esperienza fondamentale che rivela la finitezza e la libertà dell'Esserci.
Il Sublime: Il riferimento al sublime, insieme al bello, lo colloca nel dibattito estetico che ha avuto figure centrali come Kant e Burke. L'associazione del sublime con la presenza "assentemente presente" del Nulla suggerisce un'interpretazione che lega la potenza travolgente del sublime all'esperienza del non-fondamento.
Epistemologia e Ontologia: Il titolo stesso suggerisce un'indagine sul rapporto tra l'epistemica (la teoria della conoscenza) e l'ontologia (la teoria dell'essere) in relazione all'arte e al nulla. Il testo sembra voler distinguere l'ontologia specifica dell'opera d'arte dalla "Verità Epistemica del Mondo", suggerendo che l'arte non è semplicemente un riflesso della conoscenza del mondo.
In sintesi, pur non essendoci un confronto diretto e approfondito con le teorie di altri filosofi e fisici in questi estratti, il testo di Plescia si situa chiaramente all'interno di un dialogo con la tradizione filosofica occidentale, in particolare con l'esistenzialismo, la filosofia nietzscheana e la filosofia estetica kantiana. L'accenno alla teoria di Thom, mediato da Petitot, apre una potenziale linea di riflessione sull'intersezione tra epistemologia filosofica e pensiero scientifico.
L'Abisso Rivelatore: Epistemica, Nulla e la Singolarità dell'Arte
Il testo di Giacinto Plescia, L'Epistemica, il Nulla e l'Arte, si addentra in una riflessione profonda sulla natura dell'esperienza estetica, ponendo al suo centro il concetto di Nulla e la sua relazione con la conoscenza e l'ontologia dell'opera d'arte. Lungi dall'essere un mero oggetto di contemplazione, l'opera si manifesta come un Ab-grund, un abisso che disvela un non-ente, un Nulla che genera nell'osservatore non solo reazioni emotive come paura e piacere, ma, heideggerianamente, il senso primordiale dell'Angoscia. Questa reazione non è superficiale, ma scaturisce dalla presenza "assentemente presente" del Nulla di fronte al Sublime, rivelando il non-fondamento che sottende l'esistenza.
Plescia si inserisce in un dialogo con una tradizione filosofica che ha interrogato a fondo il concetto di nulla. Il riferimento a Nietzsche, ripreso da Grassi e Pareyson, sottolinea come uno "sfondo abissale" permei il pensiero che si confronta con le profondità dell'esistenza. Questo abisso non è semplicemente un vuoto, ma un orizzonte potenziale da cui emergono nuove significazioni, una sorta di chaos primordiale da cui l'opera d'arte trae la sua singolarità.
L'interpretazione dell'estetica kantiana, filtrata attraverso la lente del tema dell'abissalità, assume in Plescia una valenza particolare. L'opera d'arte non è vista come un mero giudizio di gusto, ma come una "Gestell" - riprendendo un termine heideggeriano - che si dispiega lungo il sentiero di un'analitica dell'esserci, mirando a una comprensione più radicale della bellezza e del sublime. Questa "singolarità interpretativa" suggerisce che l'opera d'arte non si esaurisce nella sua dimensione fenomenica, ma rimanda a una profondità ontologica che interroga la nostra stessa esistenza.
L'eco del pensiero di Heidegger risuona con forza nel testo di Plescia. L'Angoscia di fronte all'opera non è un timore specifico verso qualcosa di determinato, ma un'apertura verso la possibilità del nulla, verso la precarietà dell'Essere. L'opera d'arte, in questo senso, non è un oggetto rassicurante, ma un evento che ci pone di fronte al non-fondamento, alla contingenza radicale della nostra esistenza. Il Sublime, in particolare, manifesta questa presenza assente del Nulla, una potenza che ci sovrasta e ci confronta con i limiti della nostra comprensione e della nostra finitezza.
È interessante notare come Plescia, attraverso il riferimento a Petitot e alla compatibilità del kantismo con la teoria di Thom, suggerisca un ponte tra la riflessione filosofica e il pensiero scientifico. La "Critica della ragion pura" di Kant, con la sua insistenza sul carattere costitutivo della conoscenza, potrebbe trovare un'eco nella teoria di Thom, aprendo interrogativi sul modo in cui le strutture fondamentali del nostro pensiero si relazionano alla realtà e alla sua rappresentazione artistica. Questa connessione, sebbene accennata, potrebbe svilupparsi in un'analisi più ampia sul ruolo dell'epistemologia nella comprensione dell'esperienza estetica.
Un punto cruciale nell'argomentazione di Plescia è la distinzione tra l'ontologia specifica dell'opera d'arte e la "Verità Epistemica del Mondo". L'arte non si limita a riflettere o a illustrare una conoscenza preesistente; la sua "Destinanza Ontologica" sfugge alla "Dittatura Epistemica dell'Essere dell'Ente". L'opera d'arte crea un proprio mondo di significati, una sua verità intrinseca che non è subordinata alle categorie concettuali e alle verifiche empiriche del sapere scientifico o del senso comune.
Questa originalità dell'opera d'arte risiede nella sua capacità di toccare l'Essere in un modo unico, di disvelare il Nulla non come semplice negazione, ma come orizzonte di possibilità e di senso. La sua eventuale tangenza con la Techne, con la tecnica e la produzione, non intacca la sua essenza profonda di "Essere-Arte". L'ontologia dell'opera non si riduce a una semplice estetica dell'esserci, poiché i sensi, pur essendo dispiegamenti dell'esserci, possono solo percepire le manifestazioni superficiali, senza cogliere la profondità abissale che l'opera cela e rivela al contempo.
In conclusione, il saggio di Plescia delinea una visione dell'arte come un'esperienza radicale che ci pone di fronte al Nulla, all'abisso del non-fondamento. Attraverso un dialogo implicito con figure chiave della filosofia come Heidegger, Nietzsche e Kant, e un accenno al pensiero scientifico di Thom, Plescia suggerisce che l'opera d'arte non è un mero oggetto estetico, ma un evento ontologico che interroga la nostra esistenza e la nostra comprensione del reale. La sua singolarità risiede nella sua capacità di trascendere la "Verità Epistemica del Mondo", aprendo squarci sull'abisso del Nulla e rivelando, in questa assenza presente, nuove possibilità di senso e di comprensione. Un'analisi più approfondita del testo potrebbe ulteriormente esplorare le implicazioni di questa prospettiva per la teoria dell'arte, l'epistemologia e la nostra relazione con il mistero dell'Essere.
L'Abisso Rivelatore: Epistemica, Nulla e la Singolarità Inafferrabile dell'Arte
L'Epistemica, il Nulla e l'Arte di Giacinto Plescia dischiude una riflessione densa e suggestiva sul nucleo ontologico ed epistemologico dell'esperienza artistica. Plescia non si limita a considerare l'opera come un mero oggetto estetico, ma la colloca in una dimensione abissale, un Ab-grund che spalanca le porte al Nulla e, con esso, a una comprensione più radicale della nostra esistenza e dei limiti della conoscenza convenzionale.
L'incipit del testo è programmatico: di fronte all'opera d'arte, ci troviamo di fronte a un non-ente, al Nulla. Questa affermazione, apparentemente paradossale, non implica una negazione dell'esistenza fisica dell'opera, ma sottolinea la sua capacità di trascendere la mera oggettività e di condurci in una dimensione di assenza, di non-fondamento. È in questo "vuoto" che, secondo Plescia, si manifesta il senso heideggeriano dell'Angoscia, una reazione primordiale che scaturisce dal confronto con la precarietà dell'Essere di fronte alla potenza del Sublime. Quest'ultimo, lungi dall'essere una semplice categoria estetica, diviene il luogo in cui il Nulla si presenta in modo "assentemente presente", rivelando la mancanza di un fondamento ultimo e stabile.
Plescia intesse un dialogo implicito con una costellazione di pensatori che hanno interrogato la natura del nulla e la sua relazione con l'esistenza e la conoscenza. Il riferimento a Nietzsche, e alla sua ripresa da parte di Grassi e Pareyson, introduce l'idea di uno "sfondo abissale" che permea il pensiero e che l'arte ha la capacità di evocare. Questo abisso non è un mero vuoto nichilista, ma un terreno fertile per la creazione di nuovi significati, un orizzonte di possibilità che si cela dietro la superficie rassicurante della mondanità.
L'interpretazione dell'estetica kantiana, come la presenta Plescia, si discosta da una lettura puramente formalista. L'opera d'arte diviene una "Gestell", un termine heideggeriano che connota una modalità di disvelamento dell'Essere, un percorso analitico che mira a sondare le profondità della bellezza e del sublime in relazione all'esserci. Questa "singolarità interpretativa" suggerisce che l'esperienza estetica non si esaurisce in un giudizio di gusto soggettivo, ma coinvolge la nostra stessa ontologia, il nostro modo di essere nel mondo.
Il richiamo a Heidegger è centrale. L'Angoscia di fronte all'opera non è un'emozione superficiale, ma un'apertura esistenziale verso la possibilità del nulla, verso la consapevolezza della nostra finitezza e della contingenza dell'Essere. L'opera d'arte, in questa prospettiva, non è un oggetto consolatorio, ma un evento che ci confronta con il non-fondamento, con l'assenza di risposte definitive. Il Sublime, in particolare, incarna questa dinamica, manifestando una potenza che ci soverchia e ci costringe a confrontarci con i limiti della nostra comprensione razionale.
L'accenno alla compatibilità tra il kantismo e la teoria di Thom, mediata da Petitot, introduce una prospettiva intrigante sul rapporto tra filosofia ed epistemologia scientifica. La Critica della ragion pura di Kant, con la sua enfasi sulle strutture a priori della conoscenza, potrebbe trovare risonanze in modelli scientifici come quello proposto da Thom. Questa connessione, sebbene non esplicitamente sviluppata nell'estratto, suggerisce la possibilità di esplorare come le categorie fondamentali del nostro pensiero influenzino la nostra percezione e comprensione dell'arte e del mondo.
Un punto nodale nell'argomentazione di Plescia è la distinzione tra l'ontologia specifica dell'opera d'arte e la "Verità Epistemica del Mondo". L'arte non si assoggetta alle categorie e alle verifiche del sapere scientifico o del senso comune. La sua "Destinanza Ontologica" è autonoma e non può essere ridotta alla "Dittatura Epistemica dell'Essere dell'Ente". L'opera d'arte crea un proprio universo di significati, una sua verità intrinseca che non è vincolata alle logiche del mondo oggettivo.
Questa autonomia ontologica dell'arte si manifesta nella sua capacità di toccare l'Essere in un modo peculiare, di disvelare il Nulla non come una semplice negazione, ma come un orizzonte di possibilità inesplorate. Anche la sua eventuale connessione con la Techne, con la produzione tecnica, non ne intacca l'essenza profonda di "Essere-Arte". L'ontologia dell'opera non si limita a un'estetica superficiale dell'esserci, poiché i sensi, pur essendo modalità di dispiegamento dell'esserci, colgono solo le manifestazioni fenomeniche, senza penetrare la profondità abissale che l'opera cela e al contempo rivela.
In sintesi, l'analisi di Plescia apre una prospettiva affascinante sull'arte come un'esperienza che ci conduce al limite della conoscenza convenzionale, di fronte all'abisso del Nulla. Attraverso un dialogo sottile ma pregnante con figure centrali della filosofia occidentale, Plescia delinea un'ontologia dell'opera d'arte che la sottrae alla mera oggettività e la colloca in una dimensione di radicale alterità. La sua "Destinanza Ontologica" non si piega alle logiche epistemologiche del mondo, ma dischiude un orizzonte di senso che interroga la nostra esistenza e la nostra comprensione del mistero dell'Essere. Un'esplorazione più completa del testo di Plescia potrebbe ulteriormente illuminare le implicazioni di questa prospettiva per la teoria dell'arte contemporanea e per la nostra relazione con quella singolarità inafferrabile che è l'opera.
In L'Epistemica, il Nulla e l'Arte, emergono con maggiore chiarezza alcuni temi cruciali che meritano di essere precisati ulteriormente:
1. La Centralità del Nulla (Niente, Abisso) nell'Esperienza Estetica:
Plescia non considera il Nulla come una semplice assenza o negazione, ma come una presenza dinamica e rivelatrice nell'incontro con l'opera d'arte. L'opera si configura come un Ab-grund, un abisso che spalanca la prospettiva sul non-ente.
Questa presenza del Nulla è strettamente connessa all'esperienza del Sublime. Di fronte al Sublime, il Nulla non è semplicemente assente, ma è "assentemente presente", esercitando una forza che trascende la nostra capacità di comprensione e che genera l'Angoscia.
Il Nulla, in questa accezione, non è solo un vuoto, ma un orizzonte di possibilità e di significazione. La "lettura delle storie del nulla" nel pensiero della mondanità introduce la consapevolezza di questa abissalità sottostante.
2. L'Angoscia come Reazione Ontologica Fondamentale:
Plescia, seguendo Heidegger, sottolinea come la reazione primaria di fronte all'opera d'arte, in particolare al Sublime, non sia semplicemente emotiva (paura, piacere), ma ontologica: l'Angoscia.
Questa Angoscia scaturisce dal confronto con il Nulla, con il non-Fondamento dell'esistenza che l'opera d'arte disvela. Non è un timore verso qualcosa di specifico, ma un senso di spaesamento di fronte alla precarietà dell'Essere.
L'Angoscia, in questo contesto, diviene una via di accesso privilegiata alla verità dell'Essere, una rivelazione della sua finitezza e della sua apertura al possibile.
3. La "Gestell" dell'Opera d'Arte e l'Analitica dell'Esserci:
Plescia utilizza il termine heideggeriano "Gestell" per descrivere la modalità di presentazione e di disvelamento dell'opera d'arte. La Gestell non è semplicemente la struttura fisica dell'opera, ma il modo in cui essa si pone nel mondo e interpella l'osservatore.
Questa Gestell si dispiega lungo il sentiero di un'"analitica dell'esserci", un'indagine filosofica sull'esistenza umana. L'opera d'arte, quindi, non è un oggetto isolato, ma un evento che interroga la nostra stessa ontologia.
L'obiettivo di questa analitica, attraverso l'opera d'arte, è una comprensione più profonda della bellezza e del sublime, non come categorie estetiche statiche, ma come esperienze che toccano le corde profonde del nostro essere.
4. La Distinzione tra Ontologia dell'Arte e Epistemica del Mondo:
Un tema centrale è la differenza radicale tra l'essere proprio dell'opera d'arte (la sua "Destinanza Ontologica") e la "Verità Epistemica del Mondo", ovvero il sistema di conoscenze e di verità stabilite.
Plescia afferma che l'opera d'arte non è subordinata alla "Dittatura Epistemica dell'Essere dell'Ente". La sua verità non si basa sulla corrispondenza con la realtà oggettiva o sulle categorie concettuali del sapere costituito.
L'arte possiede una sua originalità ontologica, crea un proprio mondo di significati e disvela una verità che sfugge alle logiche epistemologiche convenzionali.
5. Il Rapporto (e la Non-Riducibilità) alla Techne:
Plescia accenna alla possibilità che l'opera d'arte possa essere "tangente alla Techne", ovvero alla tecnica e alla produzione. Tuttavia, sottolinea che questa tangenza non deve mai portare a "decostruire l'Essere-Arte".
Questo suggerisce che, anche quando l'arte utilizza mezzi tecnici o si inserisce in processi produttivi, la sua essenza ontologica rimane distinta e non può essere ridotta a una mera questione di abilità o di funzionalità.
6. Il Limite dei Sensi e la Profondità dell'Opera:
Plescia evidenzia come l'"Ontologia dell'Opera-d'Arte non sarà mai una semplice estetica dell'Esserci" perché i sensi, pur essendo "dispiegamenti dell'Esserci", possono percepire solo le manifestazioni superficiali dell'opera.
La vera profondità, l'abisso del Nulla che l'opera disvela, sfugge alla mera percezione sensoriale. L'esperienza estetica autentica richiede una forma di "ascolto" più profondo, un'apertura all'Angoscia e al non-fondamento che l'opera comunica.
In sintesi, il libro di Plescia sembra affrontare una complessa indagine filosofica sull'essenza dell'arte, ponendo al centro concetti come il Nulla, l'Angoscia e la distinzione tra l'ontologia propria dell'opera e le categorie epistemologiche del mondo. L'autore, attraverso un dialogo implicito con Heidegger e Kant, e un accenno al pensiero di Nietzsche, Grassi, Pareyson e Thom, delinea una visione dell'arte come un evento radicale che interroga la nostra esistenza e i limiti della nostra conoscenza.
L'Abisso Rivelatore: Epistemica, Nulla e la Singolarità Inafferrabile dell'Arte
L'Epistemica, il Nulla e l'Arte di Giacinto Plescia dischiude una riflessione densa e suggestiva sul nucleo ontologico ed epistemologico dell'esperienza artistica. Plescia non si limita a considerare l'opera come un mero oggetto estetico, ma la colloca in una dimensione abissale, un Ab-grund che spalanca le porte al Nulla e, con esso, a una comprensione più radicale della nostra esistenza e dei limiti della conoscenza convenzionale.
L'incipit del testo è programmatico: di fronte all'opera d'arte, ci troviamo di fronte a un non-ente, al Nulla. Questa affermazione, apparentemente paradossale, non implica una negazione dell'esistenza fisica dell'opera, ma sottolinea la sua capacità di trascendere la mera oggettività e di condurci in una dimensione di assenza, di non-fondamento. È in questo "vuoto" che, secondo Plescia, si manifesta il senso heideggeriano dell'Angoscia, una reazione primordiale che scaturisce dal confronto con la precarietà dell'Essere di fronte alla potenza del Sublime. Quest'ultimo, lungi dall'essere una semplice categoria estetica, diviene il luogo in cui il Nulla si presenta in modo "assentemente presente", rivelando la mancanza di un fondamento ultimo e stabile.
Plescia intesse un dialogo implicito con una costellazione di pensatori che hanno interrogato la natura del nulla e la sua relazione con l'esistenza e la conoscenza. Il riferimento a Nietzsche, e alla sua ripresa da parte di Grassi e Pareyson, introduce l'idea di uno "sfondo abissale" che permea il pensiero e che l'arte ha la capacità di evocare. Questo abisso non è un mero vuoto nichilista, ma un terreno fertile per la creazione di nuovi significati, un orizzonte di possibilità che si cela dietro la superficie rassicurante della mondanità.
L'interpretazione dell'estetica kantiana, come la presenta Plescia, si discosta da una lettura puramente formalista. L'opera d'arte diviene una "Gestell", un termine heideggeriano che connota una modalità di disvelamento dell'Essere, un percorso analitico che mira a sondare le profondità della bellezza e del sublime in relazione all'esserci. Questa "singolarità interpretativa" suggerisce che l'esperienza estetica non si esaurisce in un giudizio di gusto soggettivo, ma coinvolge la nostra stessa ontologia, il nostro modo di essere nel mondo.
Il richiamo a Heidegger è centrale. L'Angoscia di fronte all'opera non è un'emozione superficiale, ma un'apertura esistenziale verso la possibilità del nulla, verso la consapevolezza della nostra finitezza e della contingenza dell'Essere. L'opera d'arte, in questa prospettiva, non è un oggetto consolatorio, ma un evento che ci confronta con il non-fondamento, con l'assenza di risposte definitive. Il Sublime, in particolare, incarna questa dinamica, manifestando una potenza che ci soverchia e ci costringe a confrontarci con i limiti della nostra comprensione razionale.
L'accenno alla compatibilità tra il kantismo e la teoria di Thom, mediata da Petitot, introduce una prospettiva intrigante sul rapporto tra filosofia ed epistemologia scientifica. La Critica della ragion pura di Kant, con la sua enfasi sulle strutture a priori della conoscenza, potrebbe trovare risonanze in modelli scientifici come quello proposto da Thom. Questa connessione, sebbene non esplicitamente sviluppata nell'estratto, suggerisce la possibilità di esplorare come le categorie fondamentali del nostro pensiero influenzino la nostra percezione e comprensione dell'arte e del mondo.
Un punto nodale nell'argomentazione di Plescia è la distinzione tra l'ontologia specifica dell'opera d'arte e la "Verità Epistemica del Mondo". L'arte non si assoggetta alle categorie e alle verifiche del sapere scientifico o del senso comune. La sua "Destinanza Ontologica" è autonoma e non può essere ridotta alla "Dittatura Epistemica dell'Essere dell'Ente". L'opera d'arte crea un proprio universo di significati, una sua verità intrinseca che non è vincolata alle logiche del mondo oggettivo.
Questa autonomia ontologica dell'arte si manifesta nella sua capacità di toccare l'Essere in un modo peculiare, di disvelare il Nulla non come una semplice negazione, ma come un orizzonte di possibilità inesplorate. Anche la sua eventuale connessione con la Techne, con la produzione tecnica, non ne intacca l'essenza profonda di "Essere-Arte". L'ontologia dell'opera non si limita a un'estetica superficiale dell'esserci, poiché i sensi, pur essendo modalità di dispiegamento dell'esserci, colgono solo le manifestazioni fenomeniche, senza penetrare la profondità abissale che l'opera cela e al contempo rivela.
In sintesi, l'analisi di Plescia apre una prospettiva affascinante sull'arte come un'esperienza che ci conduce al limite della conoscenza convenzionale, di fronte all'abisso del Nulla. Attraverso un dialogo sottile ma pregnante con figure centrali della filosofia occidentale, Plescia delinea un'ontologia dell'opera d'arte che la sottrae alla mera oggettività e la colloca in una dimensione di radicale alterità. La sua "Destinanza Ontologica" non si piega alle logiche epistemologiche del mondo, ma dischiude un orizzonte di senso che interroga la nostra esistenza e la nostra comprensione del mistero dell'Essere. Un'esplorazione più completa del testo di Plescia potrebbe ulteriormente illuminare le implicazioni di questa prospettiva per la teoria dell'arte contemporanea e per la nostra relazione con quella singolarità inafferrabile che è l'opera.
Con l'analisi del testo di Giacinto Plescia L'Epistemica, il Nulla e l'Arte possiamo isolare e precisare ulteriori temi significativi:
7. La Relazione tra Bello e Abisso:
Plescia afferma che "Il bello si svela solo nell'infinito o nell'abisso." Questa affermazione stabilisce un legame intrinseco tra l'esperienza del bello e la dimensione dell'illimitatezza o del non-fondamento.
Il bello non è quindi una qualità superficiale o puramente formale, ma emerge da una profondità, da un orizzonte che trascende la finitezza e la delimitazione. L'abisso, in questo contesto, non è solo il luogo del Nulla e dell'Angoscia, ma anche la sorgente di una particolare manifestazione estetica.
8. La "Lettura delle storie del nulla" e la Consapevolezza dell'Abissalità:
Plescia introduce la nozione di una "lettura delle storie del nulla" nel contesto del "pensiero della mondanità". Questo suggerisce che la riflessione sul nulla e sull'abisso non è confinata alla filosofia o all'esperienza estetica, ma si insinua anche nel pensiero comune.
Questa "lettura" porta all'"eventuarsi dell'abissalità" nella consapevolezza umana, indicando una crescente familiarità o una latente percezione della precarietà e della mancanza di un fondamento ultimo anche nella vita quotidiana.
9. La "Singolarità Interpretativa" dell'Estetica Kantiana:
Plescia parla di una "singolarità interpretativa" nell'approccio di alcuni autori all'estetica kantiana. Questo implica che l'eredità di Kant viene riletta e applicata in modo originale e specifico, focalizzandosi sul tema dell'abissalità.
Questa rilettura non si limita a una mera ripetizione dei concetti kantiani, ma li rielabora e li orienta verso la comprensione dell'opera d'arte come evento che disvela il Nulla e l'Angoscia.
10. La Funzione "Costitutiva di Conoscenza" della Critica della Ragion Pura:
Il riferimento alla "Critica della ragion pura" di Kant e alla sua insistenza sul "carattere costitutivo di conoscenza" suggerisce un interesse per le strutture a priori del nostro intelletto che modellano la nostra esperienza del mondo e, di conseguenza, anche la nostra fruizione dell'arte.
La compatibilità tra il kantismo e la teoria di Thom, secondo Petitot, potrebbe risiedere in un'analogia tra le categorie trascendentali kantiane e le strutture matematiche o fisiche che sottendono la realtà, influenzando il modo in cui percepiamo e comprendiamo.
11. L'Arte per l'Esserci vs. l'Arte-per-la-Mondanità:
Plescia introduce una distinzione cruciale tra un'"Arte per Esserci" e un'"Arte-per-la-Mondanità".
L'"Arte-per-la-Mondanità" è caratterizzata dalla priorità dell'Ontologia del presente e dall'adeguamento alla "Verità Epistemica del Mondo". Sembra quindi un'arte che si conforma alle aspettative sociali, ai canoni estetici dominanti e alle verità consolidate.
L'"Arte per Esserci", al contrario, potrebbe essere quella che esplora le profondità dell'Essere, che si confronta con il Nulla e l'Angoscia, e che quindi trascende le limitazioni della "Verità Epistemica" e dell'ontologia superficiale del presente.
12. L'Originalità e la "Destinanza Ontologica" dell'Opera d'Arte:
Plescia ribadisce l'"originalità" dell'Opera d'Arte, sottolineando che la sua "Destinanza Ontologica" è indipendente e non sottomessa alla "Dittatura Epistemica dell'Essere dell'Ente".
L'opera d'arte non è quindi un mero prodotto culturale o una rappresentazione del mondo, ma possiede una sua autonomia ontologica, una sua specifica modalità di essere che non può essere ridotta a categorie conoscitive preesistenti.
In conclusione, l'analisi di queste ulteriori parti del testo di Plescia rivela una riflessione complessa e stratificata sull'essenza dell'arte. L'autore esplora la relazione tra il bello e l'abisso, il ruolo della consapevolezza del nulla, le diverse interpretazioni dell'estetica kantiana, il possibile legame tra filosofia ed epistemologia scientifica, la distinzione tra un'arte superficiale e un'arte esistenziale, e infine l'irriducibile originalità ontologica dell'opera. Questi temi, interconnessi tra loro, contribuiscono a delineare una visione dell'arte come un'esperienza profondamente significativa per la comprensione dell'Essere e dei limiti della conoscenza convenzionale.
Nessun commento:
Posta un commento